Raccontare Caravaggio. A Milano

La mostra allestita a Palazzo Reale evoca la storia di uno degli artisti più inquieti ed enigmatici di sempre. Analizzandone lo stile e rivelando nuovi dettagli sulle tecniche utilizzate.

Come fa Caravaggio (Milano, 1571, Porto Ercole, 1610) a creare quella luce che, potente, irrompe dall’alto come una sciabolata tra piedi scalzi e occhi pieni di dubbio? A raccontarlo è la mostra a Palazzo Reale di Milano, con venti capolavori dell’artista ribelle “che parlava alla lombarda”, affiancati, in maniera innovativa, alle loro radiografie con un focus sul rapporto tra Arte e Scienza.
A quattro secoli dalla sua morte, esiste ancora un Caravaggio segreto, nascosto al di sotto della pellicola pittorica, nelle trame della tela, nei numerosi pentimenti e cancellature, in un processo creativo tutt’altro che lineare. Come l’invenzione dell’angelo di spalle, in origine abbozzato sul lato destro del Riposo durante la fuga in Egitto (Galleria Doria Pamphilj, Roma), eseguito “alla chiara luce del sole” su una tovaglia di Fiandra o l’ara che diventa pietra nel Sacrificio di Isacco degli Uffizi e le tracce rosse di cinabro sul volto del San Francesco in meditazione di Carpineto romano, realizzato dopo l’uccisione di Ranuccio Tomassoni, che peraltro rivelano una conoscenza dei testi sacri oltre la media. Non tutti sanno poi che nei primi difficili anni romani, di tanto in tanto, Caravaggio riciclava le tele come nella Buona Ventura capitolina, dipinta su una precedente Madonna a mani giunte forse dello stesso artista. Questi alcuni degli aspetti svelati dalla mostra milanese, frutto di una sinergia tra pubblico e privato, che offre un’opportunità di più ampia comunicazione delle conoscenze di storici dell’arte, restauratori e archivisti, per far luce sull’attività, sulla datazione delle opere e sulla scottante questione dei “doppi” e delle copie di Caravaggio. E c’è già chi parla di un seguito cinematografico, oltre al polo di ricerca internazionale presso la romana Galleria Borghese.

Michelangelo Merisi da Caravaggio San Giovanni Battista, 1604 Olio su tela, 97 x 131 cm Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, ©Galleria Corsini, Roma Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini

Michelangelo Merisi da Caravaggio
San Giovanni Battista, 1604
Olio su tela, 97 x 131 cm
Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, ©Galleria Corsini, Roma
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini

LE OPERE E LO STILE

Ad accoglierci nel vivo del percorso è la Giuditta che decapita Oloferne di Palazzo Barberini, l’opera prediletta dal banchiere Ottavio Costa, in cui il gesto della vedova di Betulia, alias Fillide Melandroni, è reso più drammatico dal successivo allargamento della ferita sul collo del generale assiro. In mostra anche una bellissima Sacra Famiglia con San Giovannino ‒ la tela più carraccesca di Caravaggio, che in più di un’occasione aveva manifestato ammirazione per Annibale Carracci ‒ e i tre santi in penitenza all’interno della stessa sala: il San Girolamo di Montserrat, il Battista di Kansas City, scelto come logo per la mostra, con il sontuoso mantello in origine ben più ampio e il gemello Corsini di poco successivo, rivolto invano a destra, privato ormai dell’attributo dell’agnello. Si fa fatica a credere che a dipingere opere come queste sia stato colui che le cronache del tempo definivano “un giovenaccio grassotto (…) vestito di negro non troppo bene in ordine”, il quale, forse per aver ucciso un suo compagno, giunse a Roma intorno al 1596 e non nel 1592, come a lungo si è pensato. Dopo di lui, molti pittori a Roma presero a dipingere “spogliando i modelli e alzando i lumi”, senza bisogno di estenuanti studi preliminari. Se non fosse che nei suoi dipinti giovanili sono state riscontrate sorprendentemente tracce di disegno a carboncino o a pennello a cui si aggiunge, specie nelle opere della maturità, l’uso di abbozzi e incisioni per delineare figure o parti in luce, come nel Sacrificio di Isacco, l’opera più impegnativa a giudicare anche dall’uso di una singolare preparazione rossa e del blu oltremare per il cielo.

Michelangelo Merisi da Caravaggio Ritratto di un cavaliere di Malta, 1608 Olio su tela, 118,5 x 95 cm Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze ©Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi

Michelangelo Merisi da Caravaggio
Ritratto di un cavaliere di Malta, 1608
Olio su tela, 118,5 x 95 cm
Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze
©Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi

UN ARTISTA POPOLARE

Complice il Giubileo del 1600 e l’ ansia di completare per tempo le tre tele per la cappella Contarelli, suo primo incarico pubblico, Caravaggio passa dalle preparazioni chiare delle prime opere, in cui forte è l’influenza della formazione lombarda presso Simone Peterzano, alle preparazioni scure lasciate a vista in più punti, già sperimentate nel Ragazzo morso da un ramarro (Fondazione Longhi, Firenze) e che diventano quasi nere dopo la fuga da Roma, consentendogli di dipingere solo le parti in luce. Intanto, si susseguono le risse e le varie vicende giudiziarie e con esse le commissioni pubbliche e private, che puntualmente registrano le inquietudini del periodo. Ormai gli bastano pochi tratti incisi per costruire rapidamente l’intera figura a partire dal modello. Come nella Flagellazione di Cristo di Capodimonte o nella ritrosa Salomè di Londra, fino alla drammatica istantanea del Martirio di Sant’Orsola, con l’ultimo autoritratto di un pittore che, come sottolineava Roberto Longhi, “ha cercato di essere naturale, comprensibile; umano più che umanistico; in una parola, popolare”.

Valeria De Gasperis

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Valeria De Gasperis

Romana di nascita, Valeria De Gasperis è laureata in Storia dell’Arte moderna con il massimo dei voti all’Università Roma Tre con il prof. E. Borsellino con una tesi sul pittore Gregorio Guglielmi e il primo Settecento romano, di cui sta…

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