HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea. #2 Lockdown

Secondo appuntamento del progetto “HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea", a cura di Giovanni Viceconte. Una serie dedicata alla videoarte e alla performance, per riflettere sulla condizione umana ai tempi della pandemia. Questo episodio, guidato dalla parola chiave “Lockdown”, vede protagonisti quattro artisti: Calixto Ramirez, Marcantonio Lunardi, Francesca Fini e Virginia Zanetti.

Il progetto HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea, a cura di Giovanni Viceconte, nasce in un momento di “isolamento” dell’uomo contemporaneo, originato dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Una quarantena forzata che ha generato nelle persone nuove forme di comportamento e allo stesso tempo ha amplificato pensieri e riflessioni. Partendo da questa condizione di disagio e dalla formazione di un nuovo modo di concepire la vita, il progetto propone una serie di appuntamenti dedicati al linguaggio della video arte e della performance, presentando una selezione di artisti che hanno interpretato il sentimento di malessere-inquietudine e il senso di inadeguatezza collettiva o personale dell’uomo contemporaneo.
Ogni appuntamento/mostra è identificato da una “parola chiave”, che può introdurre l’opera video di un singolo artista oppure individuare legami comparativi tra più opere video, che saranno proposte dal curatore con lo scopo di stimolare nello spettatore nuovi ragionamenti e confronti.

HUMANS. VideoRitratti della società contemporanea. #1 Malessere

#2 LOCKDOWN – CALIXTO RAMIREZ

Calixto Ramirez, Micro-acciones producto del confinamiento, 2020, 3:24 – courtesy dell’artista

Partendo dalla parola “lockdown”, che caratterizza questo appuntamento, puoi darci una chiave di lettura per comprendere meglio la tua opera?
Micro-acciones producto del confinamiento (Micro-azioni di confinamento) è una serie composta brevi azioni pensate per un’inquadratura precisa della videocamera, in una rappresentazione che rasenta l’assurdo; dove il corpo, lo spazio, la distanza, l’accompagnamento, la solitudine e la disperazione diventano gli elementi riconoscibili di questo mio lavoro.
Nella micro-azione dal titolo Duelo a 1.80 metros la distanza è il pretesto per innescare una lotta per lo spazio, mentre nell’azione Convivio a un metro ochenta mostro un’area da rispettare per consumare un caffè. In “Graffiti para delimitar el espacio, lo spazio è il luogo in cui creare un graffito in mezzo al nulla, un segno che malgrado la sua incorporeità rende visibile la distanza da rispettare tra le persone. Anche in Sei pies (182 cm) l’azione ricorda il sistema di misurazione inglese che corrisponde alla distanza consigliata: 1,82 cm.
Le altre azioni presenti in questo video analizzano gli aspetti psicologici generati dalla solitudine a causa dell’emergenza sanitaria che siamo vivendo: ¡Ey! ¿Qué? ¡Ya Voy!, è un grido verso il nulla che metaforicamente diventa un urlo verso se stessi; Muover una roca mostra il disperato tentativo di voler muovere una pietra senza l’aiuto degli altri. Infine Casi rileva l’impossibilità di sfiorarsi. In definitiva posso affermare che le azioni che ho raccolto in questo video riflettono i miei sentimenti nei primi tre mesi di pandemia, vissuta nella città di Monterrey (Messico), in cui vivo e lavoro.

In che modo questa realtà emergenziale da Covid-19, con le sue costrizioni di chiusura/isolamento, ha influenzato il tuo lavoro d’artista e in generale in tuo modo di riflettere sulla contemporaneità?
Il lockdown è stato diverso in Europa e in Messico. Nel mio Paese non c’è mai stato un blocco totale come in Italia o in Spagna, il motivo è che molti messicani come in altri paesi latinoamericani vivono alla giornata e se non lavorano non mangiano. Ovviamente hanno chiuso le università, i musei, i cinema e altri spazi affollati. Il governo ha sempre raccomandato di restare a casa come misura preventiva, ma non l’ha mai imposto come obbligo. In questo contesto, la mia produzione non è cambiata molto, continuo a fare passeggiate con la macchina fotografica, scatto foto o creo azioni che registro con la mia videocamera. Forse il cambiamento più evidente nel mio lavoro avviene dal 2020, quando ho deciso di investire parte dei miei risparmi in strumenti per lavorare da casa o nel mio studio, dove sto realizzando principalmente lavori pittorici e scultorei. In questo senso, la pandemia ha portato cambiamenti positivi alla mia produzione.

Calixto Ramirez, micro acciones “Graffiti para delimitar el espacio” , 2020 courtesy dell'artista

Calixto Ramirez, micro acciones “Graffiti para delimitar el espacio” , 2020 courtesy dell’artista

L’arrivo del coronavirus, inoltre, ha svelato in modo chiaro ciò che già sapevamo o sospettavamo, ossia la follia e la fragilità del mondo contemporaneo. Ci sono voluti tre mesi per assistere al crollo dell’economia mondiale o mostrare l’incapacità e l’inefficienza del sistema sanitario; il Covid-19 è stato usato come pretesto per fortificare i confini e le differenze; abbiamo assistito ad opinioni/pensieri di leader mondiali che incalzavano, attaccavano o equivocavano fatti scientifici per idee bizzarre di diverso tipo; ci siamo resi conto di come i paesi ricchi accumulano vaccini e dimenticano i paesi più fragili. Questa emergenza sanitaria però ha prodotto anche una pausa globale, che per tanti versi ha influito positivamente sull’ecologia e sulla filosofia, magari indirizzando l’umanità a ponderare quali direzioni intraprendere per cambiare e migliorare lo stile di vita.
L’arte e gli artisti, in tutto ciò, hanno una grande responsabilità nei confronti della società per generare crepe o colmare lacune, allo stesso tempo le istituzioni pubbliche e private dovrebbero pensare la cultura e scienza come necessità di base.

Rispetto ai consueti spazi deputati all’arte contemporanea, quanto ritieni utili le possibilità offerte dal web in questo particolare momento storico?
Il numero del pubblico cresce ma l’esperienza diminuisce. Ad esempio, anche questo lavoro è pensato per essere proiettato in uno spazio fisico e non per essere visto su un monitor. Proiettarlo in scala 1:1 aiuta a sottolineare l’idea spaziale e corporea delle mie azioni. Guardare l’opera sullo schermo di computer o di un cellulare permette di cogliere l’idea in modo chiaro, ma si perde il confronto tra l’opera, lo spazio e il corpo. Nonostante ciò, non posso negare che il web e i social network siano utili per promuovere l’arte. Se prima della pandemia mi contattavano grazie ai canali web per invitarmi a partecipare a progetti e mostre, dall’anno scorso ho anche venduto opere ad alcuni seguaci del mio canale Instagram. Nonostante ciò, preferisco l’esperienza dello spazio tangibile.

Calixto Ramirez

Nato nel 1980 a Reynosa (Messico), vive e lavora Monterrey (Messico).

Si laurea a La Esmeralda Art School di Città del Messico nel 2008. Tutti i suoi lavori sono caratterizzati dall’economia di mezzi che tuttavia gli consente di realizzare interventi di forte impatto. Le sue opere – installazioni, sculture, video, performance, pittura e fotografie – sono state esposte in numerosi centri espositivi e gallerie, in Europa e America Latina: Alessandra Bonomo (Roma, 2020); Grimmuseum (Berlino, 2019); Ribot Gallery (Milano, 2018); National Gallery (Tirana, 2017); Museo del Novecento (Napoli, 2016); Bienal FEMSA (Messico, 2016); Fondazione MEMMO (Roma, 2015); Museo de Arte Carrillo Gil ( Messico, 2014); Museo de Arte Moderno (Messico, 2013); Museo del Palacio de Bellas Artes (Messico, 2013). Premi e Residenze: Young Artist Biennal (Monterrey, 2012); Fundación Marcelino Botín (Spagna, 2009); Level 0 di Artverona (2015); Casa Wabi (Messico, 2015), Contigo a la distancia, FONCA (Mexico 2020); Borsa di studio, ITCA, (Messico, 2009).

www.calixtoramirezstudio.com

#2 LOCKDOWN – MARCANTONIO LUNARDI

Marcantonio Lunardi, The perfect pandemic criminal , 2020, 4’05’’ – courtesy dell’artista

Partendo dalla parola “lockdown”, che caratterizza questo appuntamento, puoi darci una chiave di lettura per comprendere meglio la tua opera?
I decreti ci hanno limitato nei nostri movimenti ma hanno anche interagito con il nostro modo di essere “sociali” . I singoli gesti racchiudono memorie inestimabili della nostra storia. Ogni comportamento sociale ci consente di parlare agli altri attraverso il corpo, l’espressione del viso, le mani. Il virus ha minato proprio quella parte di noi che ci consentivano di sentirci armonici con gli altri e in equilibrio con il nostro ambiente. Questi comportamenti sono diventati elemento di discussione e censura per la salute pubblica trasformando un qualsiasi gesto di affetto verso l’altro e verso se stesso in crimine morale. Proprio attraverso questa riflessione ho messo in scena il proibito, il deviato, il contro natura cioè la carezza verso il proprio viso o verso il proprio vicino, la corsa e il superare il limite della propria abitazione. Gesti quotidiani, azioni semplici dal forte carico emotivo che sono stati castrati proprio per la nostra sicurezza fisica ma che oggi diventano fonte di malattia interiore, di depressione, di disagio.

In che modo questa realtà emergenziale da covid-19, con le sue costrizioni di chiusura/isolamento, ha influenzato il tuo lavoro d’artista e in generale il tuo modo di riflettere sulla contemporaneità?
Un evento così importante come la pandemia mi ha costretto a rapportarmi con aspetti del mio carattere fino ad oggi sconosciuti. La pressione a cui siamo stati sottoposti, la paura, la precarietà di un lavoro bloccato da marzo 2020, la sofferenza personale e diffusa non ha fatto altro che asciugare i rapporti, renderli più semplici e definiti. La crisi ha permesso la ricostruzione un futuro più diretto e privo di sovrastrutture. Anche il rapporto con gli amici galleristi è stato ridefinito e sinceramente migliorato trasformando le nostre riflessioni sul mercato e concentrandoci di più sul nostro sentire. La cosa ovviamente si è ripercossa anche sulla creazione delle opere. Ho sentito il bisogno di creare mondi digitali soprattutto in ambito grafico che mi ospitassero. Una specie di fuga politica di riflessione mentre nell’ambiente video ho iniziato un nuovo percorso di sperimentazione recuperando gesti e modi del cinema degli albori.

Marcantonio Lunardi, Criminal, 2020 per gentile concessione della Galleria Fucina d'Arte di Pietrasanta

Marcantonio Lunardi, Criminal, 2020 per gentile concessione della Galleria Fucina d’Arte di Pietrasanta

Rispetto ai consueti spazi deputati all’arte contemporanea, quanto ritieni utili le possibilità offerte dal web in questo particolare momento storico?
Sono sempre stato convinto che ogni singolo spazio dedicato alle opere d’arte contemporanea fosse un piccolo tesoro da custodire. Non faccio distinzione tra una pagina web e un monitor posto all’interno di un ascensore. L’arte in generale va fruita senza limiti di sorta. Il mezzo web ci ha consentito di fruire della creatività di molti artisti nelle nostre case sopperendo alla disattenzione di uno stato che ha precarizzato il mondo della cultura e le sue maestranze.
La rete non penso possa essere uno strumento sufficiente o esaustivo di un mondo così variegato come quello artistico. Il piacere che ho nell’accarezzare un’opera scultorea o apprezzare la matericità di un dipinto non può essere dato da uno strumento come quello telematico. Devono essere coinvolti tutti i sensi nell’esperienza percettiva per potersi nutrire dalla creatività di un’altra persona. Internet è un ottimo strumento di studio , di approfondimento, di analisi e perché no anche di fruizione delle opere quando sei costretto da una pandemia a casa, ma non potrà mai sostituire il piacere del vivere l’arte nella sua più profonda intimità.

Marcantonio Lunardi
Nato a Lucca, 1968. Vive e lavora a Bagni di Lucca.

Diplomato in regia documentaristica, dal 2001 si è occupato di documentazione sociale e politica lavorando a documentari, videoarte, scultura e grafica digitale. Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni internazionali come il National Art Center di Tokyo, la Galeri Nasional Indonesia di Jakarta, la Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca, il Video Tage Center di Hong Kong, il Museum on the Seam di Gerusalemme, lo Videoart Yearbook del Dipartimento di arti visive dell’Università degli studi di Bologna. Lunardi è stato ospite di vari festival di cinema sperimentale e videoarte come il Festival Internacional de Cine y Video Experimental di Bilbao, l’N Minutes Video Art Festival di Shanghai, il Cairo Video Festival del Cairo, il Festival Invideo di Milano, il Video Art & Experimental Film Festival – Tribeca Cinemas di New York. A questi si aggiungono numerose biennali d’arte contemporanea tra cui la Bienal del Fin del Mundo in Cile e Argentina, la Chongqing International Biennale of Contemporary Art in Cina e la Bienal Internacional de Videoarte y Animación in Messico.

www.marcantonio.eu

#2 LOCKDOWN – FRANCESCA FINI

Francesca Fini, Sconfinamento, 2020, 14’12’’ – courtesy dell’artista

Partendo dalla parola “lockdown”, che caratterizza questo appuntamento, puoi darci una chiave di lettura per comprendere meglio la tua opera?
L’opera è nata precisamente per cercare di dare un senso al lockdown, che ho trascorso nel mio studio di Roma, imponendomi così di reagire alla situazione drammatica attraverso la produzione e il lavoro. In quell’occasione ho trovato on-line un sistema di webcam turistiche, che naturalmente hanno continuato impassibili a spiare le grandi piazze storiche italiane. Insolito e inquietante vedere Piazza San Marco o Piazza di Spagna completamente deserte in pieno giorno, a parte le tristissime e stanche camionette della polizia e i gabbiani, unici veri sovrani delle città. Quindi mi sono messa a osservare questo scenario surreale, in attesa. In attesa che arrivasse qualcuno, perché prima poi, lo sapevo, sarebbe arrivato. E infatti ogni tanto si vede qualche essere umano attraversare in fretta l’inquadratura, come per affermare con il suo passo veloce il carattere emergenziale di questo suo inopportuno trovarsi all’eterno – e idealmente giustificarsi con chi? Con la polizia? Con la gente che probabilmente osservava dai balconi. Poi ho pensato che anche io stavo spiando, e forse quell’uomo dal passo frettoloso, con la testa incassata nelle spalle, tutto piegato in avanti come in un film di Chaplin, cercava di giustificarsi anche con me. In ogni caso ho trovato straordinario questo nuovo muoversi in città, in una sorta di danza apocalittica, e la scena diventata ancora più interessante quando l’avventuriero incrociava altri come lui: un altro uomo o un’altra donna dal passo veloce, con carrozzina, buste della spesa o cane al seguito. Allora si creavano delle vere e proprie triangolazioni coreografiche da mezzogiorno di fuoco, dettate dall’imperativo del distanziamento sociale. Così ho deciso di rendere palese la magia delle cose che osservavo, attraverso un dispositivo di interaction design da me compilato che tracciasse materialmente questi movimenti umani e animali nell’inquadratura, segnandoli graficamente e dando loro un suono. Ho quindi creato questa performance in cui prendevo lo stream di queste webcam dal vivo, lo passavo nel computer per processare la parte visuale e sonora, e poi lo ritrasmettevo in streaming sui social e festival online.

In che modo questa realtà emergenziale da covid-19, con le sue costrizioni di chiusura/isolamento, ha influenzato il tuo lavoro d’artista e in generale in tuo modo di riflettere sulla contemporaneità?
Diciamo che questo lockdown ha accelerato un processo che era già in atto da tempo, quello di una progressiva smaterializzazione del mio corpo performatico in un corpo puramente digitale. Pur consapevole dell’importanza del corpo, mi sono resa conto che in tutti questi anni mi sono avvicinata così tanto al corpo da non vederne più i contorni. Adesso riesco a vedere i pixel, anzi, i voxel, che sono i pixel tridimensionali nelle unità di misura del Metaverso. Se guardi indietro il percorso è segnato, dalla mia prima performance Cry Me (2009), in cui interagivo con un monitor che conteneva il mio avatar digitale, fino a Fair & Lost (2013), in cui la vera performance si svolge alle mie spalle, nel video che ripete i macro del mio volto catturati dal vivo dalla webcam, per finire con Skin/Tones (2017), in cui guido il pubblico a staccarsi dall’immagine del mio corpo nudo in scena, per perdersi nel caleidoscopio ipnotico della mia pelle scanzonata da un microscopio digitale. Mi sono avvicinata e ho scoperto la trama, il voxel. Adesso lascio che sia il media a performare per me, io sono definitivamente uscita di scena. In Sconfinamento, sono i cittadini spaventati che si muovono nella città ferita a trasformarsi in inconsapevoli performer, e le loro traiettorie diventano meravigliosi coreografie irripetibili. Questa è adesso per me la performance art. In questo momento, mentre ascrivo, c’è una mia altra identità digitale, una seconda me virtuale, che forse rivelerò quando sarò pronta, che vive e performa nella blockchain, attraverso una serie di NFT (Non Fungible Tokens).

Francesca Fini, Sconfinamento, 2020 courtesy dell'artista. (1)

Francesca Fini, Sconfinamento, 2020 courtesy dell’artista

Rispetto ai consueti spazi deputati all’arte contemporanea, quanto ritieni utili le possibilità offerte dal web in questo particolare momento storico?
Il web è essenziale. Il problema è che lo sappiamo usare poco e male. Pensando in particolare alla performance, non si può semplicemente pensare di trasferire sul web il lavoro, attraverso lo streaming video di una registrazione documentale. Il web funziona se ripensiamo al lavoro dal punto di vista del web, e cioè sfruttiamo tutti gli strumenti e i dispositivi, i formati e le dinamiche del web (e soprattutto del mobile). Quindi bisogna pensare a opere più frammentarie, che siano scatole cinesi dotate di un certo grado di interattività visuale, testuale, musicale. Dei percorsi frattalici sopiti dalla navigazione anche vorace dell’utente del web. Ti posso segnalare a tal proposito il mio nuovo progetto De-Pink (de-pink.com), una piattaforma che ho realizzato per ospitare le mie performance digitali, per dotarle del massimo grado di interazione possibile per il pubblico.
In questa piattaforma il video in diretta viene integrato all’interno dell’interfaccia grafica di una pagina web dinamica, capace cioè di ridimensionarsi automaticamente in base al dispositivo. All’interno di questo ambiente personalizzato, il video si integra e interagisce con moltissimi altri elementi UIX (User interface e User Experience) utilizzati per arricchire e amplificare l’esperienza dello spettatore. Lo spettatore, durante al diretta, viene invitato a spostarsi da una stanza all’altra, dove trova tutta una serie di strumenti per interagire in diretta con me. Quindi il design dell’interfaccia diventa, nella filosofia di De-Pink, concreta azione artistica e parte integrante della performance partecipativa, in un’operazione in cui confluiscono la funzionalità del design puro e la visionarietà dell’interaction design.

Francesca Fini
Nata nel 1970 a Roma, dove vive.

Lavora con il cinema sperimentale, l’animazione digitale, l’installazione e la performance art. I suoi progetti affrontano spesso questioni legate al rapporto tra spazio pubblico e privato, tra spettacolo e spettatore, tra rappresentazione e interazione, ma riflettono anche sulle influenze della società sulle questioni di genere e sulla distorsione nella percezione della bellezza prodotta dal mercato e dai media mainstream. Le sue opere sono un mix di media tradizionali, tecnologie lo-fi, dispositivi di interaction design, audio e video generativo.
Il suo lavoro è stato presentato al MAXXI e al MACRO di Roma, al Guggenheim di Bilbao, al Georgia Tech e al Japan Media Arts Festival di Tokio. Nel 2016 ha ultimato il film sperimentale Ofelia non annega (con Istituto Luce Cinecittà), inserito da Adriano Aprà tra i migliori film italiani degli ultimi 20 anni. La Treccani la cita alla voce cyber-performance, come una degli artisti più significativi di questo linguaggio in Italia.

www.francescafini.com

#2 LOCKDOWN – VIRGINIA ZANETTI

Virginia Zanetti, Be a poem, 2020, 4’28’’ – courtesy dell’artista

Partendo dalla parola “lockdown”, che caratterizza questo appuntamento, puoi darci una chiave di lettura per conoscere e capire meglio la tua opera?
Questo mio lavoro è l’esito del primo lockdown, durante il quale, sentendo che ogni individuo dovesse agire in modo creativo e incisivo nella società, la mia pratica artistica si è spostata all’interno della vita stessa. Durante le prime settimane d’isolamento la poesia, in tutti i suoi aspetti, è riemersa nel mio lavoro come mezzo per trascendere il tempo e comunicare. Inizialmente riportai i pensieri poetici su un diario, per poi ricamarli su capi di abbigliamento personali o della mia famiglia utilizzando il filo d’oro, richiamando la tecnica giapponese del kintsugi. Il ricamo, infatti, è una tecnica che uso spesso nei miei laboratori e nelle azioni collettive per creare opere corali, in quanto è una tecnica che induce alla meditazione e si presta come mezzo per comunicare.
Con l’allentamento delle restrizioni, ho condiviso questa mia pratica, nell’ambito del programma di “Scuola Popolare” di Villa Romana di Firenze. Qui a Firenze, grazie ai laboratori tenuti nel giardino della Villa, ho chiesto ad altre persone di esprimere un pensiero su questo periodo di isolamento e di ricamarlo su un proprio capo di abbigliamento. Le frasi cucite sono diventate poesie da indossare insieme, in una sorta di rituale collettivo utile a costruire una grammatica condivisa capace di superare confini e ogni forma di isolamento.

In che modo questa realtà emergenziale da covid-19, con le sue costrizioni di chiusura/isolamento, ha influenzato il tuo lavoro d’artista e in generale in tuo modo di riflettere sulla contemporaneità?
Gran parte del mio lavoro nasce e si sviluppa in luoghi non convenzionali dell’arte, come in spazi pubblici o in ambienti naturali che in parte continuo a vivere. Nonostante ciò, la solitudine, la mancanza di possibilità di stare insieme, di toccarsi e lavorare collettivamente pone dei grandi limiti a quella parte del mio lavoro che ha bisogno del corpo e degli altri.
Sul piano della ricerca, la percezione di una sofferenza e di una crisi in atto, che genera incertezza e paura collettiva mi hanno fatto diventare più introspettiva: siamo ancora in piena crisi sanitaria, quindi sono insieme agli altri nel pieno dell’evento traumatico e non riesco ad avere una giusta prospettiva rispetto ai cambiamenti in atto in me. Sicuramente sento sempre più il legame con la Natura e la necessità di vedere l’essere umano più umile al suo cospetto. Nelle mie camminate solitarie, che ormai faccio quasi quotidianamente, comprendo che siamo noi l’ambiente, pertanto, credo che l’umanità dovrebbe imparare a sviluppare la capacità di ascoltarla e dialogare con lei piuttosto che agitarsi per accumulare potere e guadagni, perdendo il senso essenziale della vita stessa. La crisi ambientale mostra in modo evidente la crisi dei principi che sono alla base della società umana. La scienza ha verificato che l’epidemia che stiamo attraversando si diffonde in maniera proporzionale all’inquinamento e che ha tra le sue cause la distruzione della biodiversità. Ogni cosa, ogni entità, esiste all’interno di una relazione con tutti gli altri fenomeni dell’universo.

Virginia Zanetti, Be a poem, 2020 courtesy dell'artista.

Virginia Zanetti, Be a poem, 2020 – courtesy dell’artista.

Per quanto riguardala mia attività artistica, come molti altri settori, l’impossibilità di pianificare il lavoro a lungo termine pone limiti e necessita continue revisioni, aggiustamenti, modifiche e slittamenti. Questo modo di lavorare è molto faticoso, frustrante e poco ecologico. Mi riferisco in modo particolare alle mostre programmate nei musei, per esempio siamo già alla terza-quarta riprogrammazione e riprogettazione della mia mostra personale Be a poem, a cura di Matteo Innocenti. La mostra si terrà nelle sale del secondo piano di Palazzo D’Accursio per ART CITY Bologna 2021. Spero davvero che riusciremo ad aprire a maggio, insieme a tutti gli altri musei e luoghi della cultura che sono stati particolarmente penalizzati dalla gestione politica della pandemia. Difatti, la politica è ancora indietro rispetto alla consapevolezza che occorre trasformare una società del consumo materialistico a una società consapevole, che si basa su principi di evoluzione e rispetto della persona.

Rispetto ai consueti spazi deputati all’arte contemporanea, quanto ritieni utili le possibilità offerte dal web in questo particolare momento storico?
Nonostante a tutti manchi tantissimo la relazione fisica con gli altri, la prima cosa su cui sono stata d’accordo fin dall’inizio della pandemia è quella di mettere al primo posto la vita delle persone e quindi cercare di adottare quanto più possibile misure per prevenire il contagio. Ed è proprio in questo contesto di quarantena, che l’utilizzo del web rappresenta una grande risorsa per tutti.
Anche il mio lavoro ne ha risentito, per esempio la performance collettiva che avevo in programma per Manifesta 13 a Marsiglia è diventata l’opera video Be a poem. Infatti, nel periodo in cui doveva partire il progetto ARKAD per Les Parallèles Du Sud, a Marsiglia crescevano i numeri dei contagi, così con Lori Adragna e Andrea Kantos di Dimora OZ, che curavano il programma delle performance per KAD, abbiamo deciso che sarebbe stato più saggio e sensato che lavorassi sul e dal mio territorio inserendo il lavoro video in una piattaforma online. Detto questo resta fondamentale la fisicità della vita e dell’arte, infatti è stato fondamentale fare il laboratorio e la performance presenza a Firenze.
Il web mostra le nostre possibilità di interconnessione al di là del corpo ed in generale è una grande risorsa ma come tutta la tecnologia dipende da come la si usa, se in modo consumistico ed autoreferenziale o per l’empowerment delle persone e della società. La presenza e l’esperienza fisica restano aspetti essenziali della nostra vita, quindi anche dell’esperienza dell’arte.


Virginia Zanetti
Nata a Fiesole nel 1981, vive a Prato.

Si è laureata in pittura all’Accademia di belle arti di Firenze, consegue un diploma specialistico, un master in didattica dell’arte ed un’abilitazione per l’insegnamento. Lavora sulle relazioni, i ruoli ed i principi che governano i fenomeni, cercando un punto di tangenza tra le culture occidentale ed orientale. Espone e collabora per conferenze, workshop, residenze o opere permanenti con diverse istituzioni italiane e straniere per l’arte contemporanea, tra le quali: il CCC Strozzina di Firenze, il CAC Pecci di Prato, il Mac di Lissone in Italia, la Kunsthalle di Berna, l’Istituto di cultura italiano di New Delhi e di Zurigo. Ha vinto premi come il Premio Movin Up 2015 e il Concorso per la realizzazione di opere d’arte permanenti per Palazzo di Giustizia di Firenze nel 2017, il Primo Premio Maccaferri per la fotografia, Artefiera 2019, Smartup Optima 2019,, Level 0, ArtVerona 2020. Il suo lavoro è presente in pubblicazioni come A Cielo Aperto e Breve storia della curatela di Obrist.

www.virginia-zanetti.com

 

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Giovanni Viceconte

Giovanni Viceconte

Giovanni Viceconte (Cosenza, 1974), è giornalista e curatore d’arte contemporanea. Si laurea presso l’Accademia di Belle Arti, nel 2004 consegue il Master in Organizzazione Eventi Culturali e nel 2005 il Master in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive presso l’Accademia…

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