La civiltà delle macchine (digitali)

Sul piano produttivo, l’industria digitale ha fatto propria l’annosa questione del decentramento e dello sfruttamento della manodopera a basso costo. E la politica internazionale che posizioni assume?

Cresce lo scollamento fra l’industria digitale e le culture digitali. Jack Linchuan Qiu è professore alla Scuola di Giornalismo e Comunicazione di Hong Kong e ha scritto sulla problematica delle trasformazioni delle industrie digitali in sistemi produttivi globali e intercontinentali. La produttività digitale è imposta e forzata come qualsiasi altra, dice lui, e la paragona a una “iSlavery”. Una definizione che contrasta con l’ideologia degli “iCitizens”, finora cresciuti con la mitologia di un’industria digitale corretta e progressista. Data l’alleanza fra Apple e un noto manifatturiere di Taiwan, il problema dell’esportazione o del trasferimento globale della lavorazione prende caratteristiche simili a quelle dell’industria manifatturiera “materiale”. Il decentramento di industrie che esportano lavorazione nel sud est asiatico a causa dei bassi costi lavorativi è un fenomeno da tempo evidente. Linchuan Qiu compara questo lavoro con il commercio atlantico degli schiavi, con l’ovvia differenza che si sposta il lavoro invece dei lavoratori. Emerge una complicità con gli sfruttamenti locali che chiama a una gestione della configurazione del lavoro a livello globale.

A essere onesto, Donald è probabilmente più ‘tuned in’ con quanto diciamo nel libro di quanto lo sia Hillary”.

Nel frattempo la vendita dei prodotti digitali cresce vertiginosamente e globalmente senza che si creino alternative al mercato né una selezione del prodotto, ancora visto come miracolo hi-tech. Non si tiene conto che il digitale non è più una storia di nerd che risolvono nei loft di Silicon Valley i più complicati problemi, bensì di miliardi di persone senza una formazione tecnica che utilizzano i più diversi strumenti digitali. I quali si complicano spesso senza migliorare: il minimo urto ne inizia l’usura, la funzionalità è sempre più breve, i costi altissimi. Mentre comprando i prodotti digitali continuiamo a vendere l’isola di Manhattan per un po’ di perline colorate, gli enormi guadagni si fermano nel circuito commerciale a tutto vantaggio delle aziende di produzione e a totale svantaggio dei consumatori e dei lavoratori/produttori di una piramide che rinnova la tradizione industriale e i suoi storici sfruttamenti. Mentre Joi Ito, direttore del MIT Lab, fa una sorprendente dichiarazione. A Steven Levy che dichiara: “Il tuo libro ‘Whiplash’ è un sofisticato saggio su come la scienza cambia. Qualcosa che Hillary Clinton potrebbe discutere ma non Donald Trump”, lui risponde: “Io non penso sia così. A essere onesto, Donald è probabilmente più ‘tuned in’ con quanto diciamo nel libro di quanto lo sia Hillary”. Dobbiamo pensare che l’industria più swinging si stia allineando con la cultura più reazionaria?

Lorenzo Taiuti

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35

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Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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