Musei gratis per tutti? In America qualcuno ci prova. Con l’auto di filantropi, sponsor e contributi federali. Ma i budget languono…

USA, NIENTE BIGLIETTI PER L’ARTE. LA CASSE SOFFRONO, I VISITATORI CRESCONO E se tutti i musei statali fossero gratuiti? Un sacrificio troppo grande, per le già magre economie museali, o una rinuncia marginale rispetto alle entrate complessive? E ancora, si tratterebbe di un incentivo forte per il pubblico o di un fattore inessenziale, persino diseducativo? […]

USA, NIENTE BIGLIETTI PER L’ARTE. LA CASSE SOFFRONO, I VISITATORI CRESCONO
E se tutti i musei statali fossero gratuiti? Un sacrificio troppo grande, per le già magre economie museali, o una rinuncia marginale rispetto alle entrate complessive? E ancora, si tratterebbe di un incentivo forte per il pubblico o di un fattore inessenziale, persino diseducativo? Cultura come bene primario, da garantire sempre, democraticamente, o come patrimonio collettivo, che tutti sono chiamati a sostenere?
Tema antico che non tramonta. A rispolverarlo è adesso il sito Fortune.com, che registra alcuni casi tipici in America. Il primo è quello del Broad Contemporary Art Museum, che è riuscito ad eliminare l’onere del biglietto grazie alla filantropia: i coniugi Eli ed Edythe Broad, collezionisti di lunga data, hanno elargito all’istituzione losangelina oltre $200 milioni. La coppia sostiene anche il Los Angeles County Museum of Art, uno dei musei beneficiati da una quota federale di $450.000, volta proprio a inaugurare un nuovo modello di business: più sovvenzioni pubbliche e accessi facili per i visitatori.

LACMA Museum

LACMA Museum

Tra questi anche il Dallas Museum, che ha così potuto eliminare i 10 dollari chiesti per visitare le collezioni permanenti, lasciando il ticket solo per le temporanee. Risultato? Sempre secondo Fortune il contatore in biglietteria è schizzato da 498.000 a 668.000 visitatori.
Ancora un esempio interessante è quello del Bronx Museum di Nyc, che grazie a un finanziamento trinnale ha falcidiato i 5 dollari canonici d’ingresso: da 30.00 all’anno i visitatori sono schizzati a quota 80.000. E poi? Come coprire il buco in bilancio causato dal taglio dei biglietti?

Bronx Museum, New York

Bronx Museum, New York

I PRIVATI IN PRIMA IN LINEA, I GOVERNI CHIAMATI A UNA RIFLESSIONE
Una voce che pesa, nella media, solo per il 4%, a parte qualche eccezione, come il Metropolitan di New York, che ottiene il 10% delle sue entrate tramite gli incassi al botteghino. Perdite comunque significative. Con i fondi pubblici sempre meno copiosi, in America, come in Europa. Quelli privati? Scarseggiano anch’essi, ma soprattutto pongono questioni etiche: se una compagnia petrolifera, responsabile di disastri ambientali e conflitti bellici, offre donazioni in cambio di visibilità, la cultura chiude un occhio o è tenuta a rifiutare?
E qui subentra l’altra faccenda chiave: come superare la vecchia idea di “sponsorhip”, puntando a forme di partenariato intelligente? Musei, enti pubblici, fondazioni e aziende scommettono – nei casi migliori – su un’idea di investimento continuativo, organico, progettuale. Magari riuscendo, in qualche modo, a eliminare l’odioso obolo all’ingresso. Un’inezia per alcuni, un lusso per tantissimi altri. Ma soprattutto un surplus vissuto male: la cultura, come l’acqua, la salute, la scuola, non dovrebbe essere pubblica, gratuita e garantita? Domanda lecita. E se a chiederselo è anche l’America – con le sue lobby e le sue assicurazioni sanitarie obbligatorie – forse il vento inizia a cambiare. Col privato sempre più in prima linea e il settore pubblico chiamato – idealmente – a nuove responsabilità morali.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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