L’arte dei curator. Secondo Renato Barilli

Scrivono poco o nulla, e soprattutto tradiscono quello che scrivono, per piegarsi al conformismo. Sono i curatori secondo il critico bolognese.

Sono da tempo un accanito fustigatore dell’attuale tendenza a privilegiare la figura del “curator”, da dire proprio col vocabolo inglese, in quanto l’italico “curatore” (di fallimenti aziendali?) avrebbe un tono del tutto burocratico. Ma, alla lunga, questo primato che si vuole conferire ai curator non rischia forse di essere il preludio a un fallimento dell’avvenire dell’arte? Ovviamente questa mia lotta vuole essere a favore della mia stessa funzione di critico militante, svolta da ormai settant’anni, da quando uscì un mio primo articolo sul Verri, appena nato, e in seguito non mi sono mai smentito, accoppiando interventi storico-critici all’organizzazione di mostre. Ecco infatti il punto: non si può esercitare in modo sano e fisiologico un’attività di critico militante se non a patto di coniugare le due funzioni. Così è stato non solo per quanto mi riguarda, ma anche da parte dei colleghi incontrati sulla mia strada, un po’ più vecchi o giovani di me: penso ai Calvesi, Crispolti, Menna, Boatto, fino a Celant e Bonito Oliva. Con alcuni di questi mi è accaduto di polemizzare, ma sempre nel riconoscimento che avevamo in comune appunto un esercizio condotto in forme analoghe, fondato su una base di scelte critiche, di visione prospettica su come stava andando l’arte del momento e come stava affrontando il futuro.

Okwui Enwezor, direttore della 56. Biennale d'Arte Visiva di Venezia

Okwui Enwezor, direttore della 56. Biennale d’Arte Visiva di Venezia

GOTHA E CONFORMISMO

Purtroppo, col comparire del nuovo secolo, è prevalsa la prassi di chiamare ogni volta a dirigere le varie biennali un curator di spicco, il quale magari ha enunciato qualche principio di massima, ma poi tradendolo, o peggio, facendolo scomparire dall’orizzonte, e procedendo a scelte in definitiva molto prudenti, con tendenza a far piovere sul bagnato, cioè a chiamare i “soliti noti”, per paura di sbagliare. Il primo quesito che si pone un curator, a qualsiasi livello, giungendo fino ai più giovani, è infatti: “Lo inserisco o no, quel certo artista? Cosa direbbero i miei maggiori? Esco dal Gotha dei valori acquisiti?”. E allora quello che conta è andare a esaminare le scelte già fatte nelle varie biennali sparse nel mondo. Il conformismo nelle scelte prevale sul gusto, sulla curiosità di recarsi negli studi per vedere coi propri occhi. Nel nome di questa mia ripulsa verso pratiche del genere ho infierito contro l’ultima Biennale di Venezia dovuta al massimo rappresentante di questa categoria, Okwui Enwezor, che è stato anche la migliore espressione di tutti questi limiti ed errori cumulati in un colpo solo.

Renato Barilli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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