Vietato denunciare il viadotto costruito sopra un Nuraghe. La Soprintendenza archeologica di Cagliari censura la performance dell’artista Nicola Mette

Belveghile è un Nuraghe nel territorio di Olbia, attualmente schiacciato sotto la mole grigia di una circonvallazione. Un viadotto d’asfalto e cemento, è questa la lapide anonima posta sull’inestimabile reperto. Belveghile è anche il nome che l’artista Nicola Mette (1979) avrebbe dato alla performance che si sarebbe dovuta svolgere domenica 23 agosto presso il Complesso […]

Belveghile è un Nuraghe nel territorio di Olbia, attualmente schiacciato sotto la mole grigia di una circonvallazione. Un viadotto d’asfalto e cemento, è questa la lapide anonima posta sull’inestimabile reperto. Belveghile è anche il nome che l’artista Nicola Mette (1979) avrebbe dato alla performance che si sarebbe dovuta svolgere domenica 23 agosto presso il Complesso Nuragico di Tamuli, sito risalente all’età del Bronzo medio e situato sul declivio del monte Sant’Antonio in provincia di Nuoro. L’osservatore sarebbe stato indotto in confusione quando, giunto presso il sito, si sarebbe trovato di fronte ad una serie di nove bétili, di cui tre finti realizzati per l’occasione in vetroresina. Nudo e indifeso come il nostro patrimonio, l’artista si sarebbe disposto nella terra sotto uno dei nuovi monoliti, instaurando col territorio un rapporto puro che esalta la funzione sacra di un uomo non al di sopra dell’ambiente, ma accanto e dentro di esso.
Questa, in breve, quella che sarebbe dovuta essere la performance di denuncia dell’artista sardo. Un’esigenza di reazione spezzata della Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Cagliari, che ha ritenuto impraticabile qualunque forma, anche temporanea, d’attività all’interno del sito, oltre a giudicare la performance indecorosa e pericolosa per il bene stesso. “Ho pensato – dice Mette – al fatto che ancora in Sardegna la nudità venga considerata diversamente dall’arte. È scandaloso mettersi nudi in Sardegna, un archeologo mi ha detto che lo facevo solo per farmi conoscere, non ha pensato minimamente al perché di quella nudità. Tra l’altro era la prima volta che organizzavo una performance nudo. Fino a quel momento non avevo sentito l’esigenza di farlo e questa mi sembrava un’ottima occasione”. La censura non arresta l’artista che reagisce fraternizzando col patrimonio deturpato, cercando per esso una via di riscatto. Con i social network lancia l’iniziativa DEO SOE Belveghile, io sono Belveghile. Ricordando Charlie Hebdo, vuole dimostrare come le libertà di pensiero ed espressione non debbano essere fermate in nessun modo.
L’artista performer è sempre stato attento alle dinamiche che intaccano l’individuo nella sua natura più profonda, sia inteso come isola a sé stante che quale parte emersa di un mare che muta con essa. In questo caso l’attenzione si rivolge al suo territorio d’origine, quello sardo, dove natura e storia si sciolgono in un ambiente in cui l’uomo, forse sentendosi poco in armonia, influisce negativamente. Riflettendo sullo scempio di Belveghile, Mette induce ad interrogarsi sul cemento che si estende senza riguardo su un patrimonio sacrificato all’ambizione umana, sui restauri malsani, sugli abusi edilizi, sulle censure delle istituzioni.

– Domenico Russo

 

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Domenico Russo

Domenico Russo

Domenico Russo è laureato in Beni Artistici, Teatrali, Cinematografici e dei Nuovi Media presso l’Università di Parma. Ha collaborato con il Teatro Lenz e con la Fondazione Magnani Rocca. È impegnato come curatore in una ricerca che lo spinge alla…

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