Andrea Fraser. Critica istituzionale in Austria

Museum der Moderne, Salisburgo – fino al 5 luglio 2015. Una grande retrospettiva di metà carriera dedicata all’artista statunitense Andrea Fraser. È la prima in Austria di questa portata. Chi è Andrea Fraser? Ve la ricordate l’opera-performance che consisteva nel fare sesso con un collezionista…

ANDREA FRASER E L’AUSTRIA
Nel contesto delle sue esposizioni internazionali, Andrea Fraser (Billings, Montana, 1965) aveva inaugurato una collaborazione austriaca già nel 1993 quando collaborò al progetto del padiglione austriaco alla 45. Biennale di Venezia; nel 1994-95 aveva partecipato alla Generali Foundation in Vienna con Project in two phases; ora, in coincidenza con lo spostamento delle collezioni della Generali Foundation dalla capitale a Salisburgo, e da un contesto privato a uno pubblico, rinnova i suoi rapporti con l’Austria.

CRITICA ISTITUZIONALE E FEMMINISMO
Si tratta di una mostra onnicomprensiva, capace di accogliere le diverse declinazioni del lavoro dell’americana, sempre impegnata in un discorso di critica delle istituzioni e del sistema. La sua “messa in atto” deriva dalle riflessioni interdisciplinari che comprendono il confronto tra Brecht, la Scuola di Francoforte, la teoria dell’habitus di Pierre Bordieu; d’ispirazione per l’artista sono i lavori di critica istituzionale di Daniel Buren e Hans Haacke, a cui si aggiunge il contributo del femminismo artistico americano di Yvonne Rainer, Mary Kelly e Laura Mulvey, fino all’“indexical present” di Adrian Piper.
A un mese dall’apertura della 56. Biennale di Venezia, e riflettendo sulla decisione della giuria di assegnare il Leone d’Oro proprio ad Adrian Piper, uno sguardo al lavoro di Andrea Fraser è particolarmente interessante.

Andrea Fraser, Men on the Line. Men Committed to Feminism. KPFK, 1972, 2012-14 - still da video - photo Rainer Iglar

Andrea Fraser, Men on the Line. Men Committed to Feminism. KPFK, 1972, 2012-14 – still da video – photo Rainer Iglar

L’ARTE E I SUOI SISTEMI
La mostra inizia con una serie di opere legate alla questione dell’immagine e della sua appropriazione, Woman 1/Madonna and Child (1984), Four Posters (1984) e Damaged Goods Gallery Talk Starts Here (1986), opere che riflettono sull’uso delle immagini, delle icone d’arte vendute per esempio negli shop dei musei: i visitatori possono comprare le immagini che non possono avere. Un’altra sezione è legata alle iniziative di talking e performance realizzate nel gruppo V-Girls, dove con humour si affrontano e si ridicolizzano le tendenze integraliste del femminismo americano.
Segue un focus su “progetti e iniziative”, azioni provocatorie che ammiccano all’arte come si mostra nel sistema. Un’intera sezione è dedicata a May I Help You, nelle versioni del 1991, 2005 e 2011, e la stessa sarà riproposta nella performance che l’artista farà il 14 giugno al museo. Numerosi i video e le installazioni, tra cui Stellvertreter Representatives Rappresentanti, audioinstallazione che ironizza sul sistema-Biennale, sulla sua internazionalità e funzionalità; similmente la videoperformance Reporting from São Paulo, I’m from the United States (1998).
Non manca la riflessione sul sistema di comunicazione e presentazione museale come Cologne presentation Book (1990), opera con cui inizia a presentare il suo lavoro nelle mostra, esordendo non con la propria biografia ma con la storia dei rapporti tra Usa e Germania a partire dal dopoguerra.

Andrea Fraser, A Visit to the Sistine Chapel, 2005 - still da video - Courtesy the artist

Andrea Fraser, A Visit to the Sistine Chapel, 2005 – still da video – Courtesy the artist

E COL COLLEZIONISTA CI FACCIO SESSO
Il sistema museale e l’“economia fondata sull’esperienza” sono esplorati in opere come gli audio tour in Recorded Tour (1993), Little Frank and His Carp (2001) e A Visit to the Sistine Chapel (2005), o nelle opere dove Andrea Fraser usa le guide interattive e multimediali, come Hello! Welcome to Tate Modern (2007), in cui si fondono la performance e un tentativo di inclusione del pubblico all’interno di strategie museali attraverso l’uso di meccanismi psicoanalitici e sociologici, gli stessi che usa anche nei suoi video più recenti.
La critica al collezionismo è estrema e mostrata in Untitled, videoperformance in cui fa sesso con un compratore in una stanza d’hotel. Il testo L’1% C’est Moi (2011), disponibile sul sito del Whitney Museum, dimostra la sua infallibile intelligenza nel dimostrare con humor le possibilità di fare pratica nel campo della critica, ma soprattutto di sondare con domande e con la capacità di svelare nuovamente l’ipocrisia del sistema.

LO STATEMENT
I hope I can make people feel involved, but it’s not about interactivity. I give somenthing to people, but I don’t expect communication. I hope I can make people think, but I don’t want to be didactic- I don’t want to make political art, I don’t want to intimidate or exclude people. I want to implicate people in my work- I mean, in the world. That’s my political statement. What’s most important is not what people see in my work, but what they see when they confront reality again. I work in reality. So, why am I an artist? I guess it’s because I take a critical position toward the world. It’s not about hope. It’s about showing my disgust with the dominant discourse”.

Sonia d’Alto

Salisburgo // fino al 5 luglio 2015
Andrea Fraser
a cura di Sabine Breitwieser e Tina Teufel
MUSEUM DER MODERNE MÖNCHSBERG
Mönchsberg 32
+43 (0)662 842220401
www.museumdermoderne.at

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Sonia D'Alto

Sonia D'Alto

Sonia D'Alto è ricercatrice, scrittrice e curatrice. Attualmente è dottoranda in documenta studies, Kassel. È parte del comitato scientifico della Fondazione Adolfo Pini di Milano, dove, all’interno di “Casa dei Saperi” ha curato il programma biennale Nuove Utopie. Ha organizzato…

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