Il bizzarro “altrove” di Rodney Smith in mostra. Oltre 100 fotografie a Rovigo
Le opere del fotografo statunitense Rodney Smith trasformano Palazzo Roverella in un luogo al di fuori dello spazio e del tempo, proprio come gli scatti di Smith
Da Palazzo Roverella di Rovigo si affacciano, per la prima volta in Italia, le fotografie raffinate, ironiche e surreali di Rodney Smith. Nato a New York nel 1947 e scomparso nel 2016, questo artista ha saputo imprimere su pellicola composizioni che lasciano intuire un’aspirazione a un mondo ideale e una ricerca profonda sul significato della vita. Smith infatti fu uno studioso di teologia e filosofia e in parallelo si formò fotograficamente con Walker Evans; tra i suoi riferimenti si annoverano anche Anselm Adams, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, oltre a registi cinematografici – Alfred Hitchcock, Terrence Malick e Wes Anderson – e a grandi interpreti del cinema muto, come Buster Keaton, Charlie Chaplin e Harold Lloyd: tutto concorse a riempire un bagaglio visivo che Rodney Smith tradusse in scatti distintivi, magnetici, dal rigore formale ineccepibile, tanto che vi si riconosce spesso lo schema della sezione aurea, quella “divina proporzione” che fin dall’antichità sta alla base dell’armonia.

La mostra di Rodney Smith a Rovigo
Le oltre cento opere esposte offrono una panoramica sulla ricerca di Smith e si dispongono all’interno di un allestimento elegante ed efficace, caratterizzato da pareti dai colori tenui sulle quali fanno capolino, in punti strategici, particolari in gigantografia di altre foto. Le stampe selezionate per la mostra, proposte sia grandi sia in piccoli formati e prevalentemente in bianco e nero (“non c’è niente per me come l’oscurità e la sfolgorante intensità del bianco e nero”, dichiarò l’autore), sono raggruppate in sezioni che riflettono le principali tematiche della poetica del newyorkese.
Le opere di Rodney Smith: oltre la fisica
L’incipit è dedicato proprio alla proporzione aurea e alle leggi matematiche che sottendono le composizioni; seguono i focus sull’essenzialità degli spazi dell’esistenza, sul confine tra sfera umana e celeste in cui si collocano i personaggi – “non si sa se spiccano il volo o se cadono” scrive in catalogo la curatrice Anne Morin – e non può mancare l’approfondimento sul sottrarsi delle figure alla condizione di corpi pesanti: in bilico, innaturalmente inclinati, per i modelli di Smith non valgono le leggi della gravità e a ben guardare nemmeno quelle del tempo, che è invenzione degli uomini, mentre l’eternità appartiene al divino: nelle riprese tutto è cristallizzato, non ci sono ombre né indizi per dedurre periodi e stagioni. L’ultimo nucleo accorpa i paesaggi, anch’essi restituiti tramite forme perfette e archetipiche che esistono al di là del nostro mondo fisico.
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Una dimensione “altra” capace di riconciliare il quotidiano con l’ideale
La mostra è quindi permeata da un’atmosfera sospesa, in cui visioni poetiche e umoristiche narrano un mondo immaginario, sempre “leggermente fuori portata, oltre l’esperienza quotidiana, ma decisamente non impossibile”, ha affermato Rodney Smith che si definiva un “ansioso solitario” e che fu però capace di trovare conforto catturando immagini equilibrate, piene di grazia, in grado di “riconciliare il quotidiano con l’ideale”.
Marta Santacatterina
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