Biennale Architettura: il dialogo sul diritto all’abitare nel Padiglione Austria tra Vienna e Roma 

Una riflessione politica sulla crisi dell'abitare che diventa laboratorio di negoziazione, analizzata nell’intervista al curatore Michael Obrist

Vienna e Roma: due capitali, due approcci opposti alla questione abitativa, entrambi esempi di alternative possibili in un’epoca di speculazione immobiliare. Nel Padiglione dell’Austria alla Biennale Architettura 2025, l’Agency for Better Living trasforma lo spazio di Joesf Hoffmann in un teatro di confronto tra modelli di governance urbana. Ne parliamo con l’architetto Michael Obrist (Bolzano, 1972), curatore del Padiglione insieme a Sabine Pollak e Lorenzo Romito.

Intervista all’architetto Michael Obrist, tra i curatori del Padiglione Austria alla Biennale Architettura 2025

Entrando nel Padiglione Austria, colpisce subito la trasformazione dello spazio di Hoffmann con una simmetria più marcata. Come avete sviluppato l’allestimento in relazione al padiglione?
La strategia spaziale si è evoluta in modo organico con il progetto curatoriale. Abbiamo valorizzato la simmetria dell’edificio di Hoffmann, che originariamente presentava uno spazio aperto con colonnati che permettevano un passaggio fluido tra sinistra e destra. Abbiamo accentuato questa dualità chiudendo parzialmente lo spazio per dare maggior valore al cortile centrale, trasformandolo in quello che chiamiamo Space of Negotiation. Questo nucleo diventa così il punto di partenza da cui osservare i due sistemi contrapposti e immaginare possibilità di ibridazione. Nel cortile sono presenti anche cinque Climate Change Winners.
 
Ovvero?
Sono piante studiate con archeobotanici che sopravviveranno alla mediterranizzazione del clima viennese nei prossimi decenni: un altro punto di contatto simbolico tra le due città.
 
E poi, al centro di questo spazio di negoziazione, c’è un altro elemento particolarmente significativo…
Abbiamo ricreato la piscina che Hoffmann aveva originariamente progettato per il padiglione e che, dopo la sua morte, è misteriosamente scomparsa dai piani esecutivi. Questa ricostruzione è stata realizzata utilizzando mattoni Wienerberger, la stessa azienda che ha letteralmente costruito Vienna con i suoi materiali.
 
Perché lo avevo fatto?
È una scelta che racchiude una stratificazione di significati: parla di memoria, trasformazione e connessioni territoriali. Questi mattoni sono soltanto noleggiati, un elemento che sottolinea il carattere temporaneo ma significativo dell’installazione. In questo spazio, durante tutta l’estate, organizzeremo dibattiti sulla questione abitativa, trasformando il padiglione in un vero laboratorio di idee.

Vienna: un modello sociale “invisibile” e le sue contraddizioni

Cosa rende straordinario l’approccio viennese all’housing sociale?
La notevole ampiezza dell’intervento pubblico nell’abitare è invisibile, e questo è al contempo la sua forza e la sua debolezza. Passeggiando per la città, non percepisci chi vive in una casa sociale, non vedi che quell’appartamento ha un canone di 8 € al metro quadrato, un quarto di quanto si pagherebbe a Parigi. Questo genera una forte coesione sociale ma, paradossalmente, rende anche meno consapevoli i cittadini dei privilegi di cui godono.
 
Puoi farci qualche esempio?
A Vienna il 77% della popolazione vive in affitto, e di questa, il 55% abita in alloggi a canone calmierato. Il Comune possiede 220.000 appartamenti, cui si aggiungono 200.000 abitazioni gestite da cooperative non-profit. Nel Padiglione presentiamo una mappa che visualizza questa impressionante presenza territoriale; se aggiungiamo anche gli alloggi delle cooperative, l’immagine diventa quasi illeggibile perché coincide praticamente con la città stessa. È la metà dell’economia urbana che detta le regole del gioco, influenzando persino il mercato privato.

Come funziona il social housing a Vienna? Lo spiega il Padiglione Austria alla Biennale Architettura 2025

Questo panorama mostra come il social housing viennese non rappresenti, quindi, uno status social.
Esattamente, e questa è una differenza fondamentale rispetto al resto d’Europa: il social housing è concepito per tutti, con soglie di accesso estremamente ampie. Una persona può guadagnare fino a 59.500 euro netti annui – circa 100.000 lordi – e ancora accedervi, rendendo il sistema teoricamente disponibile all’80% della popolazione. Le soglie di reddito sono state alzate così tanto che, guardando le cifre reali, quasi l’80% della popolazione potrebbe teoricamente accedervi.
 
Un approccio così inclusivo deve avere avuto conseguenze anche sulla composizione sociale della città.
Assolutamente. Bastano due anni di residenza per accedere, senza requisito di cittadinanza austriaca. Nella mostra evidenziamo anche l’importante riforma legislativa che ha aperto il sistema abitativo pubblico ai non-austriaci. Questa scelta politica, apparentemente tecnica, ha rappresentato una rivoluzione silenziosa nella gestione della città, con un impatto profondo sulla sua composizione demografica.
 
Nel padiglione raccontate anche le contraddizioni di questo modello.
Al di là delle questioni dei costi e dell’accessibilità nel corso del tempo, che richiederebbero verifiche periodiche del reddito per mantenere l’equità del sistema, esiste quello che chiamiamo “The Dark Side of Caring”: il rischio che un sistema così protettivo generi passività.
 
Cosa intendi?
Come si mantiene vivo l’empowerment in un contesto dove tutto funziona? Come si evita che le persone diventino semplici clienti, perdendo la capacità di prendersi cura attivamente della società? Il 90% del mondo sogna una sicurezza abitativa simile, ma la sfida è mantenere vivi i valori di solidarietà in un sistema così efficiente.

Nel Padiglione Austria l’ordine istituzionale di Vienna e la resilienza creativa di Roma

Come avete strutturato questi contenuti nell’allestimento?
La mostra presenta otto stazioni non lineari dove alcuni temi si ripetono: dalla Vienna Rossa degli Anni Venti, con i suoi superblocks progettati per includere non solo abitazioni ma anche servizi collettivi, fino alle sperimentazioni contemporanee.
 
E cosa sta accadendo in questi anni?
Oggi, con la necessità di appartamenti per 25.000 nuovi abitanti ogni anno, Vienna affronta una trasformazione in cui la produzione di case diventa letteralmente produzione di città, integrando funzioni urbane che vanno ben oltre il semplice abitare. Raccontiamo anche interventi pionieristici come l’Einküchenhaus – One Kitchen House del 1921, con 246 appartamenti per giovani donne lavoratrici, dotati di micro-cucine e spazi di ristorazione collettiva gestiti da cuochi professionisti – una soluzione che ancora oggi apparirebbe radicale.
 
Parliamo di Roma, l’altro polo di questo confronto dialettico.
Roma incarna l’approccio bottom-up, con la straordinaria capacità di metabolizzare le rovine del contemporaneo trasformandole in opportunità abitative. La città sa “riabilitare” gli spazi abbandonati, convertendoli in laboratori di sperimentazione sociale. Questi “paesaggi improvvisati”, spesso nati da realtà clandestine, sono la risposta spontanea alle contraddizioni urbane.
 
Ovvero?
La peculiarità di Roma è quella resilienza ciclica che ha reso gli interstizi dimenticati catalizzatori di nuove pratiche dell’abitare. Non sorprende tanto la bellezza formale, quanto la capacità di rispondere a esigenze immediate con una creatività anticipatrice. Mentre Vienna pianifica, Roma improvvisa, e proprio in questa improvvisazione emerge una saggezza urbana che fa della precarietà non un limite, ma un metodo.

Centro Sociale Occupato Autogestito, CSOA ex-SNIA, Pigneto-Prenestino neighborhood, Rome, Italy, 2025. AGENCY FOR BETTER LIVING, Austrian Pavilion, Bien © Armin Linke 2025
Centro Sociale Occupato Autogestito, CSOA ex-SNIA, Pigneto-Prenestino neighborhood, Rome, Italy, 2025. AGENCY FOR BETTER LIVING, Austrian Pavilion, Bien © Armin Linke 2025

Roma e Vienna: modelli abitativi a confronto (anche nell’allestimento) e la documentazione fotografica di Armin Linke

Esistono punti di contatto tra questi due modelli apparentemente antitetici?
Al di là delle differenze apparenti, esistono sorprendenti punti di contatto tra Vienna e Roma. In entrambe le realtà, le abitazioni rispondono ai bisogni essenziali delle persone, al di là delle retoriche sull’innovazione. Non tutti coloro i quali vivono in queste case occupate cercano il co-housing: la rifugiata ucraina o la famiglia assistita vogliono semplicemente una casa, ma trovano nel vivere insieme dei vantaggi. Nelle strutture viennesi come nelle occupazioni romane nascono spontaneamente reti di supporto, dimostrando che la solidarietà è una risposta umana alle necessità condivise, non il prodotto di un’architettura specifica. Tuttavia, ci sono strutture architettoniche che supportano meglio questi nuovi modi di convivenza: spesso il riuso di edifici dismessi – ex amministrativi, caserme o fabbriche – si rivela più efficace per sperimentare nuove forme dell’abitare rispetto alle tipologie residenziali tradizionali.
 
E qual è la principale differenza?
A Vienna questi processi sono stati istituzionalizzati, mentre a Roma restano espressioni di resistenza. A Vienna persino le rivendicazioni sociali seguono percorsi ordinati: il sistema ha metabolizzato le istanze progressiste trasformandole in prassi amministrativa.
 
Come avete tradotto nel layout espositivo il confronto tra tali visioni?
Abbiamo creato una struttura espositiva che, pur restando in secondo piano, rappresenta nella sua logica costruttiva le differenze tra i due approcci urbani. Per Vienna abbiamo utilizzato un sistema di fissaggio regolare e ordinato; per Roma i punti di ancoraggio sono più grandi e liberi. Le mappe delle due città, posizionate in modo speculare, evidenziano i contrasti tra i rispettivi sistemi.

La crisi globale dell’abitare e l’ibridazione delle risposte di Vienna e Roma

Nel Padiglione Austria 2025 non mancano i modelli…
Per Roma ci siamo concentrati sull’autorappresentazione degli occupanti di case e attivisti, con un modello del Corviale in legno che documenta 100 occupazioni e una colonna a elica in gesso e carta riciclata che racconta le battaglie per il diritto alla casa. Per Vienna abbiamo posizionato al centro Megastructure on the Couch un mobile rosso-rosa ispirato a una foto della serie Du, meine konkrete Utopie di Zara Pfeifer sul Wohnpark Alterlaa. Questo elemento fisico e morbido funziona come oggetto su cui i visitatori possono sdraiarsi, grande quanto due letti matrimoniali uniti, e rappresenta i potenziali nuovi modi di vivere e abitare nelle case del futuro.
 
Qual è il ruolo delle fotografie di Armin Linke in questo racconto?
Il lavoro fotografico di Linke è essenziale: ha documentato gli spazi di negoziazione dei due diversi sistemi abitativi. Le sue immagini guardano dietro le quinte dove questi sistemi si manifestano: dagli uffici dell’amministrazione pubblica fino agli spazi d’incontro di pionieri e attivisti dove vengono discusse le politiche abitative, catturando sia i processi formali che quelli informali.
 
In conclusione, quale visione emerge da questo confronto tra Vienna e Roma?
Il nostro obiettivo è trasformare il padiglione in un laboratorio attivo. La crisi dell’abitare è globale, ma le risposte devono necessariamente essere locali e contestuali. Forse proprio dall’ibridazione tra il rigore amministrativo viennese e la creatività spontanea romana possono emergere soluzioni capaci di affrontare le sfide più urgenti del nostro tempo: garantire il diritto alla casa in un’epoca in cui gli appartamenti sono diventati principalmente oggetti di speculazione finanziaria.
 
Simona Galateo

Scopri di più

Libri consigliati:


(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti) 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Simona Galateo

Simona Galateo

Architetto e curatore, ha studiato alla Facoltà di Architettura di Ferrara, Urban Studies alla Brighton University con una borsa di studio post-laurea e ha ottenuto un Master di II livello in Strategic and Urban Design al Politecnico di Milano. Prosegue…

Scopri di più