Il chiassoso caos ordinato delle decine di oggetti, suppellettili, ammennicoli, cianfrusaglie raccolte in giro per i rigattieri di mezza Europa e incollate – inglobate, catturate – su tavola trova la sua convergenza in una sparuta cornicetta formato cartolina, timida ed umile a inquadrare il ritaglio sberciato di una stampa d’epoca. Dal quale occhieggia, i capelli scarmigliati di una serva goldoniana e la lucerna votiva a confondersi con una salsiera, Santa Marta: è lei, munifica protettrice di osti e ospiti, il nume tutelare del ritorno di Daniel Spoerri a Milano. Dove apre, per un mese, il Bistrot intitolato all’evangelica sorella di Maria di Betania; nel nome delle esperienze analoghe condotte nel ’70 per il decennale del Noveau Réalisme e cinque anni più tardi in occasione delle cene astro-gastronomiche che hanno portato in dodici serate diverse, con le gambe sotto il tavolo, solo commensali accomunati dallo stesso segno zodiacale.
In previsione una serie di cene a tema ideate dallo stesso Spoerri, memore degli anni d’oro della eat art; in mostra ventuno lavori creati ad hoc, che sembrano sparecchiare le celebri tableaux-piège e raccogliere per accumulazioni omologhe e paratassi visuali gruppi omogenei di oggetti da cucina. Si passa quindi dalla fotografia dell’istante conviviale all’autopsia dello stesso, inanellando con rigore scientifico le reliquie della preparazione del pasto. Tra cataste di coltelli e una pioggia di caffettiere.
– Francesco Sala