Dai necrologi di Ryan Gander alle saghe medievali di Fiona Tan, passando per un ipnotico Alberto Tadiello: a Roma torna Helicotrema, festival dell’audio registrato. Quaranta artisti discutono le proprie creazioni sonore con il pubblico

C’era una volta la radio. E non c’era mica per tutti. La mitologia del tubo catodico, propinata dai parenti più prossimi – o vissuta di prima mano da chi ormai ha i capelli bianchi – ci ha restituito fino allo sfinimento l’immagine della partita di pallone rigorosamente al bar o della riunione di condominio per […]

C’era una volta la radio. E non c’era mica per tutti. La mitologia del tubo catodico, propinata dai parenti più prossimi – o vissuta di prima mano da chi ormai ha i capelli bianchi – ci ha restituito fino allo sfinimento l’immagine della partita di pallone rigorosamente al bar o della riunione di condominio per il Rischiatutto; il tempo ha cancellato dalla memoria collettiva come, qualche anno prima di Mike Bongiorno e della signora Longari, le stesse scene avvenivano attorno alla radio. Con l’intrigante variabile aggiunta dell’esclusività del mezzo sonoro: concentrazione massima sulla parola, dunque. Vissuta nella sua rotonda complessità armonica di ritmo e melodia, valore accessorio al suo significato semantico; e al tempo stesso esaltata nella dimensione di un ascolto collettivo che era mattone con cui costruire confronto e dialogo.
A quell’immaginario guarda la seconda edizione di Helicotrema, il festival dell’audio registrato che dal 18 al 21 aprile anima più location romane. Passando dal MACRO all’Auditorium Parco della Musica, per finire allo Studio A di Radio Tre, che trasmette in diretta parte degli appuntamenti: incontri con opere d’arte sonora e letture d’artista, commentati a margine dal pubblico insieme agli stessi autori. Una quarantina i nomi coinvolti nell’operazione dal collettivo Blauer Hase, di cui fa parte Riccardo Giacconi, uno degli artisti in residenza al MACRO dallo scorso mese di febbraio.
Accenti quasi musicali per l’ostico ma affascinante gramelot mediterraneo con cui Maria Luisa Spaziani, musa di Eugenio Montale, dà voce alla sua Giovanna d’Arco, eccentrica via di mezzo tra romanzo e poema in endecasillabi; indugiando sulla melodia della parola, là dove c’è che preferisce puntare tutto sul ritmo: Mariateresa Sartori spoglia Leopardi e altri grandi nomi della poesia internazionale del significato delle loro opere, tenendo per sé solo la cadenza delle varie strofe. Per un canto che non parla più alla testa, ma esclusivamente a pancia e cuore.
Cesare Pietroiusti la butta in politica, con echi alla Giorgio Gaber, ragionando sull’Io di destra, io di sinistra; si ispirano invece alla Commedia di Dante le spirali ipnotiche di Alberto Tadiello. Esorcizza la morte Ryan Gander, che riflette sulla fugacità della vita usando come feticcio un’indagine sulle possibilità stilistiche del necrologio; Fiona Tan recupera invece, e reinterpreta, le cronache altomedievali che raccontano i viaggi del monaco irlandese Brendano.

– Francesco Sala


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Francesco Sala

Francesco Sala

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