Ecco come cambierà il MAXXI di Roma. Parla l’architetto Umberto Napolitano di Studio LAN

La trasformazione dell’architettura esistente è un “territorio di libertà”, afferma l’architetto Umberto Napolitano. Cofondatore, con Benoit Jallon, dello studio LAN (Local Architecture Network), racconta in questa intervista il progetto MAXXI Hub+Green per il museo di Roma

A Roma, a un anno e mezzo di distanza dalla presentazione pubblica del progetto MAXXI Hub+Green, con la partecipazione delle architette Susanna Nobili e Ludovica di Falco, il museo disegnato dallo studio Zaha Hadid Architects è tornato a ospitare una nuova iniziativa di confronto, aperta alla comunità locale e agli addetti del settore, focalizzata sull’atteso programma di ampliamento museale. A fornire l’occasione è l’avvio della gara d’appalto per la realizzazione del futuro edificio multifunzionale del MAXXI e del parco urbano (fronte su via Masaccio), secondo l’impianto progettuale con cui lo studio italo–francese LAN (Local Architecture Network) – insieme alle citate progettiste e con Bollinger + Grohmann Ingegneria, ESA Engineering, Franck Boutté Consultants, Bureau Bas Smets e Folia Consulenze – ha vinto nel 2022 il concorso internazionale di idee. Presenti, tra gli altri, Maria Emanuela Bruni, Presidente Fondazione MAXXI, Francesco Stocchi, Direttore Artistico del MAXXI, Margherita Guccione, Direttore Scientifico Grande MAXXI e l’architetto e cofondatore LAN Umberto Napolitano. Impegnato in Italia con il suo studio anche nell’ambiziosa riqualificazione del Complesso Museale Santa Maria della Scala, a Siena, il progettista ha illustrato ad Artribune il senso dell’operazione in corso nella Capitale, riflettendo sul valore delle esperienze di trasformazione architettonica in questo momento storico.

L’architetto Umberto Napolitano e il progetto del MAXXI Hub+Green a Roma 

L’avvio del cantiere per la realizzazione del primo lotto di MAXXI Hub+Green è atteso tra la fine del 2025 e gennaio 2026; per il completamento dell’intero progetto si punta al 2027. Quale sarà il vostro impegno da qui in avanti?
Il MAXXI è un quadro di eccellenza nel panorama europeo; a noi, questa esperienza lo sta dimostrando. Parallelamente questo lavoro ci sta ricordando che il mestiere di architetto richiede tanta resilienza. Questo un po’ ovunque, a dire il vero, ma in particolare in Italia dove il quadro normativo è surreale. C’è la necessità di semplificare il sistema normativo vigente nel settore, che oggi è molto pesante: produrre qualità diventa un atto eroico. Fin qui, ci siamo occupati degli esecutivi del progetto e speriamo di seguire la direzione artistica. La direzione lavori spetta al Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (che gestisce anche la gara per l’affidamento dei lavori, n.d.r.).

Facciamo un passo indietro, fino all’aggiudicazione del concorso. Qualche osservatore, commentando la vostra proposta, l’ha definita minimalista. È una valutazione che come studio sentite, in qualche modo, affine?
Innanzitutto devo ammettere che il concorso è venuto quasi per gioco; prima di farlo il nostro rapporto con l’Italia era un po’ complesso, perché varie esperienze precedenti non si erano concretizzate. La risposta sviluppata con il resto del gruppo è stata però abbastanza immediata. Anche se come architetti ci sentiamo in parte distanti dall’edificio di Hadid, il suo approccio urbano è totalmente condivisibile. E mi sembra ancora molto forte. Non so se il nostro linguaggio sia minimale. È vero: è essenziale e questo perché oggi la questione ecologica ci deve interrogare sull’espressività della forma. Più che minimalismo linguistico, in realtà nel nostro caso forse parlerei di minimalismo costruttivo e materiale.

Ovvero?
Nel senso che oggi non ha nessun interesse mettere più materia di quella che serve. Non ha nessun interesse avere un decoro che non abbia una funzione climatica. Non ha nessun interesse far arrivare materiali spettacolari da un angolo remoto della terra. Mentre Zadid ha trasformato in un linguaggio una volontà urbana, noi abbiamo assorbito questa volontà in una forma di linguaggio.

Studio LAN: l’ampliamento del MAXXI tra il quartiere Flaminio e il progetto di ZHA

Citava il progetto di Hadid e la sua relazione con il contesto urbano. Siete partiti da lì per il nuovo edificio?
Fin dai primi disegni, che sono veramente belli, il progetto di Zaha Hadid tenta di mettere in tensione Via Guido Reni e Via Masaccio, che sono due strade parallele, con il ponte e con il Tevere; tramite l’edificio cerca di qualificare e definire lo spazio pubblico, in modo che si crei un grande percorso capace di attraversare il quartiere fino a portarlo al di là del fiume. Questa logica in cui il pieno configura il vuoto e l’edificio si mette al servizio della città è qualcosa a cui sentiamo fortemente di appartenere come progettisti: la nostra risposta è andata totalmente in questo senso.

Cosa possiamo aspettarci quindi?
Abbiamo cercato di fare in modo che l’edificio fosse un pezzo dello spazio pubblico di Roma. E questo al di là del suo lato molto funzionale e dell’esperienza offerta, che secondo me sarà stupenda, perché di fatto si consentirà di entrare in una logica di scoperta delle collezioni, attraverso gli archivi aperti, la consultazione dei pezzi e le visite ai laboratori di restauro. Tutto questo avverrà attraverso un sistema di prenotazione. Noi volevamo che l’edificio fosse, almeno in parte, accessibile senza biglietto: rispetto a trent’anni fa e guardando al futuro, il museo è sempre più uno spazio civico di per sé. Ci si va per una mostra, per partecipare alle attività culturali, ma anche, come dicono in Francia, per flâneur, per passare tempo, per impregnarsi nell’atmosfera di una collettività o di un quartiere.

È nata da questa premessa l’idea della terrazza accessibile?
Sì, usiamo l’edificio come podium, invitiamo la gente sul tetto e lì completiamo l’offerta degli spazi aperti pubblici. Ci saranno quindi una scala e due ascensori esterni che attraversano l’edificio ma non si fermano nei vari piani, perché arrivano in questo spazio all’aperto che sarà anche un vero giardino (con tutto lo sforzo enorme che questo comporta per l’edificio). Il Flaminio, inoltre, è uno dei quartieri più bassi di Roma: nel momento in cui si sale fino a una certa altezza, ci si connette visualmente con gran parte della città. Di conseguenza, è come se portassimo il resto di Roma nel MAXXI: anche se avverrà solo visivamente, ci sembra un atto essenziale perché malgrado la sua offerta e il suo interesse, il museo resta slegato dai circuiti del centro storico. 

Oltre Roma una panoramica sui progetti dello studio LAN

Accennava a pregresse esperienze rimaste incompiute in Italia. Lavorare in Francia le consente di conoscere in parallelo due contesti. Quali differenze rileva?
Se c’è una cosa in cui la Francia è molto più avanzata rispetto al resto dell’Europa, e lo è anche dal punto di vista legislativo, è la questione del carbonio. Su questo specifico fronte abbiamo avuto uno scambio molto interessante con il MAXXI, in cui abbiamo portato il nostro background e tutto quello che abbiamo imparato per esempio sul calcolo dell’emissione di carbonio, dal cantiere all’uso o durante il trasporto dei materiali. Più in generale, non saprei dire se la Francia possa rappresentare un modello. Sicuramente fino circa a un decennio fa, tutto ha funzionato molto bene lì. Oggi assistiamo a una perdita di potere delle istituzioni pubbliche a favore dei privati.

A quali altri progetti state lavorando in questo momento?
Da poco abbiamo completato la torre in legno Wood Up a Parigi. È stata un’esperienza molto importante per noi e ha aperto le porte a una serie di nuovi progetti veramente sperimentali dal punto di vista dei materiali e del carbonio che stiamo definendo in questo momento. Vorrei insistere sul carbonio perché sembra un “soggetto qualsiasi”, ma in realtà è un elemento che rivoluziona profondamente il modo pensare all’architettura. Nello scorso decennio abbiamo lavorato molto sull’energia, sulla necessità di controllare il consumo e quindi sulle facciate, sugli involucri, sulla tecnica.

E adesso?
Ora la questione del carbonio ci porta in territori totalmente inesplorati. Ci costringe a essere più locali, circostanza che ci fa ripensare alla scrittura di un edificio non più come a un campo di libera scelta, ma nell’accezione di maggiore ricerca e di osservazione delle risorse disponibili nei luoghi con i quali ci confrontiamo.

LAN, Paris XIII, Wood Up 132 appartamenti, 2017 – 2023. Foto © Javier Augustin Rojas
LAN, Paris XIII, Wood Up 132 appartamenti, 2017 – 2023. Foto © Javier Augustin Rojas

Concorsi, mostre, libri: parola a Umberto Napolitano sul futuro dello studio LAN

Nuovi scenari, insomma…
Penso che sarà molto bello e anche poetico. Quando andiamo a costruire in un certo paese, in realtà ci impregniamo della sua cultura, abbiamo l’opportunità di conoscere chi sono le persone per le quali realizziamo quell’opera. Faccio l’esempio della Germania, dove stiamo facendo una scuola. Questo ci fa conoscere qual è il metodo di insegnamento, qual è il progetto pedagogico, chi saranno gli studenti. Penso che questa stessa attitudine di scoperta e assorbimento dei valori culturali e sociali di un luogo la avremo anche per quanto riguarda i materiali, le tecniche, le tecnologie. Tutto questo cambia in modo fondamentale lo spettro della nostra ricerca: mentre prima sviluppavamo un linguaggio, un’idea di città, un’idea di spazio, un lavoro sulla tipologia, con la questione del carbonio accediamo a molto altro ancora.

Come si colloca il vostro operato sul fronte del riuso?
In questo momento stiamo ristrutturando e trasformando climaticamente una torre nei pressi della Gare de Lyon, risalente agli Anni Sessanta. Ammetto che il tema della trasformazione è forse uno dei capitoli chiave che lo studio sta affrontando: a me piace tantissimo perché, in realtà è un territorio di libertà rispetto agli standard e ai vincoli della nuova costruzione.

LAN, Bordeaux, Ilôt Mareyeurs serra ed edificio per uffici, 2019-2026, render, © LAN Architecture
LAN, Bordeaux, Ilôt Mareyeurs serra ed edificio per uffici, 2019-2026, render, © LAN Architecture

Ci spieghi meglio
Al contrario di quello che si pensa, quando scopri ed erediti un corpo costruito da altri con uno scheletro o una materia, sei libero di dargli il valore che vuoi. Nel caso citato prima, noi stiamo riorientando un edificio che era orientato a sud: lo stiamo spostando a ovest senza muoverlo, con tutto un lavoro sull’elemento bow window. In parallelo abbiamo un cantiere di social housing in Belgio e, sempre da poco, abbiamo vinto il concorso per un edificio di logistica urbana, in cui si controllano tutti i flussi della città, dai treni agli autobus. 

Siete conosciuti anche per la vostra attività di ricerca e in ambito editoriale; penso per esempio al libro “Napoli Super Modern”. Qualche novità in arrivo?
A fino luglio, al Politecnico di Milano, si è conclusa la nuova tappa della mostra LAN. Espaces sans espèces, che stiamo facendo girare. È un progetto itinerante, pensato a cinquant’anni dalla pubblicazione di Espèces d’espaces di Georges Perec, un volume che ancora oggi è attuale. E poi c’è un libro in progress, ma ne parleremo a tempo debito!

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "ArtribuneRender", dedicata alla rigenerazione urbana a base culturale. Ha studiato architettura all’Università La Sapienza…

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