Tra macroscopico e microscopico. La grande mostra di Vija Celmins alla Beyeler di Basilea
Cieli stellati, ragnatele, deserti e oggetti quotidiani: questi i soggetti con cui da tutta la vita si confronta la pittrice lettone Vija Celmins, protagonista di una grande mostra alla Fondazione Beyeler di Basilea

Vija Celmins è stata omaggiata da grandi retrospettive al San Francisco Museum of Modern Art e al Metropolitan Museum of Art di New York nel 2018, alla Art Gallery of Ontario di Toronto nel 2019. In Italia è pressoché sconosciuta, mentre parte del suo lavoro è stato esposto tra il 2008 e il 2011 al Centre Pompidou, al Museum Ludwig di Colonia e al Palazzo della Secessione di Vienna. Tutto sommato in Europa di sue opere ne se circolate poche, anche perché Celmins in oltre mezzo secolo di attività ne ha realizzate non più di 220, lavorando secondo ritmi propri, rifiutando di piegarsi ai meccanismi propri del commercio. Anche per questo l’esposizione in corso alla Fondation Beyeler risulta particolarmente preziosa: comprende circa 90 lavori tra dipinti, disegni, stampe e sculture che restituiscono e l’ampiezza del suo potere creativo.

Chi è Vija Celmins
Nata nel 1938 a Riga in Lettonia, a sei anni con la famiglia è già in fuga dall’esercito sovietico che avanza verso la Germania. Da qui raggiunge gli Stati Uniti nel 1948. Nel 1963 apre il suo primo studio a Venice (Los Angeles): è lo stesso anno in cui Warhol espone in questa città i ritratti delle lattine Campbell. Celmins però non è attratta dai colori vividi della Pop e nemmeno dalla luce della California. Ancora incerta sulla direzione da prendere, nel 1964 Inizia a dipingere oggetti presenti nel suo studio: una lampada da tavolo, una stufetta elettrica, una piastra scaldavivande per cui impiega una gamma smorzata di marroni e grigi, ravvivati da un’occasionale scarica di rosso elettrico. Non sono però oggetti passivi: le lampada appare una creatura dagli occhi vigili, il bagliore arancione della stufetta suggerisce pericolo, tra loro c’è una mano che impugna un revolver mentre esplode un colpo. Celmins aveva incontrato la pittura di Morandi durate un viaggio in Italia del 1962 ma in lei ricordi di guerra e catastrofi prevalgono.

La mostra di Vija Celmins a Basilea
La mostra alla Beyeler si apre proprio con questi primi dipinti fronteggiati da una serie appena posteriore, dove l’artista ricostruisce ad olio su tela immagini della Seconda guerra mondiale o altri conflitti. Sono soggetti ripresi da libri o riviste: bombardieri in volo o sfracellati al suolo, un uomo avvolto dalle fiamme che fugge da un’auto incendiata, disordini razziali a Los Angeles come li rappresenta una copertina di Time. È un modo di procedere questo che non abbandonerà più: da quel momento, sino alla a metà dei ’90, continuerà ad avvalersi di foto trovate o scattate da lei stessa. Non si tratta però di pittura foto-realista, qui le immagini non si esauriscono nel loro contenuto immediato. Celmins sceglie in questo modo di eliminare dal suo lavoro ogni forma di composizione, soffoca ogni gesto, si distanzia da ogni ego dedicandosi esclusivamente alla forma. Ma allo stesso tempo pretende da chi osserva di guardare a lungo, di stare insieme a lei di fronte e a tele dove non c’è narrazione, eppure si resta invariabilmente assorbiti. È questa la sua magia.

Vija Celmins, tra disegni e deserti
Nella sala seguente della Fondazione svizzera appaino disegni che riproducono paesaggi lunari ripresi dalle sonde statunitensi alla fine degli anni 1960. Poi il disegno a carboncino di una porzione di oceano e lì accanto quella di un deserto. Cieli, mare e deserti: terminata la prima fase di riprese in studio sono questi i suoi temi. Mentre ancora vive a Los Angeles, intraprende escursioni attraverso i deserti della California, del Nevada e del Nuovo Messico. Le pietre sparse sul terreno, ognuna con forma diversa, vengono ridisegnate sulla carta in toni più chiari e più scuri. Il dettaglio è tale da far perdere ogni nozione di scala: si sta guardando una piccola superficie di terreno o una vasta distesa vista dall’alto? Vale per il deserto come per l’oceano fotografato poco distante da casa o la serie di cieli stellati dipinto a partire da immagini ottenute dei telescopi della Nasa. Qui ogni punto luminoso è diverso, Celmins rifiuta la ripetizione sistematica del minimalismo, applica i tocchi minuti con pennelli che si nutrono di miscele di bianco, nero, terra d’ombra, blu oltremare o come, nei Night sky degli Anni Novanta, lascia in bianco minuscoli cerchi che non sono coinvolti dal suo intervento: i campi visivi che ne emergono hanno un’intensità ipnotica.

Vija Celmins e l’attenzione al dettaglio
Nel 1992 Celmins si imbatte in un libro illustrato che riproduce ragnatele. Incantata dai motivi concentrici dei lori filamenti, dà vita a un gruppo di dipinti e di disegni a carboncino che ritraggono la texture di svariati oggetti, quali la copertina di un libro giapponese, lo smalto incrinato di un vaso coreano, la superficie graffiata di lavagnette d’ardesia trovate nei mercatini delle pulci di Long Island (dove si è trasferita e abita tuttora) la forma bucherellata di una conchiglia erosa: ogni pezzo è una meditazione che si trascina nel tempo. Nell’ultima sala dedicatagli dalla Beyeler la meditazione si approfondisce nei lavori più recenti. Sei dipinti e un’acquaforte condividono il titolo Snowfall. Migliaia di fiocchi bianchi e grigio chiaro immobili sulla superficie. In Snowfall (blue) (2022–24), il più grande dipinto che abbia mai realizzato una tempesta di punti si muove dalla parte alta a quella bassa della tela. In tre altri quadri, una linea ondulata vicino al bordo inferiore suggerisce un punto di vista aereo, come se si guardasse dall’alto un banco di nuvole illuminate.
“Vengo dall’inverno. Camminare nella neve da bambina, in Lettonia, fu una magia che non ha mai dimenticato” Vija Celmins
Aldo Premoli
Riehen // fino al 21 settembre
Vija Celmins
FONDATION BEYELER
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