Bolzano barricadera. C’è Teresa Margolles

Acqua per lavare cadaveri, grasso di persone assassinate, sudore di gente senza futuro, sguardi di chi ha una aspettativa di vita assai breve, muri crivellati da pallottole. Un pugno nello stomaco, assestato dal Messico a una ordinata Bolzano. Grazie a Teresa Margolles, fino al 28 agosto.

Sono tre le città chiamate in causa da Teresa Margolles (Culiacán, 1963; vive a Città del Messico) in Frontera: c’è Kassel, dove la mostra omonima ha esordito al Fridericianum, poi Bolzano, dove è approdata per la sua seconda tappa, e infine Ciudad Juárez, che è il vero luogo (si badi bene, non è affatto un non-luogo) di svolgimento della rassegna.
E poi c’è El Paso, il Texas, lì a due passi, appena oltre quel rigagnolo. Ma è sufficiente dare una occhiata al confine su Google Maps, ai tetti che ci permette di osservare – lamiere arrugginite da un lato, tegole rosse dall’altro -, per comprendere quale sia la differenza abissale fra i due lati della frontiera. E se non bastasse la povertà, c’è la terribile ragione per cui Juárez è nota: il numero impressionante di donne che spariscono nel nulla, mentre i pochi corpi ritrovati sono quelli di esseri stuprati, torturati. Per non parlare delle migliaia – migliaia! – di persone uccise ogni anno.
Teresa Margolles – protagonista di un memorabile Padiglione Messico alla Biennale del 2009 – riesce a riportare in Europa l’eco di quella porzione di Terra devastata. E lo fa senza pietismo; al contrario, la sua è una mostra che si potrebbe definire violenta. È la trasfigurazione simbolica di un dissidio, di un disagio, senza annacquamenti, senza compromessi. Un approccio che ricorda quello di Santiago Sierra, ma senza quel pizzico di ironia che in quest’ultimo può talora affiorare. Meno accattivante, ma non per questo incline al realismo documentarista.

Museion Frontera OSeehauser 5 Bolzano barricadera. C’è Teresa Margolles

Teresa Margolles - Plancha - 2010 - veduta dell’allestimento presso Museion, Bolzano 2011 - courtesy l’artista - photo Othmar Seehauser

Sono opere semplici, dirette, quelle della Margolles. Sono muri crivellati da pallottole, smontati e rimontati mattone su mattone dal Messico alla Germania e all’Italia. Sono video in cui la frontiera è costituita dall’occhio della telecamera, fra chi riprende e chi è ripreso, e quest’ultimo è un bambino che non ha presumibilmente futuro.
Ma la componente simbolica è quella che, in maniera forse contro-intuitiva, giunge più direttamente al cervello del visitatore. Componente esaltata in altre opere, come quel pesantissimo e piccolo Cubo, una tonnellata di lamiere fuse, quel che resta dell’unico quartiere vivo della città, trasformato ora in un centro commerciale. O in quegli aloni sulle vetrate del terzo piano di Museion: che non sono il risultato di una approssimativa manutenzione del museo, ma quel che resta del sudore con cui alcuni abitanti di Ciudad Juárez hanno intriso le t-shirt distribuite dall’artista.
La conclusione non può che essere diretta, senza filtri, im-mediata: Ya basta hijos de puta. Il problema è capire a chi rivolgere l’urlo, la rabbia.

Marco Enrico Giacomelli

Bolzano // fino al 28 agosto 2011
Teresa Margolles – Frontera
a cura di Rein Wolfs e Letizia Ragaglia
Catalogo Walther König
www.museion.it

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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