
Nello spazio mensile che Artribune dedica alle recensioni videoludiche stavolta parliamo di videogiochi francesi (Amerzone – The Explorer’s Legacy e Clair Obscur: Expedition 33), di puzzle (ancora Amerzone – The Explorer’s Legacye Blue Prince) e di due ritorni, quello della serie Doom (DOOM: The Dark Ages) e quello dello sviluppatore giapponese Keita Takahashi (to a T).
Matteo Lupetti
Amerzone – The Explorer’s Legacy
Nel 1932 un giurista cresciuto nella cultura illuminista europea, un prete gesuita e uno scienziato partono dalla Francia per raggiungere un piccolo stato dell’America Latina, Amerzone. E lo distruggono. L’illuminista instaura una dittatura fascista. Il religioso collabora alle campagne di conversioni forzate. Lo scienziato se ne torna in Francia dopo aver rubato il grande uovo da cui doveva nascere l’intera generazione successiva degli uccelli bianchi che vivono in simbiosi con la popolazione nativa e che sono al centro della sua cultura. 60 anni dopo, lo scienziato ormai pentito e morente chiede a un giovane e ambizioso giornalista di ripercorrere quel viaggio per restituire l’uovo, rimasto perfettamente integro, e farlo finalmente schiudere. Così iniziava nel 1999 L’Amerzone: le Testament de l’explorateur, la prima avventura grafica (cioè un videogioco incentrato sulla risoluzione di enigmi) sviluppata dal fumettista belga Benoît Sokal con Microïds, collaborazione che sarebbe proseguita con la serie Syberia (2002-in corso). Amerzone – The Explorer’s Legacy è un remake espanso di quel primo esperimento videoludico di Sokal e ne segue fedelmente il percorso arricchendolo però di dettagli, puzzle e storie. I suoi temi (la continuità tra natura e cultura, la critica ai sistemi epistemologici e imperialisti occidentali…) sono solo diventati più attuali nel tempo trascorso e qua vengono ulteriormente approfonditi. Ma restano pure certi limiti, alcuni provenienti dai modelli di Sokal (il romanzo d’avventura) come il protagonista white savior e altri dovuti all’attrito tra le tematiche postcoloniali e lo stesso medium videoludico. Amerzone – The Explorer’s Legacy di Microïds è disponibile per Windows (versione provata), PlayStation 5 e Xbox Series S e X. Ottima la traduzione italiana dei testi, anche se nel remake manca il doppiaggio italiano presente nell’originale.
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Blue Prince
Il ragazzino protagonista di Blue Prince erediterà la lussuosa villa del prozio appena defunto se, partendo dalla porta d’ingresso, riuscirà a raggiungere la misteriosa 46esima stanza in una sola giornata. Può fare quanti tentativi vuole, ma la casa è piena di enigmi appositamente architettati dall’eccentrico ex proprietario e anzi sembra essa stessa un unico grande puzzle, anche perché la disposizione dei suoi locali cambia ogni giorno. Nel tempo si imparano però a conoscere le regole dell’abitazione, che lentamente cambia in base alle nostre azioni e alle nostre scelte e diventa uno spazio dove noi, e il personaggio principale, ci sentiamo (appunto) a casa. Blue Prince combina due formule. La prima è quella roguelite, in cui in ogni partita la mappa di gioco viene generata semicasualmente da algoritmi ricombinando elementi base, ma in cui è anche possibile sbloccare potenziamenti permanenti. Slot machine che ci spingono a rigiocare, perché il sistema di progressione ci assicura che la prossima partita sarà effettivamente migliore della precedente. E poi un mondo in cui ogni particolare è testo che aspetta di essere compreso e letto dal personaggio principale (e da noi). Un mondo per il pensiero complottista, per cui ossessionarsi nella continua ricerca di misteri e indizi. Raggiungere la stanza 46 è infatti solo il primo passo nell’esplorazione di una storia familiare e politica di cui per quanto ne sappiamo nessuna persona ha al momento ancora visto la fine. Blue Prince di Dogubomb e Raw Fury è disponibile per PlayStation 5 (versione provata), Windows e Xbox Series S e X. Il gioco è anche compreso nel catalogo dell’abbonamento PlayStation Plus Extra, e necessita di una buona conoscenza dell’inglese.
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Clair Obscur: Expedition 33
Clair Obscur: Expedition 33 parla di arte d’evasione. Nel finale, ci chiede se vogliamo restare all’interno di una fantasia costruita solo per la nostra soddisfazione (una fiction all’interno della fiction del videogioco), o se è l’ora di uscirne per affrontare il mondo fisico (o ciò che in questa finzione è inteso come tale). Nostalgicamente ispirata al primo periodo 3D del cosiddetto “videogioco di ruolo in stile giapponese” e alle sue opere con combattimenti a turni come Final Fantasy X(Square, 2001), Clair Obscur: Expedition 33 ha inoltre attirato l’attenzione anche di grandi testate ed emittenti generaliste come la BBC grazie a un’attenta comunicazione che sin da prima dell’uscita l’ha raccontata come una piccola produzione francese realizzata da solo una trentina di persone scontente della grande industria videoludica odierna. Un’industria che viene avvertita dalle frange più reazionarie e nostalgiche come ormai anche troppo progressista. In realtà a questo videogioco hanno lavorato centinaia di persone in tutto il mondo ed è pubblicato da una multinazionale supportata dal gigante cinese della tecnologia NetEase. Ma Clair Obscur: Expedition 33 si è quindi proposta essa stessa come opera d’evasione in qualche modo post-ideologica, lontana da qualsiasi impegno politico e dai grandi dibattiti attuali. Ed è interessante che allora il videogioco ci ponga nuovamente il suo dilemma conclusivo, implicitamente e forse inconsapevolmente, anche dopo il finale stesso, quando dobbiamo scegliere se continuare a giocarlo per affrontare le molteplici sfide opzionali di questa fantasia. Clair Obscur: Expedition 33 di Sandfall Interactive e Kepler Interactive è disponibile per Windows (versione provata), PlayStation 5 e Xbox Series S e X. Buona, anche se non perfetta, la traduzione italiana dei testi, mentre consigliamo di giocare con il doppiaggio francese.
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DOOM: The Dark Ages
La partizione binaria dello spazio è “un metodo per rappresentare in tempo reale un paesaggio virtuale dividendolo in parti poi inserite in una gerarchia che lo rende facilmente computabile” racconta N.B. Spiders in Out of Bounds (2023). “Negli anni 90 […] questo metodo avrebbe reso possibili gli ambienti dei videogiochi”, a cominciare da Wolfenstein 3Dper Super Nintendo (id Software, Imagineer, 1993) e Doom (id Software, 1993), che definirono lo “sparatutto in prima persona”. Ma, continua Spiders, questa tecnologia “è stata ideata nel 1969 da un laboratorio di ricerca dell’aeronautica militare statunitense per visualizzare i paesaggi dei simulatori di volo in modi più immersivi ed efficienti. Una tecnologia militare è all’origine delle immagini 3D in tempo reale”. Ogni episodio di Doom ha reinterpretato quale sia il nucleo fondamentale della serie. DOOM: The Dark Ages rallenta e semplifica l’azione, rompe la successione di corridoi e piccole arene dei due capitoli precedenti con grandi spazi più liberamente esplorabili e ci permette di parare, e riflettere, gli attacchi nemici. Resta la continuità con l’industria militare: il 7 aprile il movimento pro-Palestina BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) ha inserito Microsoft, proprietaria di Doom, nella sua lista di aziende da boicottare. “Microsoft è forse la compagnia tecnologica più complice nell’illegale regime di apartheid israeliano e nel genocidio in corso di 2,3 milioni di palestinesi a Gaza” scrive BDS, citando le molte collaborazioni di Microsoft con il sistema carcerario e l’esercito di Israele raccontate dalla testata di giornalismo investigativo +972 Magazine.
DOOM: The Dark Ages di id Software e Bethesda Softworks (parte di Microsoft) è disponibile per Windows (versione provata), PlayStation 4 e Xbox Series S e X. Il gioco è tradotto e doppiato in italiano.
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to a T
Lo sviluppatore giapponese Keita Takahashi è noto soprattutto per Katamari Damacy (Namco, 2014), che attraverso le sue meccaniche di gioco costruisce una critica al consumismo. La nuova opera che ha diretto, to a T, è invece una commedia interattiva sulla disabilità in cui il personaggio tredicenne che interpretiamo ha le braccia bloccate sin dalla nascita in una posa a T. Come dice la sigla iniziale degli episodi in cui la trama è divisa, la morale è che ogni persona è “della forma perfetta”. È un videogioco chiaramente pensato per un pubblico molto giovane, ma affronta i suoi temi con una leggerezza che sconfina nella superficialità. Altri videogiochi almeno leggibili come esperienze sulla disabilità o più in generale sulla non conformità, come Octodad: Dadliest Catch (Young Horses, 2014), hanno reso giocabile l’attrito tra corpi non conformi e la società con le sue norme (e le sue architetture). In to a T c’è una certa attenzione a come strumenti specifici siano fondamentali per l’indipendenza quotidiana delle persone con disabilità, ma il suo mondo di gioco appare in generale troppo accomodante, troppo facile da navigare. Anzi, la città è piena di monete (da spendere in abiti e tagli di capelli) raggiungibili solo grazie alla nostra capacità di volare usando come elica le braccia bloccate nella posa a T. Persino i bulli locali fanno amicizia con il personaggio principale quando scoprono che la sua disabilità nasconde questo superpotere utile e produttivo. E sono piuttosto scarse le opzioni di accessibilità del gioco stesso. to a T di uvula e Annapurna Interactive è disponibile per Windows (versione provata), PlayStation 5 e Xbox Series S e X. Qualche errore nella traduzione in italiano.
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