Galeotta fu Hong Kong

Nasce a Bolzano nel 1985 e si laurea in Lingue e istituzioni giuridiche ed economiche all’Università di Venezia, approcciando la fotografia da autodidatta. Ha comprato la sua prima reflex digitale a Hong Kong e da lì non ha più smesso di fotografare e di andare in giro per il mondo. Dal 2009 Nicolò Degiorgis lavora a un progetto fotografico in progress, nato durante una sua residenza a Fabrica. Su un tema mai così attuale: l'immigrazione e suoi vari aspetti.

Che libri hai letto di recente?
Da due anni a questa parte leggo principalmente libri e rapporti scientifici inerenti l’immigrazione in Italia e all’estero, anche se recentemente ho cercato di ritagliarmi più tempo per dedicarmi ai libri di fotografia, per i quali nutro una forte passione. Gli ultimi acquisti sono libri e monografie su Hiroshi Sugimoto, Martin Parr, Jeff Wall e Alec Soth.

Che musica ascolti?
Attraverso la musica senza particolari restrizioni di genere o gusto. Devo però ammettere che ho un debole per la musica prodotta tra gli anni ’60 e ’70. Le scene della British Invasion e del Krautrock sono forse le mie preferite al momento.

Città che consiglieresti di visitare e perché.
A chi è in cerca di esperienze sonore consiglio Venezia e il Cairo. Per quelle olfattive, quasi tutte le metropoli sconosciute cinesi, in particolare Chengdu per l’odore delle centrali a carbone. Hong Kong per l’esperienza particolare dello spazio privato, Copenaghen o Stoccolma invece per l’esperienza degli spazi pubblici. Londra per la possibilità di entrare in un museo gratuitamente o passare per un metal-detector.

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Nicolò Degiorgis - dalla serie Oasis Hotel - Cina, 2008 - ©Nicolò Degiorgis/Contrasto

I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato.
Luoghi immersi nella natura come le isole Svalbard in Norvegia o i Tepuy in Venezuela, ma anche gli spazi industriali, le fabbriche in particolare, che non a caso sono spesso diventati i soggetti dei miei lavori, dalla Cina all’Italia.

Le pellicole che hai amato di più.
Difficile stilare una classifica. Spontaneamente mi vengono in mente molte commedie. Penso a Harold and Maude, Il laureato, Amarcord, Fargo, quasi tutti i film di Kubrick, e tutti quelli di Werner Herzog con Kinski, e molti, molti altri.

Le mostre visitate che ti hanno lasciato un segno.
L’anno scorso mi ha sorpreso la mostra In-finitum a Palazzo Fortuny a Venezia, per la forza dell’accostamento e della contestualizzazione delle opere d’arte, spesso incomplete. Alec Soth: The Space Between Us al Jeu de Paume a Parigi invece è stata la prima grande mostra fotografica che abbia visitato. Recentemente è stato bellissimo invece vedere riuniti molti dei miei fotografi preferiti alla Tate Modern di Londra nella sezione Photographic Typologies.

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Nicolò Degiorgis - dalla serie The Hidden Islam - Italia, 2009-11 - ©Nicolò Degiorgis/Contrasto

Gli artisti del passato per i quali nutri interesse.
Varia a periodi. Al momento, August Sander e Joseph Beuys.

E i giovani artisti a cui ti senti vicino, artisticamente parlando?
Ritengo molto interessanti i lavori di Mikhael Subotzky sul sistema penitenziario in Sudafrica o di Mohamed Bourouissa riguardanti le banlieu parigine.

Che formazione hai?
Mi sono laureato in Lingue e istituzioni giuridiche ed economiche all’Università di Venezia. Fotograficamente parlando sono autodidatta.

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Nicolò Degiorgis - dalla serie Tatoun - Egitto, 2010 - ©Nicolò Degiorgis/Contrasto

Dal 2009 lavori a un progetto fotografico work in progress dal titolo The Hidden Islam. Si tratta di una sorta di “censimento” per immagini di spazi (stadi, garage, supermercati, appartamenti) in varie città italiane impiegati come moschee. Come ti sei avvicinato a questa tematica e com’è nato il progetto?
Dopo avere documentato principalmente tematiche inerenti la Cina, ho sentito l’esigenza di cimentarmi in un progetto a lungo termine in Italia. La scelta di documentare vari aspetti dell’immigrazione nel Nordest è stata dettata dal contesto nel quale mi trovavo. Il progetto è nato durante la mia residenza a Fabrica, centro di ricerca della comunicazione di Benetton, che si trova a Treviso. Leggendo molti quotidiani locali, ho ritenuto che ci fosse troppa strumentalizzazione e poca oggettività nel raccontare la tematica dell’immigrazione.

Sei rappresentato da un’agenzia prestigiosa come Contrasto. Molte gallerie d’arte hanno ormai nelle loro scuderie fotografi di formazione. Pensi che ancora oggi sia difficile per un fotografo entrare nel circuito dell’arte?
Confido in critici e curatori nel decretare il contesto al quale appartiene un lavoro. La fotografia ha già ampiamente dimostrato la necessità di trovare spazio in gallerie e musei. Credo vadano analizzati i casi singolarmente. Personalmente non mi ritengo un fotografo di formazione.

Daniele Perra

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #1


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Daniele Perra

Daniele Perra

Daniele Perra è giornalista, critico, curatore e consulente strategico per la comunicazione. Collabora con "ICON DESIGN", “GQ Italia”, “ULISSE, "SOLAR" ed è docente allo IED di Milano. È stato fondatore e condirettore di “unFLOP paper” e collaboratore di numerose testate…

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