E questa la chiamereste pornografia? Ecco la (castissima) foto che accusa Ai Weiwei. Una nuova scusa delle autorità cinesi per segregare l’artista-attivista

Alzi la mano non tanto chi è d’accordo sulle accuse di pornografia legate alla foto che vedete qui sopra, ma anche soltanto chi se ne sente disturbato. È qualcosa di ridicolo solo parlarne: eppure per le autorità cinesi è qualcosa degno di un procedimento penale. Per lo meno, lo è se sul banco degli imputati […]

Alzi la mano non tanto chi è d’accordo sulle accuse di pornografia legate alla foto che vedete qui sopra, ma anche soltanto chi se ne sente disturbato. È qualcosa di ridicolo solo parlarne: eppure per le autorità cinesi è qualcosa degno di un procedimento penale. Per lo meno, lo è se sul banco degli imputati siede Ai Weiwei.
Già, perché in questi giorni sono scaduti i termini che limitavano la libertà dell’artista-attivista dopo l’accusa di frode fiscale, vicenda anche questa “accessoriata” di episodi che sarebbero comici, se non ci fossero di mezzo i diritti della persona. Basti pensare che dopo la contravvenzione di 15 miliardi di yuan (1,7 milioni di euro), in Cina è partita uno sottoscrizione popolare per sostenere Ai Weiwei, che però è stata anche questa vietata dalla polizia. C’è stato qualcuno che è arrivato ad inviare denaro all’artista in buste nascoste dentro ceste di frutta, e addirittura con banconote trasformate in aerei di carta fatti planare nel giardino della sua casa.
Insomma: scaduti i termini, riguadagnata la libertà? Nemmeno per idea, perché resta in piedi il procedimento legato alla foto, titolo One Tiger, Eight Breasts: capi di imputazione, bigamia e pornografia…

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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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