Giro d’Italia. Il racconto di Chiara Capodici dal borgo Sperlonga

Situato nel Lazio, tra Roma e Napoli, Sperlonga è uno dei borghi più belli d’Italia. Qui il racconto di Chiara Capodici con le foto di Giuseppe Moccia, per la rubrica curata da Emilia Giorgi

Nella vecchia chiesa sconsacrata al centro del paese il tetto è ancora crollato e una manciata di gatti si gode gli angoli di ombra fra una tegola rotta e l’altra, mentre giù in basso degli operai portano fuori nel vicolo principale, e poi chissà dove, delle carriole cariche di detriti misteriosi. Uno di loro mi mostra da una busta nera un teschio impolverato: stanno ripulendo il pavimento della chiesa da vecchi scheletri sepolti lì secoli fa, quando la protezione dei santi era una questione di prossimità. La chiesa è sul punto di essere finalmente trasformata in un centro congressi, pronto a celare con i suoi nuovi arredi modulari gli strati di storia che si sono accumulati da una manciata di secoli.

giuseppe moccia mi avevano detto che da quelle parti sorgeva amyclae 2015 courtesy lautore 6 Giro d’Italia. Il racconto di Chiara Capodici dal borgo Sperlonga

Il paesaggio di Sperlonga

E con loro quel passaggio in un punto del pavimento che si è per un attimo nuovamente aperto e che si affaccia sul fiume sotterraneo che scorre sotto il paese. Attraverso grotte scavate nel piccolo promontorio su cui sorge Sperlonga vecchia, porta giù da un lato al lavatoio di Sperlonga mare e dall’altro alla fonte – una piccola sorgente d’acqua che dà vita a un rivoletto senza nome lungo la spiaggia – e ancora più in là alle piscine della Villa di Tiberio. Se si prende la giusta deviazione, poi, si arriva a un sito archeologico immerso nel verde dove i resti dell’antica villa, adesso ridotti a poco più di un labirinto di basse linee di mattoni e avanzi di pavimenti, disvelano un luogo più simile a una vecchia colonia della Magna Grecia ancora pressoché intatta. Ma questo, appunto, solo a patto di riuscire a prendere la giusta deviazione, celata quasi a tutti. A riprova dell’esistenza di questo fiume, ancora oggi, se si fa il bagno dal lato della grotta e ci s’immerge sott’acqua, si viene investiti a tratti da fiotti di acqua fredda e dolce, che colpiscono come la sorpresa di un innaffiatore che si accende all’improvviso in un giardino d’estate. Ma torniamo al pavimento della chiesa e a quel pertugio a cui si accede solo dopo aver atteso il passaggio di un’orda di blatte che si disperde rapidamente nei buchi invisibili dei muri. In dialetto le chiamano fèmili, chissà perché, un nome che dà subito loro un tono perturbante rispetto, per esempio, al più onomatopeico e spagnoleggiante cocoroci che usano alcuni sardi. Il silenzio dell’afa della pausa pranzo, quando tutti sono in spiaggia, sarà poi spezzato dal suono delle rondini che svolazzano sopra i tetti, uniche testimoni dall’alto dei loro nidi, insieme ai gatti, della mia scoperta del fiume sotterraneo, lungo il quale mi avventuro senza pensarci troppo.

L’architettura di Sperlonga

La mia avventura dura il tempo incalcolabile di un sogno, di quei sogni che sembrano delle porte spalancate sull’inconscio, che si fa spazio fra i malconci palazzi arroccati uno sull’altro, innervati da un dedalo di vicoli di interminabili scale, dal silenzio e dalla noia delle lunghe giornate d’estate. Il paese è ora ben disinfestato, i palazzi come la chiesa quasi tutti restaurati. Orde di turisti giornalieri arrivano, fanno il giro dei vicoli principali muniti di pratici auricolari. La sera è animata dalla cassa dritta dei locali che danno il benvenuto allo struscio in ghingheri e questo mondo, dove realtà e immaginario si mischiano senza soluzione di continuità, rimane ben protetto e nascosto, anche se sentirlo si è fatto più arduo, un po’ come sentire il gorgoglìo di quel fiume che non vediamo ma è proprio lì, sotto i nostri piedi. 

Il mare a Sperlonga

Quando faccio il bagno al largo e vedo il paese da lontano tutto è chiaramente ancora presente nel colpo d’occhio che prende insieme Sperlonga e il suo avamposto della Torre Truglia, la montagna, la Grotta di Tiberio, e, guardando più in là verso sud i resti della Torre Capovento, crollata tanti anni fa in una notte di tempesta. E quando sono sul punto di scordarmene, l’acqua fredda e dolce che scorre a tratti sotto la superficie del mare mi punzecchia e i ricordi del paese dal fiume sotterraneo tornano a galla. Questo racconto è, appunto, un sogno. Anzi per la precisione uno dei miei sogni ricorrenti preferiti.

Chiara Capodici

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Redazione

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