Enrico Crippa. La cucina come forma d’arte

L’invito a scrivere un “editoriale” per una rivista d’arte contemporanea è qualcosa che mi lusinga ed è uno stimolo a interrogarmi: la cucina è davvero una forma d’arte? Fino a non molto tempo fa ho sostenuto con fermezza che non lo fosse…

Quando la famiglia Ceretto mi ha coinvolto nella creazione dei ristoranti, ho iniziato a condividere il mio luogo di lavoro con grandi artisti: penso all’affresco che Francesco Clemente ha realizzato per Piazza Duomo o ai piatti d’artista e alle installazioni di Kiki Smith che arricchiscono La Piola. Forse per questo motivo ho sempre considerato il gesto artistico come qualcosa di estremamente concreto e duraturo.
Dichiaravo che la cucina non potesse essere arte perché alla fine del pasto non rimane nulla di quanto è stato fatto, ma uno scambio di opinioni con l’amico artista Valerio Berruti mi ha fatto ripensare al significato dell’arte in cucina. Ho proposto un menù ispirato alla sua mostra albese (La rivoluzione terrestre, a cura di Andrea Viliani, nel 2011) e pochi mesi più tardi abbiamo lavorato a quattro mani a Paris de Chef, manifestazione parigina in cui cuochi e designer, architetti e artisti propongono un piatto studiato insieme. Per l’occasione ho inventato un intero menù che alternava la polenta alla zuppa di cereali fino al dolce, presentandoli sotto forma di bassorilievo con le figure tipiche di Berruti. Le “icone alimentari” sono state realizzate sul momento e – per la prima volta a Paris de Chef – offerte al pubblico che ha preso parte alla performance. “Se la mia cucina è arte e si può addirittura mangiare, allora è una forma d’arte ancora più completa”, mi sono detto.

Valerio Berruti – La rivoluzione terrestre - inaugurazione della mostra presso la Chiesa di San Domenico, Alba 2011

Valerio Berruti – La rivoluzione terrestre – inaugurazione della mostra presso la Chiesa di San Domenico, Alba 2011

Eppure, anche in quell’occasione, non mi sono sentito un artista, ma un cuoco. Seguo l’alternarsi delle stagioni, mi adeguo all’offerta del mio orto, accetto i tempi morti che il biologico impone e con rispetto e creatività penso alla trasformazione della materia. L’attesa del momento migliore in cui cogliere i frutti della terra mi fa pensare ai pittori impressionisti, al loro ricercare la luce adatta, la situazione perfetta per essere riprodotta su tela. La stessa verdura, a seconda della maturazione, dell’abbinamento o della cottura può assumere un ruolo dominante o secondario in un piatto: non ho bisogno di grandi riflessioni per immaginarlo. Un po’ per dono, un po’ per esperienza, quando mi trovo a contatto con la materia prima, riesco a immaginare l’evoluzione che potrà compiere.

Enrico Crippa, lo chef del ristorante albese Piazza Duomo

Enrico Crippa, lo chef del ristorante albese Piazza Duomo

Ma assieme al sapore ho bisogno di concretizzare la sua presentazione e per questo ogni volta in cui immagino un piatto prendo un foglio di carta e abbozzo uno schizzo. Sono ancora legato al principio di Gualtiero Marchesi per cui “il bello è il buono” e ogni mio piatto raccoglie la mia idea di bellezza. La percezione visiva, assieme al profumo che penetra nel naso e alle proprietà organolettiche che captano le nostre papille gustative, dev’essere coerente con l’idea di piatto, deve trasmettere l’emozione che vorrei evocare.
Che io sia un cuoco o un artista in fondo poco importa: finché riuscirò a provocare emozioni facendo riaffiorare sapori e ricordi, potrò considerare la mia missione compiuta.

Enrico Crippa
chef

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati