Brain Drain. Parola a Davide Fornari

Davide Fornari ha un dottorato conseguito allo Iuav di Venezia. Ma ha vinto un concorso in Svizzera quando ancora studiava in Italia e le prospettive erano tutt’altro che chiare. E pure la sua tesi l’ha stampata grazie a un fondo ginevrino. Ennesima storia di espatrio, questa volta alla SUPSI - Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana.

Come sei arrivato in Svizzera?
Ho vinto un concorso per un posto da ricercatore presso la SUPSI di Lugano quando ero ancora un dottorando all’Università Iuav di Venezia. Il primo concorso per una posizione da ricercatore in disegno industriale a Venezia si è aperto solo mesi dopo l’esame di dottorato, quando lavoravo già a Lugano.

Come si lavora presso le università svizzere?
Il personale assunto al 100% lavora “in esclusiva” per l’università, anche se è possibile chiedere un nulla osta per insegnare in altre università: insegno anche alla Scuola Politecnica di Design di Milano. Lavoro in un open space con altri colleghi, ho un computer personale, ho un budget dedicato alla mia formazione, e normalmente l’università copre le spese di trasferta per convegni e incontri di ricerca. Dopo tre anni sono entrato in ruolo come docente ricercatore, una via di mezzo fra il ricercatore e il professore universitario del sistema italiano. L’impegno lavorativo è di 42 ore a settimana: questo significa che, oltre a fare ricerca, tengo diversi corsi del bachelor in Comunicazione visiva e coordino il master in Interaction design che Domus ha segnalato fra le 100 migliori scuole europee di design nel 2012.

Davide Fornari - Il volto come interfaccia

Davide Fornari – Il volto come interfaccia

Quali le differenze fra sistema accademico italiano e svizzero?
Le differenze principali riguardano il sistema di reclutamento dei docenti e dei ricercatori e il sistema di finanziamento della ricerca. In Svizzera ogni università decide con un concorso quali docenti assumere. Le nomine non hanno valore nazionale: i professori non possono essere trasferiti da un’università all’altra se non attraverso un nuovo concorso. Ogni anno viene giudicato il lavoro di docenti e ricercatori attraverso un colloquio.

Come si sostiene la ricerca?
Il sistema di finanziamento della ricerca è estremamente selettivo ma assolutamente trasparente. Due agenzie principali (Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e Pro Helvetia) prevedono programmi con budget significativi, rispettivamente circa 50 e 25 milioni di franchi l’anno, per il sostegno a progetti, carriere e pubblicazioni.
Il Fondo nazionale ha finanziato la pubblicazione della mia tesi di dottorato, mentre un’altra agenzia, lo Swiss Network for International Studies di Ginevra, ha finanziato con 300.000 franchi un gruppo di ricerca che coordino insieme a Iolanda Pensa sull’impatto dell’arte pubblica su tre città africane (Luanda, Douala e Johannesburg).

Davide Fornari, Ritratto per il progetto Il mio Magistretti - www.vicomagistretti.it

Davide Fornari, Ritratto per il progetto Il mio Magistretti – www.vicomagistretti.it

Come giudichi le politiche culturali?
Appena arrivato in Svizzera, mi sembrava che la gestione dei progetti fosse troppo “burocratica” e concentrata sull’aspetto economico piuttosto che su quello culturale. Col tempo mi sono accorto che senza “i conti in ordine” non è possibile fare nulla, nemmeno cultura. In Italia ci sono opere, talenti e culture, ma il sostegno pubblico è minimo oppure gestito con pochi controlli, mentre quello privato è sicuramente straordinario, ma non può sostituirsi a programmi pubblici, che devono garantire trasparenza, equità, meritocrazia. Se penso al finanziamento alla ricerca, il programma PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) a cui pure ho partecipato in Italia è estremamente selettivo, ma per scarsità di risorse.
Forse è anche un problema di dimensioni: la Svizzera è paragonabile demograficamente alla Lombardia. Le istituzioni sono curiose di quello che succede: sono interessate ai processi culturali, li stimolano, invece di subirli o cavalcarli quando sono ormai socialmente accettati.

Vita a cavallo della frontiera fra i due Paesi: quali valori porti nella tua professione?
Il Canton Ticino è un luogo di intersezione culturale fra cultura svizzera e italiana, fra italofonia e germanofonia. È anche una comunità ristretta, che costringe a confrontarsi con un contesto più ampio, almeno europeo. Il fatto di operare in una comunità linguistica minoritaria implica l’uso dell’inglese o di un’altra lingua nazionale pressoché ogni giorno. Ci sono cose che amo e odio in entrambi i Paesi, e il fatto di parlare la stessa lingua è un vantaggio solo apparente. Vivere a cavallo della frontiera è una situazione critica ma credo non riuscirei più a farne a meno.

Neve Mazzoleni

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Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni. Background di storica dell’arte e filosofa, perfezionata in management dell’arte e della cultura e anche in innovazione sociale, business sociale e project innovation. Per anni è stata curatrice ed exhibition manager della collezione corporate internazionale di UniCredit all’interno…

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