Nato due volte. È il MAC di Lissone, che a nove mesi dall’ultima mostra importante riapre i battenti sotto la direzione di Alberto Zanchetta. Programmi ambiziosi per uno spazio che si ripropone con Luca Pozzi e un sentito omaggio ad Andrea Di Marco

Tra tutte le forme espressive l’arte contemporanea è figlia della serva: arriva sempre per ultima – ossimoro curioso – nelle attenzioni di pubblico e finanziatori. È così nelle grandi città ed è così, a maggior ragione, in provincia: sventurata concentrazione di paletti, allora, l’identità di uno spazio che nasce sì fuori dai circuiti che contano, […]

Tra tutte le forme espressive l’arte contemporanea è figlia della serva: arriva sempre per ultima – ossimoro curioso – nelle attenzioni di pubblico e finanziatori. È così nelle grandi città ed è così, a maggior ragione, in provincia: sventurata concentrazione di paletti, allora, l’identità di uno spazio che nasce sì fuori dai circuiti che contano, ma sufficientemente vicino al cuore dell’impero da sentirsi vittima legittima del complesso del “potrei ma non riesco”. Potrei attirare risorse e attenzioni, perché vicino alla città; ma in realtà non ci riesco: proprio perché quella distanza così ridotta finisce per disperdere energie, con la metropoli onnivora a drenare opportunità.
In un panorama del genere fa piacere assistere alla rinascita del MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, zuccherino ad addolcire una velenosa Brianza inevitabilmente protesa verso Milano. A nove mesi esatti dall’ultima mostra importante, con Michelangelo Pistoletto a indagare i legami tra arte e design, si torna a fare sul serio: metabolizzato il cambio al vertice tra Luigi Cavadini e il subentrante Alberto Zanchetta, si ricomincia. Con una programmazione ricca, articolata e – considerato il contesto – decisamente ambiziosa.
Ad aprire le danze una collettiva che indaga il media della pittura, lasciando che – ad evocarlo – siano però altri linguaggi: dalle installazioni magnetiche di Luca Pozzi a quelle minimal diMatteo Fato, passando per i ritagli di Dacia Manto e le eteree composizioni di Emanuele Becheri. Un percorso che lancia implicita volata alla retrospettiva omaggio per Andrea Di Marco: il sobrio allestimento total white esalta la grana pastosa di una manciata di pezzi dell’ultimo triennio, fotografia rapida ma sufficientemente significativa per inquadrare al meglio la parabola dell’artista. Rinnovamento anche in area bookshop, da questi giorni reinventato nella formula di Index G: spazio dove incontrare e conoscere piccole ma fruttuose realtà dell’editoria d’arte underground. Partendo, dovere di ospitalità, da boîte, la rivista in scatola nata proprio a Lissone: esposti per la prima volta “fuori dal guscio” tutti e dieci i numeri usciti fin’ora; accompagnati dai consigli per la lettura suggeriti da contributor di ieri e di oggi.
Il MAC è tornato, dunque: evviva il MAC. Con l’augurio che sappia eludere le sabbie del provincialismo, diventando piattaforma capace di guardare lontano: il rischio, spada di Damocle sempre pendente in casi di realtà geograficamente marginali, è quello di chiudersi nell’autoreferenzialità; sia essa puramente localistica, oppure – forse peggio – dettata dal protagonismo di critica e curatela.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

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