Maria Iorio e Raphaël Cuomo vincono il Premio Furla 2015, nell’anno della decima edizione. Ma Vanessa Beecroft sceglie Gian Maria Tosatti

  La curatrice Chiara Bertola ha qualificato quello fatidico della nomina dei vincitori come momento “difficile”, se non addirittura “drammatico”; la madrina Vanessa Beecroft si è di fatto dissociata a parole (un po’ impacciate) e nei fatti (offrendo lei stessa una sorta di premio di consolazione che, in fin dei conti, vale forse più del […]

La curatrice Chiara Bertola ha qualificato quello fatidico della nomina dei vincitori come momento “difficile”, se non addirittura “drammatico”; la madrina Vanessa Beecroft si è di fatto dissociata a parole (un po’ impacciate) e nei fatti (offrendo lei stessa una sorta di premio di consolazione che, in fin dei conti, vale forse più del premio stesso) dalla liturgia della situazione; il direttore del Museo Escher dell’Aia, Benno Tempel, non ha nascosto le animose discussioni che hanno preceduto la scelta definitiva. È stato in definitiva come se nessuno lo volesse assegnare e nessuno se lo volesse prendere questo decimo Premio Furla, che resta per rigore dell’impostazione e lungimiranza – i vincitori delle passate edizioni sono, da Sislej Xhafa a Lara Favaretto, tutti esplosi a livello internazionale – il più importante riconoscimento a cui può ambire oggi un artista in Italia. Non diremo emergente, ma certamente in fase di emersione. Il clima non è dei più spigliati e gioiosi nella Sala delle Otto Colonne di Palazzo Reale, dove è tutto un rammaricarsi per gli sconfitti più che un festeggiare i vincitori: che per la cronaca sono gli italo-svizzeri Maria Iorio (classe 1975) e Raphaël Cuomo (1977), entrambi di stanza a Berlino ma fortemente radicati con le istituzioni più importanti del loro paese d’origine – insegnano alla Hochschule del Künst di Berna e collaborano con il CAC di Ginevra – e già di passaggio alla Biennale di Venezia del 2013, all’interno del contenitore elaborato da Andrea Thal per il Padiglione Svizzero.

Il loro nome, proposto da Simone Frangi (direttore di quel Viafarini DOCVA che è tra i partner del premio: da qui i primi mormorii della rete) e supportato dalla curatrice francese Virginie Bobin, sembra in effetti il più coerente con la linea di un premio che si connotata per l’interesse ai temi sociali quando non apertamente politici (e che solo due anni fa incoronava la pasionaria Chiara Fumai); e che offre ai vincitori, oltre alla consueta mostra alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia nei giorni della Biennale e a una vetrina milanese in occasione di Miart, anche un periodo di residenza di tre mesi a SOMA, centro culturale di Città del Messico. Dove Iorio e Cuomo avranno occasione di approfondire un percorso che li vede testimoni delle modificazioni del concetto di identità, con un accento che – vedi il progetto Sudeuropa del 2005 – spesso tocca il tema dell’immigrazione.

A bocca asciutta dunque gli altri finalisti: Luigi Coppola, Maria Adele Del Vecchio, Francesco Fonassi ma non Gian Maria Tosatti. A lui la menzione d’onore tributata dalla stessa Beecroft, che ospiterà l’artista romano per un periodo di residenza nel suo studio di Los Angeles.

Francesco Sala

 

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