Maternità e lavoro? La questione è ancora aperta soprattutto nel settore dell’arte. Intervista a Santa Nastro
Tra stereotipi e falsi miti la maternità è al centro dell’ultimo libro di Santa Nastro, vicedirettrice di Artribune, che ha condiviso la sua esperienza, e quella di altre colleghe impegnate nel settore dell’arte, per ricominciare un po’ a pensare nell’ottica di comunità, oltre che di community
Per quanto sia un fatto naturale, dovuto, essenziale, la maternità rappresenta ancora un tema, una questione di cui parlare perché per le donne che lavorano, soprattutto in un settore non codificato come quello dell’arte. Un argomento che si presta, peraltro, ad essere affrontato da molteplici punti di vista, rivelando un’inaspettata complessità, come emerge dal libro Mamme nell’arte. Artiste e operatrici culturali nella sfida della maternità di Santa Nastro. Il libro sarà presentato il 12 luglio alle ore 19.30 sulla Terrazza dei Tuffi di Polignano a Mare, nel programma del festival Il Libro Possibile. A dialogare con Nastro la giornalista, scrittrice e autrice di programmi tv per la RAI Lorella Di Biase.
Intervista a Santa Nastro sulla relazione tra arte e maternità
Come nasce questo libro?
Mamme nell’arte nasce dalla mia esperienza diretta, dato che sono operativa da sempre nel settore dell’arte e sono diventata madre nel 2023. Nella struttura si collega al mio volume precedente, Come vivono gli artisti, del 2022 – di cui condivide casa editrice: Castelvecchi e collana: Fuoriuscita, a cura di Christian Caliandro – che racconta sfide, necessità e strategie di sostenibilità che gli artisti contemporanei vivono quotidianamente; offrendo una prospettiva insolita sul mondo dell’arte.

Come si vive la maternità nel settore dell’arte?
Personalmente ho avuto un’esperienza molto serena. La mia “maternità” è stata breve, ma sono stata sostenuta tanto nell’ambiente domestico quanto in quello lavorativo, tuttavia, inevitabilmente ho allargato lo sguardo, chiedendomi come molte professioniste riuscissero a coniugare vita professionale, creativa e familiare. Non solo artiste ma anche curatrici, giornaliste, insegnanti, educatrici, illustratrici, direttrici di museo, galleriste, … anche per capire cosa è cambiato oggi rispetto al passato e cosa dovrebbe ancora cambiare.
Com’è costruito il volume?
Il libro è composto da una serie di miei saggi, intervallati da trenta interviste a professioniste attive nel settore con ruoli differenti che, seguendo un questionario abbastanza standard, restituiscono una panoramica della situazione. Termina con una sorta di intervista a me stessa perché, anche per rispetto alle colleghe, ho ritenuto doveroso espormi in prima persona.
Da dove parte la riflessione?
I primi due capitoli sono dedicati ad un’analisi di come la maternità è stata raccontata nella storia dell’arte, considerando che è stato un tema appanaggio degli uomini fino al tardo Ottocento. Rappresentato, quindi, secondo un impianto religioso, cristologico, quello della natività per intenderci; quindi, ritenevo doveroso far capire com’è cambiata la narrazione con l’entrata in scena delle artiste donne. A partire dalle prime esperienze di Berthe Morrisot (Francia, 1841 – 1895) e Mary Cassatt (USA, 1844 – Francia, 1926), definita pittrice delle mamme, pur non avendo mai avuto figli; fino ad artiste come Candice Breitz (Sud Africa, 1972) che guarda alla maternità come fatto politico. Per arrivare alle esperienze di artiste italiane contemporanee come Luana Perilli (Roma, 1981) e il duo Grossi Maglioni, anche fondatrici del collettivo The Glorious Mothers. Mostrando, anche attraverso letteratura e cinema, come la maternità narrata dalle donne perda i tratti idilliaci e favolistici per diventare un evento reale, crudo.
“Mamme nell’arte” è un libro che parla di maternità in modo corale, grazie alla pluralità di voci che lo attraversano ma nella realtà esiste una coralità?
Penso che sarebbe davvero importante costruire una rete di supporto alle madri in generale. Anche perché prima esisteva il concetto di famiglia allargata, per cui la donna veniva accompagnata nella relazione con il bambino; mentre, oggi, per quanto l’intimità sia preziosa, si tende a vivere la maternità in uno stato di solitudine. Allora, dato che buona parte del lavoro nel mondo dell’arte consiste nella costruzione di relazioni, mi sono chiesta come costruirne tra persone che condividono la genitorialità. Perché il confronto è essenziale.
Secondo te qual è il momento più delicato da affrontare?
In generale la maternità è nel suo complesso un’esperienza intensissima. Da quando si viene a sapere di essere incinta, alla nascita del bambino. Sicuramente i primi mesi sono fondamentali, perché cambia TUTTO e il neonato richiede moltissime cure; per questo penso che il supporto di una comunità di riferimento sia essenziale.
Il lavoro nel settore dell’arte si distingue anche per il suo svolgersi in momenti e in luoghi particolari…
Esatto, come dicevo si nutre di relazioni. Chi lavora nell’arte deve partecipare ad eventi che spesso si svolgono la sera e nel weekend, in luoghi non sempre organizzati per accogliere i bambini; per quanto molti musei, come il Mart di Rovereto, siano molto kid friendly e accessibili ai più piccoli.
Quali i cambiamenti necessari?
Prima di tutto culturali, tanto nei confronti tanto dei genitori, quanto dei bambini.
Bisognerebbe smettere di considerare i bambini come “esseri mitologici” e cominciare a pensare a loro come persone, piccole ma persone a tutti gli effetti. Saranno gli adulti del futuro, quindi, supportare i genitori nella loro crescita oggi, vuol dire adoperarsi per una società migliore domani. Da qui l’importanza di coinvolgerli nelle attività culturali, preziosa occasione di crescita per tutti.
Ritiene che sulla maternità gravino ancora stereotipi e pregiudizi?
Assolutamente sì e penso che sia necessario eliminarli.
Che ruolo ha il linguaggio in questo processo?
Il linguaggio è essenziale, ovviamente non solo per il settore dell’arte. Perché, come diceva Nanni Moretti e non solo: “chi parla male, pensa male e vive male”. Il linguaggio riflette tutti gli stereotipi e i pregiudizi che ancora gravano sulla maternità. Ancora oggi si tende a percepire come “normale” una madre che si occupa del figlio ed “eccezionale” un padre che svolge l’identico compito. Mentre anche al padre, in quanto tale, spetta la gestione della prole. Si tratta di un retaggio molto grave ma altrettanto vivo che ho sperimentato io stessa, nella percezione altrui, trovandomi ad eventi di lavoro e raccontando della gestione co-genitoriale che vige sovrana a casa nostra. Insomma, è sbagliato parlare di “padre che supporta la madre nella genitorialità”, perché si tratta di una responsabilità condivisa.
E a dispetto dei pregiudizi, nel libro emerge come la maternità abbia potenziato il tuo modo di lavorare, giusto?
Esattamente sì. Tra gli altri pregiudizi che incombono sul tema c’è quello del “fattore tempo”, ovvero l’idea che una neomamma sia necessariamente una professionista part time; ebbene, è vero l’esatto contrario: si sviluppa una nuova coscienza di sé nel lavoro che può dare adito ad esiti brillanti, ottimizzando i momenti a disposizione. Personalmente ho scoperto capacità e risorse che non conoscevo.
Cos’altro ti ha insegnato diventare madre?
L’importanza di riprendersi i propri spazi come individuo e come famiglia. Indipendentemente dai figli, penso che tutti dovrebbero cercare di sfuggire dalla trappola dell’efficienza a tutti i costi, che richiede di essere reperibili 24/7.
Secondo lei è in corso un cambiamento?
Il solo parlarne rappresenta un cambiamento. Nella ricerca mi ha colpito che all’estero si tratta di un tema già da tempo discusso, per cui esistono tutta una serie di reti sociali da noi ancora inesistenti. Network essenziali soprattutto per gli artisti, una categoria fragile e priva di sostegni istituzionali, In Italia questi temi sono cominciati a emergere recentemente, diventando più rilevanti con la pandemia. Oggi anche nel nostro Paese stanno nascendo nuove realtà in tal senso, come le citate The Glorious Mothers; ma si tratta ancora di casi ancora isolati dal momento che, in Italia, azione e discussione su questo come sugli altri temi di genere sono ancora in fase embrionale.
Ludovica Palmieri
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