Un pittore, un fotografo, uno scrittore. L’appartenza a uno stesso territorio: Reggio Emilia e la sua luce, il paesaggo, l’orizzonte, la temperatura. Da qui, l’arte della visione, tra l’origine e la fine: sintonizzarsi sulle linee invisibili dell’esistenza, tessendo trame di immagini o di parole. Giorgio Morandi, Luigi Ghirri, Giorgio Messori: destini di corrispondenze spirituali, di narrazioni fertili, di distanze infinitesimali e di prossimità segrete. Una storia di triangolazioni sentimentali e di devozioni estetiche.
Messori fu amico di Ghirri, con cui collaborò per la pubblicazione dei due celebri volumi dedicati all’incontro luminoso, potentissimo con Morandi: Atelier Morandi, del 1992, un’ispirata ricerca fotografica nell’atelier di Via Fondazza, a Bologna, e in quello della residenza estiva di Grizzana; e poi Il senso delle cose (2005), quattrocenti scatti in cui si manifesta, come un’epifania antica, tutto l’amore folgorante dei due artisti per gli oggetti semplici, sfaldati nella luce mistica e insieme reale del mondo, quasi a farsi forme possibili dell’assoluto.
Nei giorni in cui il MAMbo di Bologna ha inaugurato il piccolo, prezioso intervento/tributo di Rachel Whiteread presso il Museo Morandi, Study for Room, ritroviamo questa bella testimonianza video: una passeggiata di Messori e Ghirri tra le opere della collezione Morandi, e poi l’estratto di un’intervista in cui lo scrittore evidenzia alcuni passaggi chiave della liaison poetica tra i due artisti: “Quello che è l’essenza della fotografia – lo scrivere con la luce – Morandi lo faceva in modo esemplare nella sua pittura. Ed è anche un po’ quello che ha fatto Luigi nelle sue ultime fotografie: faceva delle fotografie intorno a casa sua, spesso cercava queste nebbie, queste luci per rendere più evanescenti, quasi impalmpabili le apparizioni delle cose“.
Helga Marsala