La storia della dj Fatima Koanda: dal Panorama Bar di Berlino al palco del Kappa FuturFestival di Torino 

Dalle contaminazioni culturali e musicali alla scena elettronica italiana rispetto a quella europea, in questa intervista la dj si racconta alla vigilia del debutto sul palco del Kappa Futurfestival di Torino

È tra le voci emergenti del panorama elettronico italiano, e non solo, Fatima Koanda, nata a Bergamo da genitori originari del Burkina Faso e della Costa d’Avorio. Nei suoi set porta un patrimonio musicale stratificato che si riflette nelle performance, tra techno, house, afro-tribal ed electro, guidate da intuito ed estetica. Come dj resident del queer party Solida, ha condiviso la consolle con BASHKKA e Herrensauna, ha suonato con Marie Davidson al Le Cannibale, con Paramida ai Mercati Generali e con Paula Tape, Suze Ijo e DJ Tool. E, dopo il debutto al Panorama Bar di Berlino accanto a Honey Dijon e Luke Solomon, Fatima Koanda si prepara a salire sul palco del Kappa FuturFestival, in programma dal 4 al 6 luglio 2025 a Torino. Per l’occasione l’abbiamo intervistata per parlare di identità, delle contaminazioni culturali e musicali e della scena elettronica italiana rispetto a quella europea.

La storia della dj Fatima Koanda

Sei nata in Italia da genitori ivoriani e burkinabé, come questa pluralità ha influenzato il tuo modo di concepire la musica e la performance?
Quando ero piccola, a casa mia, si ascoltava sempre musica: sia italiana, sia ivoriana, sia del Burkina Faso. Io ascoltavo tutto, sempre, senza preferenze particolari. Non c’era un genere che non mi piacesse, ero in una fase di piena esplorazione. Per quanto riguarda la parte africana, in particolare quella ivoriana e del Burkina Faso, la musica di lì è molto ritmata, basata su percussioni, tamburi, piatti ecc. sonorità che fanno già parte dei miei set, in quanto sono coinvolgenti e piene di ritmo, il pubblico le apprezza molto.

La scelta di mescolare generi diversi come l’house, la techno, l’afro-tribal e l’electro è politica, estetica o emotiva?
Ricollegandomi alla domanda precedente, direi che la scelta è sia emotiva che estetica: tutto è iniziato in modo spontaneo e naturale e con il tempo ho approfondito sempre di più la mia ricerca musicale. All’inizio ero convinta di voler suonare solo techno ma, continuando a esplorare e ascoltare, ho trovato il mio sound: una fusione di house, elettronica, contaminazioni afro e altri sottogeneri. La techno è ancora presente, ma in piccole dosi. I miei set mi rappresentano: sono allegri, solari e positivi, proprio come me. Questa dimensione estetica per me è importante perché racconta chi sono. Ascoltandoli, si può sentire una coerenza nei suoni e nelle scelte musicali. È tutto connesso, è tutto mio, qualcosa che sento profondamente.

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Fatima Koanda, Hör Berlin, 2024

Fatima Koanda tra la scena elettronica italiana ed europea

Hai suonato in club iconici e festival di riferimento, dal Panorama Bar al prossimo Kappa FuturFestival. Cosa significa oggi affermarsi nella scena elettronica europea?
Per me significa tantissimo, so che ho ancora tanto lavoro da fare, ma sono davvero molto contenta e orgogliosa di quello che sto costruendo. Anzi, di quello che stiamo costruendo, perché non sono da sola: siamo una squadra. Ci sono io, il mio manager Amed, la mia coach Patrizia e altre persone che lavorano costantemente insieme a noi. Per me ha davvero un grande valore e spero che questo impegno e questa crescita si vedano e si notino anche dall’esterno. È chiaro che c’è ancora tanta strada da fare per consolidarsi sempre di più, ma credo davvero che siamo sulla buona strada. La cosa che amo di più è incontrare tantissime nuove persone, che ci ispirano e che, a poco a poco, diventano un po’ la nostra famiglia.

Come vedi l’evoluzione della scena elettronica e culturale italiana rispetto al contesto europeo? Cosa manca, cosa resiste, cosa sta emergendo?
Negli ultimi anni, la scena elettronica italiana è sicuramente cresciuta ed evoluta rispetto al passato. Sempre più dj hanno scelto di avvicinarsi a queste sonorità e di portare avanti un certo tipo di sound, ma credo che siamo ancora pochi, soprattutto se ci confrontiamo con il panorama europeo. La scena elettronica in altri paesi è un ecosistema più ampio, dove le influenze arrivano da ogni parte del mondo e c’è una maggiore apertura, sia per chi vuole ascoltare sia per chi lavora nel settore e sta cercando di costruirsi un proprio percorso. In Italia forse mancano ancora i contesti giusti: spazi, club e situazioni che permettono davvero alla musica elettronica di crescere e di essere vissuta in maniera continuativa. Non che non esistano: ci sono realtà eccellenti e riconosciute anche a livello europeo e internazionale, come il party Solida in cui sono resident o format artistici e sperimentali come Look At Me, del duo curatoriale Ardere, per esempio. Attraverso queste realtà, stanno emergendo le energie, le persone, i talenti e le idee giuste per fare sempre di più.

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Fatima Koanda © Photography by Jake Philip Davis

Fatima Koanda tra musica e moda 

In che modo ti prepari a una performance musicale?
Suono ormai da diversi anni, ma l’emozione che provo ogni volta che salgo sul palco o mi metto in console è sempre la stessa. C’è sempre un po’ di agitazione, anche con l’esperienza. Credo sia una parte naturale e bella di questo lavoro. Per gestire la tensione, mi aiuta molto andare in palestra per sfogarmi e seguire un’alimentazione sana. Un aspetto molto importante, soprattutto quando ho dj set particolarmente rilevanti, sono le sessioni di bioenergetica che faccio ormai da quasi due anni con Patrizia Marforio, una delle socie di Amed, il mio manager. Patrizia, oltre a essere una persona splendida, è una coach bioenergetica relazionale e segue proprio il progetto di Amed dedicato al benessere psicofisico dei talent con cui lavora. Queste sessioni, soprattutto quando le faccio prima di una performance, fanno davvero la differenza: mi aiutano a scaricare, a ritrovare il focus e a vivere l’esperienza con maggiore presenza e serenità.

Hai collaborato con brand come Gucci e Tom Ford e la tua figura è diventata di riferimento anche in ambito moda: nella tua esperienza, come dialogano questi due mondi?
All’inizio di questo progetto ci siamo dati alcuni obiettivi: alcuni li abbiamo già raggiunti, altri li raggiungeremo con il tempo. L’obiettivo principale è sempre quello di suonare nei club e nei festival internazionali, ma anche di creare connessioni con il mondo della moda, un ambiente che sento profondamente vicino. Il desiderio è quello di integrare la musica in ambienti trasversali, dove anche la moda diventa parte del racconto. Lo styling ad esempio, è un elemento centrale delle mie esibizioni: ciò che indosso, come mi presento sul palco, è parte integrante dell’esperienza che voglio trasmettere. Guardando avanti, mi piacerebbe arrivare a curare il sound di sfilate e show, sia in Italia che all’estero.

Caterina Angelucci

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Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995) è laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oltre a svolgere attività di curatela indipendente in Italia e all'estero, dal 2018 lavora come…

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