L’architetta Guendalina Salimei racconta il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2025
Alla Biennale Architettura 2025, l’Italia è rappresentata da “TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare”. Il progetto, curato dall’architetta Guendalina Salimei, incoraggia un cambio di prospettiva e invita a riconsiderare gli oltre 8000 km di costa italiana

Fondatrice di Tstudio, con sede a Roma, nell’ottobre 2024 Guendalina Salimei si è aggiudicata l’avviso pubblico a due fasi promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC per la curatela del Padiglione Italia alla 19. Mostra Internazionale di Architettura. Quello che l’ha condotta al successo è stato un iter selettivo con modalità fin qui senza precedenti, almeno per il settore architettura: il progetto TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare ha avuto prima accesso alla terna finalista (dieci i dossier complessivamente selezionati), per poi essere scelto dal Ministro Alessandro Giuli. Quest’ultimo, nella sua dichiarazione ha sottolineato come la proposta collochi al centro “l’urgenza del mare come humus originario e destino comune, come occasione nomadica, frontiera mobile, paesaggio interiore dell’uomo che ridisegna architetture liquide e città sommerse. L’anima di Venezia che ne contiene il corpo sempre vivo”. Attualmente impegnata, proprio con Tstudio, su scala nazionale e internazionale in diversi interventi relativi a waterfront – a tal proposito si ricorda la riqualificazione urbana del waterfront in corso a Messina, incarico anche questo esito di un concorso – Salimei fin dall’avvio del processo ha incoraggiato a guardare all’Italia dal mare, adottando “un cambiamento di prospettiva” per porre al centro dell’analisi la peculiare dimensione del confine tra terra e acqua.

Guendalina Salimei e il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2025
Ipotizziamo sia il 24 novembre 2025. La Biennale Architettura si è chiusa. I dati sugli accessi sono stati diffusi; il Padiglione Italia sta per essere disallestito. Per cosa vorrebbe che fosse ricordato “TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare”?
Per l’aver portato all’attenzione globale un tema molto caro al nostro Paese, ma anche complesso, in cui si inseriscono architettura, paesaggio, infrastrutture. Un tema dalla forte interdisciplinarietà. Dopo aver affrontato l’abitare, le aree interne, le fabbriche, la sostenibilità, tra le altre questioni, ora il Padiglione Italia si concentra su uno spazio paradigmatico: quel limite tra la terra e l’acqua, che circonda tutta la Penisola. È anche un modo per cercare di vedere oltre il nostro mestiere come viene normalmente inteso, così da ribadire la capacità dell’architettura di coordinare tutta una serie di saperi, discipline e punti di vista. Penso infatti che uno dei ruoli futuri degli architetti sarà proprio in quello di organizzare più tipi di conoscenze. Come fa un direttore d’orchestra.
E in relazione al processo curatoriale?
Mi piacerebbe si ricordasse la volontà di coinvolgere più persone. Oggi, più che mai, serve uno sforzo collettivo; da soli non si possono risolvere tutte le problematiche. Sì, mi sarei potuta fermata alle mie conoscenze, ma ho scelto di chiedere, tramite la call, per realizzare un intervento più ampio e favorire un’intelligenza più estesa. Un processo che era stato già fatto da Aldo Rossi, in veste di “curatore totale”, nel 1985, quando ancora non esisteva il Padiglione Italia. All’epoca ero una studentessa: mi ricordo di aver mandato una mia piccola proposta. Ieri come oggi mi sembra un modo molto interessante di lavorare; sono convinta di aver fatto la cosa giusta.
Ratti, proprio commentando la sua open call, l’ha definita “entusiasmante e sconfortante” per l’alto numero di proposte e per l’impegno in termini di valutazione che ha comportato. Quale tipo di consapevolezza emerge dal “ribaltamento di prospettiva” che lei ha voluto favorire?
È stata un’esperienza difficilissima: mi sono trovata a gestire quasi 600 proposte. Un risultato pazzesco ma anche una fatica immensa. La risposta è stata eterogenea, con progetti più estemporanei, altri frutto di lavori oppure di ricerche in corso da tempo; altri ancora più visionari. È emerso che il tema è sentito e cruciale; le risposte sono arrivate da tutta Italia. Segnalo, in particolare, quelle dal bacino di Venezia, che forse numericamente sono le più consistenti. Ma non sono mancati gruppi di ricerca da Sicilia e Sardegna, tra gli altri, le scuole.

Al Padiglione Italia protagonista l’intelligenza del mare
Focalizziamoci sui contenuti. Tra le dimensioni da lei citate in conferenza stampa rientra quella infrastrutturale. Ovvero?
Parlando di infrastrutture, penso soprattutto al patrimonio esistente (spesso controverso): i porti, tutti i sistemi e le dotazioni legati all’organizzazione portuale, che talvolta hanno eroso brani di città o sono andati a interferire con zone strategiche, ai sistemi di difesa costiera. E penso anche alle linee ferroviarie: una quota rilevante della costa italiana è tagliata dalla ferrovia, in tanti casi realizzata proprio sul mare. Alcune andrebbero rimosse, altre ripensate, altre ancora organizzate. Tutto questo sarà oggetto di analisi e reinterpretazione.
Ratti ha redatto e diffuso il “Manifesto di economia circolare”, invitando anche i padiglioni nazionali a ridurre gli sprechi e a riutilizzare materiali dell’allestimento. Queste linee guida sono state recepite dal suo progetto?
Sì, assolutamente. Quanto utilizzato potrà essere impiegato in un momento successivo. Ormai questo deve essere il principio operativo per tutti, altrimenti quanto facciamo perde di senso e credibilità.

Il progetto di allestimento di TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare
Cosa dobbiamo aspettarci a livello di allestimento?
Un padiglione-wunderkammer. Sarà un affresco che, in qualche modo, racconta come ogni processo in corso nel Paese sia fondamentale per sensibilizzare, in primis, le amministrazioni e gli Enti pubblici (tra cui le autorità portuali) su tante aree (anche demaniali e pubbliche) che potrebbero essere recuperate e riattivate. L’idea è contribuire a responsabilizzare chi gestisce la cosa pubblica e le comunità.
Troppo densi, troppo rarefatti, troppo concettuali: gli spazi del Padiglione Italia ai Giardini delle Tese vengono considerati non semplici da allestire e, negli anni, sono state mosse critiche di varia natura. Lei come ha inteso la struttura e il senso stesso della mostra?
L’allestimento è stato progettato da TStudio e dallo studio Giammetta, lo abbiamo fatto insieme. Personalmente credo nella forza della Biennale come grande laboratorio di innovazione in grado di raggiungere tante persone; di conseguenza considero il progetto del padiglione come imprescindibile, è il cuore di tutta l’operazione. Deve essere un attivatore di processi, pensieri, possibilità. Tra i progetti esposti una sezione sarà dedicata a quelli in via di realizzazione, non solo a quelli realizzati; andremo anche alla scoperta di tantissime aree archeologiche e di “territori nascosti”. Alcuni contributi saranno restituiti tramite video e supporti multimediali.
Valentina Silvestrini
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