Borghi italiani: al bivio tra abbandono e valorizzazione. L’intervista sul caso di Rende
In Italia centri storici e interi comuni vertono in uno stato di progressivo abbandono; mentre, valorizzati, potrebbero diventare una concreta risorsa per la comunità. Ne abbiamo parlato con Roberto Bilotti che, in Calabria, sta partecipando alla riattivazione del Borgo dei Musei

Il rischio di spopolamento è oggi un fenomeno condiviso da molte realtà italiane; tanto piccoli borghi, quanto centri storici di cittadine più grandi, vengono progressivamente abbandonati in favore di grandi città o semplicemente di nuclei di recente costruzione. E, per quanto si tratti di una tendenza diffusa in tutta la penisola, sicuramente è nel Sud che sta avendo un impatto maggiore, in termini di portata e rapidità. Nella sola Calabria già una ventina di comuni sono ridotti allo stato di ruderi.
Lo spopolamento dei comuni italiani: il caso scuola di Rende in Calabria
Ne abbiamo parlato con Roberto Bilotti che, per le sue origini Cosentine, è molto sensibile all’argomento e, in particolare, alla situazione di Rende, comune limitrofo a Cosenza che attualmente conta circa 400 persone, dal momento che la maggior parte dei suoi cittadini ha preferito trasferirsi, per ragioni pratiche, nella nuova zona valliva. Il caso di Rende, già noto come Borgo dei Musei, è particolare, dal momento che è dotato di una singolare rete di musei; quindi, come “caso scuola”, potrebbe fare da traino a tanti altri comuni italiani che, per la loro semplice conformazione, oltre che per il loro patrimonio, potrebbero essere rilanciati e riattivati con la rinnovata identità di poli artistici e culturali.
Come affrontale la questione dello spopolamento dei piccoli comuni italiani? La parola a Roberto Bilotti
Partiamo dal caso di Rende, la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico potrebbe rivelarsi la strategia vincente per rivitalizzare e rendere attrattivo il borgo?
Assolutamente sì, in Italia abbiamo diversi esempi virtuosi in tal senso, specialmente al nord. Basti pensare all’impatto che il museo MART ha avuto sulla città di Rovereto. E Rende, con la sua straordinaria rete di musei, potrebbe davvero diventare al Sud un modello virtuoso.
Secondo lei cosa servirebbe per “attivare” queste dinamiche?
In primo luogo un intervento sistemico e concertato che coinvolga tutti gli attori in gioco: istituzioni, cittadini ancora inconsapevoli di ciò che hanno, investimenti di risorse, infrastrutture e servizi. Insomma, sarebbe necessario un impegno concreto da parte delle istituzioni per invertire la rotta.
Com’è la situazione a Rende?
Rende conta quattro musei, ospitati in edifici antichi che, insieme a chiese, piazze e scorci panoramici, possono creare un itinerario ricco degli elementi necessari per fondare un’identità collettiva. Invece, mostre ed eventi vengono realizzati solo nella parte nuova della cittadina, nel Museo del Presente; così, i musei nella parte antica restano fantasmi sconosciuti, totalmente ignorati, senza la minima comunicazione, senza un sito web che li presenti, senza la segnaletica essenziale. Tra questi il Castello Normanno di Rende che pur annoverando una collezione di circa 400 opere di artisti come: Kounellis, Ontani, Spalletti, Mochetti, Patella, Pizzi Cannella, Accardi, Angeli, Capogrossi, Cagli, Ceroli, De Pisis, Dorazio, Fazzini, Festa, Guttuso, Mafai, Pirandello, Tacchi, Turcato, Galliani, Pisani, Ruffo e una sezione eccezionale di abiti d’artista, è aperto solo la domenica per tre ore.

Ci può spiegare meglio come si è arrivati a questa situazione?
La precedente amministrazione aveva decretato il restauro di palazzo Zagarese, adibito a Museo Civico, con la presentazione di importanti opere di pittori meridionali del Seicento, come Mattia e Gregorio Preti, Francesco Cozza, Giuseppe Pascaletti e Cristofaro Santanna. Poi è stato fondato il Maon, Museo Arte Ottocento e Novecento, in palazzo Vitari, che ha dato avvio al sistema Rende, Borgo dei Musei. Infine, anche grazie alle mie donazioni, sono stati costituiti il Museo Arte Contemporanea nel Castello e il nuovissimo Museo della Ceramica di Calabria, in palazzo Magdalone, che offre una panoramica cronologica e geografica regionale, con reperti dall’epoca classica, al medioevo, preziosi indicatore etno-antropologici importante. Un progetto che prevede anche la riattivazione del vicino laboratorio di ceramica, come scuola-officina finalizzata alla creazione di nuove opportunità di occupazione giovanile.

Quindi un museo concepito in forma dinamica, non solo come raccoglitore ma come incubatore di esperienze e luogo di confronto pratico e studio dal vero dei modelli?
Esatto, proprio così. Anche il Museo di Arte Contemporanea nel Castello, su modello dei BOCS ART di Cosenza gestiti da Alberto Dambruoso, potrebbe ospitare delle residenze d’artista. E, data la vicinanza con l’Università della Calabria, Rende potrebbe accogliere convegni, mostre, eventi accademici e culturali, offrire soluzioni di residenzialità per gli studenti, diventando un’estensione del campus.
Insomma, le possibilità per frenare il rischio spopolamento sarebbero tante…
Certo, anche perché molti edifici, da poco restaurati, vertono in stato d’abbandono, privi di una destinazione d’uso. Mentre potrebbero accogliere dislocazioni di uffici comunali, nuove sedi dell’università, persino residenze universitarie, come era stato fatto nel convento delle clarisse. Invece borgo e Università non interagiscono. I nuovi edifici universitari si ergono come blocchi anonimi; mentre, ampliando e diversificando l’offerta formativa anche in termini di location, la funzionalità potrebbe essere integrata con la dimensione storica data dalle antiche costruzioni.

E invece tutto sembra giacere in uno stato di stasi?
Sì, è come se le istituzioni non avessero contezza del patrimonio che hanno a disposizione. Anche perché molti dei protagonisti dell’arte del Novecento erano per l’appunto calabresi, da Boccioni a Palma Bucarelli; da Anna Paparatti, compagna di Sargentini a Giuseppe Sprovieri, per arrivare a Carlo Bilotti che fu tra i primi a coniugare arte e imprenditoria, commissionando a Warhol diverse opere; per finire con Giuseppe Galle e Alfredo Pirri, autore delle vetrate del Castello.
Quali le prime azioni da compiere a Rende e magari in altri comuni?
Lavorare sulla comunicazione e sull’organizzazione. Perché l’apertura dei musei ha senso quando viene adeguatamente comunicata. Poi, da una parte si potrebbe puntare sulla cultura, organizzando eventi, mostre, residenze; dall’altra sul turismo, coinvolgendo gli operatori del settore. Insomma, bisognerebbe creare un sistema integrato di valorizzazione e promozione, attraverso una rete di collegamento tra le diverse risorse culturali.

Cosa manca?
Purtroppo mi sembra che manchi una visione. La consapevolezza che per stimolare l’insediamento di attività economiche nel borgo bisognerebbe prevedere un sistema di agevolazioni fiscali che favorisca commercianti, artigiani e artisti, insomma la mobilità e l’accessibilità piccole e medie imprese. Spero davvero che l’apertura del Museo della Ceramica di Calabria possa contribuire a sensibilizzare la nuova amministrazione in tal senso.
Ludovica Palmieri
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