“Io sono anche i miei silenzi”: videointervista alla linguista Vera Gheno
La fotografa Silvia Camporesi intervista Vera Gheno, linguista, saggista e attivista italiana riflettendo su immagini e parole. Ecco la videointervista
Seguo da tempo il lavoro della sociolinguista Vera Gheno, in particolare il suo podcast Amare Parole, che affronta con profondità temi cruciali legati all’uso del linguaggio in rapporto a equità, diversità e inclusione. Ho voluto incontrarla nella sua casa a Firenze, per riflettere insieme sul linguaggio contemporaneo e, soprattutto, sul modo in cui parole e immagini si intrecciano nel costruire, o distorcere, la realtà che abitiamo.
La “peste del linguaggio” secondo Italo Calvino
Il nostro dialogo è partito da un passo di Italo Calvino tratto da Lezioni americane dove, nella lezione dedicata all’esattezza, parla della “peste del linguaggio”: “Viviamo sotto una pioggia ininterrotta di immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e significato, come forza d’imporsi all’attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte di questa nuvola di immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio ” (Italo Calvino, Lezioni americane, Oscar Mondadori, 1999, pag. 67).
Vera Gheno e il parallelo tra parole e immagini
Era il 1984, eppure queste parole sembrano oggi una diagnosi precoce dell’ecosistema comunicativo dei social. È particolarmente stimolante il modo in cui Gheno mette in parallelo parole e immagini, ponendole entrambe al centro di una riflessione etica: non si tratta semplicemente di stabilire cosa sia lecito o illecito (ad esempio nella condivisione pubblica di fotografie private) ma di risalire alle radici più profonde del gesto comunicativo. La questione, infatti, non è il divieto in sé, bensì la consapevolezza: che idea di libertà, giustizia e responsabilità orienta le nostre scelte linguistiche e visive?
La condizione di “prosumer”
In tutto questo condivido con Vera Gheno l’idea che manchi un’educazione all’immagine, un’alfabetizzazione critica capace di renderci davvero liberi nell’uso dei mezzi espressivi. Nell’ambito scolastico si parla di educazione artistica, ma spesso si dimentica che, nell’epoca digitale, non siamo solo fruitori d’immagini: siamo anche produttori.
Il termine prosumer, oggi ampiamente diffuso, descrive proprio questa duplice identità, che meriterebbe di essere riconosciuta e problematizzata all’interno dei percorsi educativi. Non basta saper leggere un’immagine, bisogna anche imparare a interrogarne la costruzione, la responsabilità di chi la crea, il contesto in cui circola.
L’importanza dei silenzi
Un’altra dimensione cruciale, che attraversa tanto il linguaggio verbale quanto quello visivo, è il rapporto tra pieno e vuoto. Ciò che includo in un’immagine è importante quanto ciò che scelgo di lasciare fuori; allo stesso modo, ciò che non dico pesa quanto ciò che esprimo apertamente.
“Io sono anche i miei silenzi” afferma Gheno, anche se nella società della performance il silenzio e il vuoto vengono spesso percepiti come mancanze, come assenze da colmare. Eppure, come affermava il linguista Giorgio Raimondo Cardona, il silenzio è il castone in cui inserire le parole, per dare loro il giusto valore. Forse anche le immagini hanno bisogno di un contorno vuoto, di un respiro, per poter davvero parlare.
Silvia Camporesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati