Miracolo a Milano? Intervista al direttore di MiArt Vincenzo de Bellis

Abbiamo intervistato Vincenzo De Bellis, direttore di MiArt, sull’edizione appena conclusa. Per un bilancio, ma anche per capire cosa ha funzionato e cosa migliorare. E poi le novità del prossimo anno, la concorrenza con Artissima, le collaborazioni con le istituzioni cittadine…

Un bilancio generale a consuntivo della tua prima edizione di MiArt.
Preferirei che lo facessero gli altri! Io sono soddisfatto, davvero molto soddisfatto. Nettamente oltre le mie più rosee aspettative, sia in termini di apprezzamento e comprensione del progetto, sia in termini di qualità della proposta degli espositori. Anche dal punto di vista delle vendite è andata meglio di quanto mi aspettassi.

Quale sezione ti ha dato più soddisfazione?
Sono particolarmente contento della sezione ThenNow, che ho fortemente voluto e di cui sono orgogliosissimo. Era la parte più bella della fiera e si vedeva in piccolo ciò che MiArt può fare, perché la sua peculiarità è avere sia il presente che il passato. Sono molto contento anche di aver inserito il design; sappiamo che dobbiamo fare meglio in quel caso e abbiamo già individuato in quale direzione muoverci.

Qualche gallerista, soprattutto straniero, si chiedeva se avesse senso avere una sezione di moderno, visto che la fiera è piuttosto piccola.
Secondo me è necessario: è quello che distingue MiArt da fiere come Artissima e serve a sottolineare la specificità di questo Paese e di questa città. Non dobbiamo dimenticarci che il moderno italiano è guardato da tutti con grande attenzione in questo momento. Avere un moderno migliore è uno degli obiettivi che mi prefiggo per i prossimi anni.

Significa che la fiera vuole ingrandirsi?
No, questo no, è la qualità che deve migliorare, sia nel contemporaneo sia soprattutto nel moderno, dove bisogna fare molto editing, perché non lì non c’è ancora stato un ricambio generazionale e quindi si tende a fare le fiere in maniera un po’ “vecchio stile”.

La biglietteria di MiART

La biglietteria di MiArt

Citavi Artissima. Anche se la fiera di Torino è a novembre, difficilmente le gallerie straniere accetteranno un doppio invito italiano. Qual è il tuo punto di vista?
È una risposta difficile da dare per me. Io non vorrei che fosse così, davvero. MiArt e Artissima sono distanti nel calendario, ma è vero che sono vicine geograficamente e si svolgono in un Paese che non naviga nell’oro, per usare un eufemismo. È vero anche che noi vorremmo cercare di tenere fede alla nostra natura, facendo dialogare presente e passato, e inserendo specificità come il design e altri aspetti che abbiamo in serbo per gli anni prossimi. Tutto questo si può fare solo a Milano, se guardiamo all’Italia. Ci sarà quindi una selezione naturale: qualche gallerista sceglierà, altri mi auguro che faranno entrambe le fiere.

Il problema è sempre il solito: abbiamo troppe fiere…
Sicuramente è una nostra peculiarità, avere tre fiere ravvicinate, e mi riferisco ad Arte Fiera, Artissima e MiArt. Finora sono sopravvissute, ma sono convinto che sarebbe meglio averne soltanto una. Se ci mettessimo intorno a un tavolo, forse una soluzione si troverebbe. A me piacerebbe che questo avvenisse e non ti nascondo che ho spinto in questa direzione.

Questa sì che è una notizia!
Guarda, bisogna essere onesti: è ovvio che se avessimo una sola fiera in Italia sarebbe meglio per tutti. O meglio, non per gli enti fieristici, ma noi che siamo i direttori artistici ci rendiamo conto del problema. Ma come si fa a mettere d’accordo tre città, due enti fieristici e un ente pubblico? Sono decisioni che non spettano a noi… Sono convinto che anche Sarah [Cosulich Canarutto, direttrice di Artissima, N.d.R.] e Giorgio [Verzotti, direttore del contemporaneo ad Arte Fiera, N.d.R.] la pensino allo stesso modo.

Il tuo incarico dura fino al 2015, fino all’Expo. Contento? Spaventato?
Tutte e due! Contento perché ho la possibilità di programmare, spaventato perché io sono un curatore e tale resto. Mi piace sperimentare un canale istituzionale – perché MiArt vuole fare questo, in una città che non ha istituzioni vere, ahimè – ma dopo voglio tornare da dove vengo.

Moroso a MiArt 2013

Moroso a MiArt 2013

A MiArt è passato molto pubblico. Come mai secondo te?
L’effetto novità, come in tutte le cose, aiuta sempre.

Ma anche l’anno scorso c’era un nuovo direttore…
Quest’anno c’erano più gallerie, e la maggiore offerta fa muovere più facilmente le persone del settore, anche perché la lista delle gallerie presenti era buona. E poi avere un team ampio e complesso, costituito da gente che proviene da diversi luoghi, è un fattore importante: abbiamo tanti ambasciatori. Spero pure che i visitatori siano venuti perché si aspettavano un reale cambiamento di MiArt.

Per quanto riguarda le gallerie straniere, a che percentuale punti a regime?
Quest’anno, nel contemporaneo, avevamo circa il 50% di stranieri, e scendevano a 35-40% comprendendo la parte storica, che era per la quasi totalità italiana. In futuro, per il contemporaneo vorrei restare su questa percentuale, perché le gallerie italiane di qualità le vorremmo tutte: nessuna fiera al mondo può prescindere dalle gallerie del luogo in cui si tiene la fiera stessa.
Come ti dicevo, non abbiamo intenzione di ingrandire MiArt, perché da un lato si rischia di abbassarne il livello, e dall’altro la renderebbe più faticosa, anche per gli espositori: fare una fiera con 180 gallerie rischia di significare che 80 non vendono niente. Quindi vorremmo attestarci sulle 140-150 gallerie, di cui la metà straniere: quelle che c’erano quest’anno sono in gran parte soddisfatte, quindi spero torneranno, e poi mi auguro che arrivino altre domande. Nel moderno vogliamo nettamente aumentare la percentuale di stranieri, anche se movimentare opere di quella portata, in un Paese difficile come l’Italia – ad esempio dal punto di vista fiscale -, non è la cosa più semplice da fare…

Com’è andato quel settore dal punto di vista delle vendite?
Nonostante tutti i problemi del nostro Paese, come al solito la parte storica regge. Nel weekend sono andati davvero molto bene, a dispetto di una partenza un po’ lenta. Certo, non tutti: chi aveva pezzi di qualità ha venduto più di quanto si aspettasse.

MiArt - area talk

MiArt – area talk

Una cosa che non ti è piaciuta.
Beh, tante… Dobbiamo migliorare l’organizzazione, l’accessibilità alla fiera, i servizi agli espositori e ai visitatori, gli allestimenti… Sono aspetti più tecnici, ma sono importanti. E poi dobbiamo fare meglio nell’inserire la fiera all’interno del tessuto della città. Abbiamo fatto qualche operazione interessante, come il milione di biglietti della metropolitana stampati con il logo di MiArt, tantissima pubblicità in città, tantissime collaborazioni con le istituzioni, la collaborazione con la Fondazione Trussardi, che è stata un successo davvero e di cui sono entusiasta. Ma vorrei fare ancora di più. Certo i cambi non aiutano, che si tratti del direttore della fiera o dell’assessore alla cultura… Però con Dal Corno ci siamo trovati sin da subito in sintonia, e lo dico a suo grandissimo merito: partecipare alla conferenza stampa di MiArt a pochi giorni dalla sua nomina è stato un gesto a mio avviso fantastico.

Ci anticipi fin da ora almeno una delle novità che proporrai nell’edizione 2014?
Ci saranno diverse novità! In parte si tratta di idee che abbiamo sin dall’inizio ma che in questo primo anno non siamo riusciti a realizzare. Una in particolare non riguarda l’aspetto commerciale della fiera: vorremmo fare un grosso lavoro di catalizzazione di realtà e istituzioni internazionali con un programma particolare. In una parte della fiera, dentro o fuori dal padiglione, vorremmo organizzare qualcosa dedicato alle istituzioni internazionali. Non posso dirti di più per ora! E poi ThenNow dovrebbe espandersi leggermente, cambierà qualcosa nel layout, ci saranno novità nel team di lavoro… Annunceremo tutto abbastanza presto, perché a me non piace avere segreti.

Il rapporto con Mousse per l’immagine coordinata – peraltro molto efficace – resta invariato?
Sì, sono convinto che si debba dare continuità. Sono molto contento della grafica e pure del lavoro sulle parti comuni: l’area dei talk era a mio avviso bellissima, così come la vip lounge e l’ingresso. Certo, il padiglione non è che brilli per bellezza…

In effetti siamo rimasti quasi gli unici a fare le fiere nelle fiere…
Guarda, Fiac – che è il mio modello di riferimento – ha cambiato la sua storia quando è arrivata al Grand Palais. A livello architettonico, è la fiera più bella al mondo, non c’è paragone con nient’altro. Spostarsi? Milano non offre tutta questa gamma di spazi, soprattutto senza andare troppo lontano dal centro. Ma ci stiamo lavorando…

Marco Enrico Giacomelli

www.miart.it

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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