Chi ha avuto la fortuna di imbattersi in un designer o in un artista coreano sa che nessun aspetto progettuale viene mai lasciato al caso. La cura e l’attenzione investite nella realizzazione di un manufatto riflettono una cultura tipicamente orientale e dimostrano un’affezione particolare per il prodotto. Ne è prova la recente esposizione tenutasi, in occasione del Salone del Mobile, presso la Triennale di Milano: “Constancy & Change in Korean Traditional Craft 2013”. Artigiani e artigiane coreane pronti a dimostrare lo sviluppo del loro artigianato e design a fronte di una rapida crescita dell’economia. A quanto pare non è tutto.
Dal 2004 l’organizzazione Gwangju Metropolitan City ha ideato una biennale per promuovere il design locale e per entrare in contatto con la progettazione internazionale. La prima Biennale di design di Gwangju, Light into Life, è stata inaugurata nel 2005, l’edizione più acclamata, ad oggi, è stata quella del 2011 – titolo Dogadobisangdo (design is design is not design) – diretta da Seung H-Sang e Ai Weiwei. Sarà dunque arduo, per la quinta edizione di quest’anno, Anything, Something, replicare il successo della precedente. La Biennale di Gwangju Design ci prova, dal 6 settembre al 3 novembre prossimi, e lo fa con i numeri, 358 tra artisti e studi di progettazione, con l’internazionalità, venti i paesi partecipanti, ma soprattutto fissando come obiettivo la pratica, piuttosto che l’estetica, del design.
Tema secondario della mostra principale è “design identity”, teso a indagare il design della vita di tutti giorni ed i cambiamenti della società che si riflettono sulla progettazione. La Corea dimostra così non solo di voler far evolvere il design locale, ma anche di stare al passo con quello internazionale.
– Valia Barriello