A Venezia la mostra di Sergio Monari, artista che intreccia mito e contemporaneità
Sergio Monari torna a Venezia, nella cornice del Museo Fortuny. Attraverso sculture ispirate alla classicità e al mito, l’artista riflette sulla società contemporanea, i suoi atteggiamenti verso l'esistenza e il suo rapporto con il sacro

Dopo la partecipazione alla Biennale del 2011, Sergio Monari (Bologna, 1950) torna a Venezia, nella splendida cornice del Museo Fortuny, per una mostra personale: Sincronie. Questo percorso esplora l’indagine artistica dell’artista, la sua sensibilità per la materia, la conoscenza dell’antichità classica. e la capacità di analizzare temi universali, che trovano a Venezia, e in particolare a Palazzo Pesaro degli Orfei una risonanza particolare.

La mostra di Sergio Monari al Museo Fortuny
Mariano Fortuny (Granada 1871 – Venezia 1949) pittore, scenografo e stilista, titolare di brevetti nella scenografia e nell’illuminazione, in questo palazzo aveva fondato con la moglie Henriette Nigrin l’atelier dei famosi tessuti Fortuny; palazzo che meraviglia i visitatori con le sue contaminazioni moresche con la cultura classica e le influenze orientali e wagneriane che permeavano la cultura del suo proprietario. Dialogano con questo luogo le sculture di Sergio Monari, fortemente ispirate all’antichità classica. L’artista compie una riflessione sulla società contemporanea, prendendo come modello quella classica, non priva di difetti, che si contraddistingueva per avere la bellezza come ideale, il mito come rifermento religioso e sociale (ponte tra il vissuto e l’ordine del cosmo) e l’antico concetto di paidéia, un insieme di valori culturali, estetici e spirituali che erano ritenuti necessari alla formazione del buon cittadino. Un complesso di valori di riferimento su cui riflettere, che potrebbero essere ritenuti ancora validi. L’elemento del mito ha un ruolo di primo piano nella riflessione dell’artista e nel suo tentativo di trovare corrispondenze con i disequilibri della contemporaneità. Monari costruisce un universo mitologico distorto rispetto all’originale armonia, fatto di situazioni sospese e angosciose, che portano alla luce il progressivo allontanamento del sacro dal quotidiano.
Sergio Monari, narratore del contemporaneo
Durante queste riflessioni Monari non formula giudizi, ma prende atto dei cambiamenti della società, raffigurandoli senza veli. In virtù delle contraddizioni che raffigura, la sua scultura possiede indubbiamente una carica narrativa, teatrale, capace di creare scene di forte impatto davanti allo sguardo dell’osservatore; un andamento epico, shakespeariano, ricco di citazioni di tradizione umanistica. Traduce in scultura ciò che l’umanità è diventata, allontanandosi dai valori più profondi. Ai nostri occhi appare un mondo in cui l’avidità, la vanità e la doppiezza divorano l’essere umano. Una società che vorrebbe esorcizzare la morte, nell’illusione di poter essere eterna, e che naviga tra interrogativi universali e la necessità di soddisfare il proprio ego. In virtù della loro forza narrativa le opere si offrono al pubblico, ognuna indagando un aspetto delle aspirazioni, dei dubbi e delle paure delle persone.

Le opere di Sergio Monari a Venezia
Nuove sculture, come Dispensa sorti, Vivida sorte e Radioso oltraggio, sono esposte al piano terra del Palazzo, insieme ad opere storiche. “La poesia, l’amore, la gloria, la guerra, il destino, il tempo, la vanità, la morte prendono forma in una sorta di romanzo antico, eppure sempre nuovo, attraverso un allestimento che si dispiega su capitoli modellati in forma di umane sembianze, pulsioni, aspirazioni, dubbi e timori”, spiega Niccolò Lucarelli, curatore della mostra. L’indagine di Monari si sviluppa sottoforma di analisi psicologica della società e dei suoi atteggiamenti verso l’esistenza, i suoi meccanismi relazionali e il suo rapporto con il sacro, riletti alla luce della contemporaneità. Dalle sue opere emerge una sincronia tra la società classica e quella contemporanea, che dimostra come, nonostante i secoli trascorsi, l’individuo contemporaneo sia ancora per molti versi “classico” nel suo modo di porsi verso l’esistenza. Lungo il percorso della mostra si avverte lo scorrere del tempo, segnato dalle azioni degli uomini, che lascia tracce sui volti, come un monito di ciò che è passato, che scorre inesorabile, lasciando dietro di sé un senso di amarezza. “Una vita passata a creare. Una scintilla, quella di Prometeo, che Dio e gli dei tutti ci hanno sottratto. Le mie mani hanno creato solo stranieri, un esercito di terracotta che si infrange contro la dura scogliera dello scorrere degli anni. Alle mie spalle rimangono solo cocci”, spiega Monari.
Tutta la contemporaneità del classico nella mostra di Sergio Monari
“La presenza di Monari a Palazzo Fortuny sottolinea l’esigenza di rafforzare e attualizzare il dialogo con quella cultura greco-romana che è la radice fondante della nostra società”, commenta Chiara Squarcina, curatrice della mostra e Direttrice Scientifica della Fondazione. “Attraverso la sua opera se ne può riscoprire la modernità, così come avvenne per Mariano Fortuny che, con i suoi iconici abiti e i motivi decorativi delle sue stoffe stampate, tradusse valori e simboli dell’antichità classica in un linguaggio contemporaneo e atemporale”. Pur con le loro conflittualità irrisolte, le sculture di Monari si offrono all’osservatore come ierofanie: rivelazioni di quella sacralità che un tempo apparteneva all’individuo e mostrano l’urgenza del recupero di una dimensione spirituale nella società contemporanea.
Giulia Bianco
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati