Razzismo, diversità, islamofobia nella rassegna cinematografica curata da Aya Mohamed a Milano
Continua fino a metà luglio la rassegna estiva “Amara Terra Mia”, organizzata da una comunità diasporica del Sud Ovest asiatico e del Nord Africa in collaborazione con Cinema Nuovo Armenia. Ce ne parla la direttrice, creator milanese di origini egiziane

Dall’incontro tra Cinema Nuovo Armenia, spazio milanese dedicato alla promozione della cinematografia contemporanea di Africa, Asia e America Latina, e DARNA, progetto cinematografico che dà voce alle comunità delle diaspore SWANA (Southwest Asia and North Africa, Sud Ovest asiatico e del Nord Africa), è nato il cineclub Amara Terra Mia. Si tratta di una rassegna estiva e all’aperto in programma fino al 26 luglio 2025 e articolata in cinque appuntamenti, in cui il cinema è centrale ma attorno a esso si animano tante altre forme d’arte. Ma cosa avviene durante la rassegna? Che tipo di racconto non convenzionale viene fatto? Qui la nostra conversazione con la sua direttrice Aya Mohamed, creativa poliedrica, nata in Egitto e cresciuta a Milano e attivamente impegnata nel dialogo su temi quali diversità, islamofobia, razzismo e femminismo.

L’intervista alla direttrice della rassegna cinematografica“Amara Terra Mia”
Sei un’appassionata di cinema?
Il cinema è sempre stato un elemento presente in casa mia e soprattutto quello egiziano, che a livello internazionale ha avuto un impatto anche molto importante e culturale. Ammetto che il cinema non ha mai rappresentato una passione ricorrente però c’è sempre stato nella mia vita e c’è maggiormente negli ultimi anni.
Cosa è successo negli ultimi anni?
Ho avuto la possibilità di accedere a spazi come la Mostra del Cinema di Venezia, e ho imparato a guardare al cinema da una prospettiva diversa, sia per il tipo di linguaggio sia per l’impatto che può avere sulla società.
Oggi quindi cosa rappresenta per te?
Penso che sia, come tante altre forme d’arte, uno strumento importantissimo e non solo per la sua espressione o per la sua narrazione.

Raccontare la terra e le origini attraverso il cinema
Ci sono registi che in un certo senso hanno influenzato la tua visione artistica o estetica?
Il regista egiziano Youssef Chahine ma anche il regista iraniano Abbas Kiarostami. E poi c’è una giovane regista, Lina Soualem, nata da padre algerino e madre palestinese, che ha attraverso i suoi film ha raccontato le terre di origine dei genitori e soprattutto con Bye Bye Tiberias, ha avuto un impatto gigantesco a livello internazionale gigantesco.
Cosa ti ha colpita di questo film?
Tutta la vicenda. Lina Soualem ricostruisce la storia di sua madre tornando lei stessa in Palestina e andando alla ricerca delle proprie origini. Un film che non parla necessariamente di guerra, di genocidio, di politica. È più un’esperienza umana, universale. La storia di qualcuno che cerca di risalire alla propria provenienza. Un film molto potente.

DARNA, il progetto che dà voce alle comunità delle diaspore SWANA
Mi racconti le origini di DARNA?
DARNA è il progetto che ho fondato con degli amici che lavorano nel cinema. Io non c’entravo nulla col mondo del cinema ma con tutti loro, e separatamente, stavo avendo alcune discussioni affini e avevamo tutti la stessa idea, creare qualcosa che fosse casa. DARNA (in arabo “la nostra casa”) è un progetto che mette al centro le comunità diasporiche, offrendo spazi in cui il cinema diventa strumento potente per raccontare e riappropriarsi delle proprie narrazioni, libere da stereotipi esterni.
Dimmi di più, cosa volete fare con questo progetto?
Vogliamo promuovere il cinema da tutta la regione allargata del Sud Ovest asiatico e del Nord Africa coinvolgendo anche paesi che vengono spesso ignorati o comunità marginalizzate. Vogliamo dare spazio a queste narrazioni autentiche in Italia, narrazioni che vengono portate avanti dalle stesse persone che le vivono e non da chi ne ha uno sguardo esterno. Non vogliamo più essere raccontati da altri, vogliamo raccontarci noi stessi.
Volete costruire un vostro appuntamento e momento?
Vogliamo creare qualcosa che diventi normalità dando alle nostre comunità diasporiche la possibilità di sentirsi rappresentate, viste e raccontate senza stereotipi, senza pregiudizi e offrire a tutti gli altri un’alternativa di racconto potendo così avvicinarci e creare un altro tipo di comunità.

La rassegna cinematografica“Amara Terra Mia” secondo Aya Mohamed
È così che ha preso vita la rassegna cinematografica Amara Terra Mia?
Lo scorso anno abbiamo iniziato una conversazione con il Cinema Nuovo Armenia ed è nato questo cine club estivo che sta andando benissimo e di cui sono davvero contenta. Il titolo riguarda una canzone e lo abbiamo scelto perché l’intera rassegna si concentra sulla relazione tra lo spazio, quindi l’ambiente, e il protagonista. Quando si pensa ai paesaggi del Nord Africa o del Medio Oriente viene in mente l’immagine del deserto senza però pensare che esistono boschi, montagne, e che ci sono tantissimi altri scenari. Con questa rassegna vogliamo proprio esplorare tutto il territorio.
La rassegna prevede solo proiezioni?
No, accompagniamo ogni proiezione con un evento di condivisione, workshop o live performance che sia pittura, danza o altro ancora, cercando così di creare un paesaggio collettivo sullo schermo e tra chi partecipa.
L’ultimo appuntamento della rassegna “Amara Terra Mia” è una serata dedicata a cortometraggi. Come mai questa scelta? Di recente in tantissimi rivendicano il cinema breve come fondamentale e autentico.
Il cortometraggio è una forma d’arte a tutti gli effetti e che offre anche spazio a chi in realtà non c’è l’ha. Negli anni è proprio questa forma di narrazione che mi ha legata di più al cinema. Richiedono lo stesso impegno e lavoro. Noi abbiamo scelto di dedicargli una serata perché cinque film erano pochi, volevamo includere più storie e quale modo migliore di questo! Anche perché mostreremo corti che raccontano momenti e attimi di vita vera, quotidiana, semplice, distanti dal solito mostrare dei nostri Paesi d’origine. Storie che vanno ben oltre la resistenza, riguardano la cultura e la conoscenza in cui non c’è solo dolore ma anche tenerezza e comicità.
Viviamo in un’epoca iper visiva, eppure c’è ancora molto invisibile. Cosa vuoi o speri di portare alla luce con il tuo lavoro?
Nel mio lavoro cerco di avere sempre molta ricerca, intenzione e cura. Ciò che alimenta ogni mio progetto è la passione. Voglio creare spazi fisici e digitali che possano avvicinare le persone, tenerle unite, farle conoscere o riconoscere. E voglio farlo tanto attraverso la moda quanto attraverso il cinema, includendo ogni forma di arte. È l’arte che ci dà la possibilità di affrontare ogni tipo di conversazione, anche le più difficili e complesse, senza però mai porsi come una lezione frontale.
Margherita Bordino
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