Nell’arte contemporanea c’è sempre più cinema espanso. Spieghiamo di cosa si tratta

Niente sceneggiature romanzate, perché non racconta nessuna storia: il cinema espanso conquista l’arte contemporanea perché non è nulla di estraneo ad essa. Ne parliamo attraversando alcuni casi studio

Alcune mostre di grade impatto visivo aperte quest’estate hanno riportato l’attenzione sulla nozione e la pratica del cosiddetto “cinema espanso”, una definizione proposta da Gene Youngblood nel 1970  per definire il modo in cui l’arte visiva aveva iniziato a usare le immagini in movimento.  

Penso a esposizioni quali quella di Isaac Julien a Palazzo Te di Mantova, dove dieci schermi riproducono lo stesso film dentro un ambiente di specchi: ogni spettatore crea il suo montaggio. Penso alla mostra presso la Fondazione Prada di Milano in cui Alejandro G. Iñárritu espone il backstage di un suo film, cioè gli spezzoni di girato inutilizzati, proiettati da macchine affascinanti. Ricordo il film di astrazioni digitali caleidoscopiche, composto da Gerhard Richter e visto quest’estate alla Fondazione Beyeler. Rammento le composizioni di schermi che raccontano le stagioni, quadrangoli di fogliame in parte coerenti tra loro e in parte no, create da David Hockney e viste nella sua retrospettiva presso la Fondation Louis Vuitton di Parigi.   

Il “cinema espanso” una pratica sempre più diffusa

Per quanto il cinema da sala sia stato importante anche per l’uso artistico delle immagini in movimento, è evidente che esistono differenze fondamentali che solo da una ventina d’anni hanno iniziato a essere studiate davvero. Se la narrazione in stile Hollywood o Bollywood risponde a regole di durata dettate dal commercio, il cinema espanso è raramente animato da una sceneggiatura romanzata, perché spesso non racconta una storia: ha ereditato dalla pittura, soprattutto astratta ma non solo, la capacità di puntare sugli aspetti meramente percettivi e su composizioni innovative. Il contenuto è veicolato attraverso l’evocazione assai più che attraverso il racconto esplicito dei fatti. A volte si presenta come documentario, a volte come raccolta di spezzoni dimenticati, spesso montati quasi a caso o con il nastro adesivo, come faceva Gianfranco Baruchello

La tradizione dietro il “cinema espanso”

Non dovremmo dimenticare la tradizione che sta dietro a tutto questo, oramai lunga un secolo. Nel 1924 il film Entr’acte, concepito da Francis Picabia e René Clair per uno spettacolo di danza svedese, sviluppa con un balzo nell’assurdo e immaginifico le premesse poste dal pioniere Georges Méliès all’inizio del Novecento. L’utilizzo di 360 proiettori puntati sul pubblico aiutava lo straniamento e iniziava la commistione tra gli stimoli del film e quelli di altri mezzi, come appunto una luce accecante che stimola lo spettatore. Nel 1925, Lazlo Moholy-Nagy proiettò su una superficie semisferica tre film contemporaneamente. Nel 1927, Oskar Fischinger e Abel Gance avevano creato la prima situazione a schermi multipli, con tre film da proiettare su tre superfici contemporaneamente. Inutile continuare qui con una storia che è stata scritta da molti, e che è stata rivista, nei suoi sviluppi recenti, dal bel libro che ripete il titolo del primo citato, Expanded Cinema,  agli studi sull’arte immersiva di cui il cinema espanso è una parte essenziale agli studi sul documentario. 

Le sperimentazioni che hanno preceduto il “cinema espanso”

Più di cent’anni dopo le dichiarazioni dei manifesti futuristi e le sperimentazioni futuriste, la tradizione che viene dalla pittura fa raramente a meno delle immagini in movimento. Altri momenti aurorali come Chelsea Girls di Andy Warhol (1966), fatto di immagini casuali prese all’hotel Chelsea di New York e proiettato su due schermi, o le prime riprese di performance come quelle del mondo Fluxus o di Yoko Ono e Carolee Schneemann (entrambe 1964) mostrano come le neoavanguardie abbiano ripreso quelle premesse e abbiano posto le basi per la fluidità della relazione tra performance, appunto, e immagine filmica. Anche quadri all’apparenza molto tradizionali, come quelli della giovane Adelisa Selimbašić, per non citare i soliti noti della pittura superstar del mercato, nascono fondamentalmente da still di video. Nel panorama italiano, tra gli artisti che meritano maggiore attenzione ci sono nomi, come quelli di Valentina Furian o di Emilio Vavarella, ancora visibili alla Quadriennale di Roma, che hanno lavorato al limite tra cinema sperimentale e cinema-cinema. Anche nella vita quotidiana, del resto, una chat su di un social è divertente quanto più ci scambiamo filmati oltre che testi e immagini fisse. Se dobbiamo aderire alla definizione di un mondo “liquido”, per usare il linguaggio di Zygmunt Bauman, nulla più del cinema espanso e delle sue derivazioni può tradurlo in azione artistica capace di fotografare uno Zeitgeist. 

Angela Vettese 
 
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Angela Vettese

Angela Vettese

Angela Vettese è direttore del corso di laurea magistrale di arti visive e moda presso il dipartimento di culture del progetto, dove insegna come professore associato teoria e critica dell'arte contemporanea così come, presso il triennio, fondamenti delle pratiche artistiche.…

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