La nuova mega galleria appena aperta a Venezia in realtà è un tempio del cattivo gusto
L’apertura della nuova sede veneziana della multinazionale Bartoux è la conferma che, a discapito di tanti lavoratori seri, la Serenissima ha ancora tanta strada da fare per affrancarsi dal trash e dallo sfruttamento di un turismo scadente che non porta nulla di buono
Tante volte abbiamo salutato le nuove aperture di Venezia con grande curiosità, osservando come – nonostante i tanti lati negativi della privatizzazione sfrenata degli spazi cittadini – spesso le esternalità positive della loro produzione culturale di qualità non passano in secondo piano. Lo stesso non si può di certo dire della nuovissima sede di Galeries Bartoux, a due passi dal Ponte dell’Accademia: una decina di grandi vetrine in quello che un tempo era lo storico Cinema Accademia, abbandonato per oltre vent’anni e ora riaperto in una nuova, scintillante veste. Ma spesso i detti popolari hanno ragione, e non è tutto oro ciò che luccica.
Certo, per chi, come il sottoscritto, compie tutti i giorni quella strada, le speranze erano già poche. Bastava cercare in rete il nome della galleria impresso su quelle vetrine oscurate per rendersi conto del genere di “arte” proposta, ma abbiamo scelto di riservare le nostre opinioni a quando lo spazio avesse finalmente aperto. Forse Venezia e il suo clima culturale avrebbe ispirato la galleria multinazionale a puntare sulla qualità. E invece, di Venezia, ha vinto ancora una volta il turismo inconsapevole, estrattivo e superficiale. Il lato oscuro di una città che se da un lato dimostra volontà di riscatto, dall’altro si ritrova sul ciglio di un baratro verso cui non può più permettersi di ricevere alcun tipo di spinta.

Cosa sono le Galeries Bartoux
Ma veniamo al dunque: chi c’è dietro questa operazione di così grande spessore? Galeries Bartoux è un gruppo internazionale di gallerie d’arte fondato in Francia nel 1993 da Robert e Isabelle Bartoux. Oggi conta una ventina di sedi distribuite in tutto il mondo, da Parigi a Miami, passando per Londra e, dal 10 ottobre, anche per Venezia. L’approccio è sempre lo stesso, e non è una novità: Bartoux, come tante altre gallerie del suo genere, vende opere iper commerciali, artisti di secondo mercato, arte decorativa, arredamenti da parete e soprammobili di dubbio gusto, imbastendo una narrazione che – in un minestrone kitsch di parole come “lusso”, “emozioni”, “artisti visionari”, “prestigio”, “estetica” e molto altro, come potete verificare sul loro sito – cerca di far passare la loro offerta non solo come commercialmente accattivante, ma anche come artisticamente rilevante. E se sul lato mercantile si può argomentare poco, sullo spessore artistico si può e si deve discutere.

Galeries Bartoux: tra grandi nomi e scarsa qualità
Il collezionismo d’arte contemporanea non è cosa semplice, sia che lo si intenda come sostegno degli artisti nella loro produzione, sia che lo si pratichi in un’ottica di puro investimento. E dato che scrivo su una rivista il cui obiettivo è soprattutto contribuire alla costruzione di un pubblico quanto più informato possibile, non posso esimermi dal mettere in guardia il lettore e l’acquirente meno esperto: non si lasci ingannare dai grandi nomi proposti da gallerie di questo tipo. Quei Miró, Warhol, Arman, Botero e Dalì (spesso multipli – originali e firmati, ci mancherebbe – di pochissimo peso nella ricerca dei loro autori) sono lavori di grandi firme, certo, ma utili a queste gallerie per darsi un tono, e far passare sul mercato altri artisti dalla ricerca inconsistente, banale, derivativa e altamente incosciente della storia dell’arte e di un sistema artistico serio.

Qual è il problema?
Ci sarà chi vedrà in queste mie parole una posizione classista, che vuole promuovere solo arte di un certo tipo (quella “difficile”) e bocciare quelle forme di espressioni meno innovative e impegnative ma decisamente più popolari, alla portata della comprensione di tutti. Come se poi ci fosse davvero un contenuto o qualcosa da comprendere in quelle opere. Sono produzioni talmente vuote da risultare ancora meno interessanti dello stesso kitsch. E soprattutto, ci sarà chi, imbambolato da quell’effetto wow tanto ricercato da questi lavori, deciderà anche di acquistare qualcosa e portarselo a casa, magari ritenendolo un souvenir di lusso. Il vero problema è che in una città presa d’assalto dal turismo di massa e con una tale carenza di spazi, vedere così sprecati 1200 metri quadrati (1200!) in pieno centro città, in uno dei passaggi più frequentati da turisti e residenti, è a dir poco avvilente per chi crede in un futuro diverso per Venezia. E lo è ancora di più per quelle vere gallerie – nuove o storiche che siano – che cercano con fatica di sopravvivere in una città che premia la bruttura di un turismo incontrollato e maleducato. La nuova sede di Galeries Bartoux non è poi molto lontana da quella piaga che sono i negozi di souvenir dove si vendono maschere di plastica e statuette in finto vetro di Murano. Con l’unica differenza che Bartoux pretende di avere velleità artistiche e culturali, proponendosi come “nuovo spazio per l’arte” veneziano.
Galeries Bartoux e il ruolo delle istituzioni
Ma si dirà: cosa possono mai fare le istituzioni per evitare queste scivolate? Innanzitutto, magari, evitare che i suoi rappresentanti le avallino, con tanto di foto sorridenti, tagli di nastro, e post d’elogio: all’inaugurazione di Galeries Bartoux c’era anche il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che su Facebook definisce la multinazionale francese “una delle realtà più prestigiose dell’arte contemporanea internazionale”. Aiuto. Manco avesse aperto Hauser&Wirth, Gagosian o Pace Gallery. Come se non bastasse, Zaia si complimenta con Galeries Bartoux per aver permesso una “rinascita” dell’ex Cinema Accademia, dimenticando di sottolineare che quello che era uno spazio aperto alla comunità oggi è diventato – per quanto finalmente restaurato – l’ennesimo tempio del trash alla veneziana, fatto da ricchi senza gusto per altrettanti ricchi senza gusto, millantando una proposta culturale che in realtà non esiste.
Dopotutto, a guidare lo spazio c’è la direttrice Lorenza Lain, già general manager dell’hotel veneziano Ca’ Sagredo, famoso per le imbarazzanti manone dello scultore Lorenzo Quinn (cugino del marito di lei, nonché artista trattato proprio da Galeries Bartoux). Giustamente, alla guida di questo posto, non poteva esserci una figura dal curriculum specializzato nella promozione dell’arte contemporanea, bensì una personalità che proviene da anni di esperienza nel settore turistico. E questa, insieme alle parole del Presidente Zaia, è un’ulteriore conferma di un pensiero tristemente fin troppo comune: ovvero che per fare cultura e vendere arte – persino di fronte a un patrimonio ricco e delicato come quello veneziano – bastano tanti soldi e belle vetrine.
Alberto Villa
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