Il monopolio del contenuto. Una riflessione sulle piattaforme online e i social network

Il concetto di monopolio naturale, dall’economia industriale oggi rischia di dilagare anche in ambito culturale, dal momento che l’esplodere di contenuti online, come osservato anche dal Papa, rischia di trasformare le persone in utenti, azzerando la diversità culturale

In economia industriale esiste il concetto di monopolio naturale che si riferisce alle condizioni che rendono necessaria la presenza di un unico operatore per sviluppare una determinata attività. Gli esempi classici sono quelli delle risorse naturali e, soprattutto, delle infrastrutture, come ferrovie o rete autostradale. Casi che sollevano una questione su cui può essere interessante fare un ragionamento, forse più allegorico che scientifico, ma non per questo meno evocativo.

La rete ferroviaria un caso di monopolio naturale

Per quanto riguarda la rete ferroviaria, secondo il concetto di monopolio naturale, è corretto e normale fare in modo che esista soltanto una rete di binari che collega il punto A e il punto B. Sarebbe del resto poco utile avere due o tre linee di binari che collegano Roma e Napoli. Ora, attesa questa condizione, è altrettanto noto il potere della rete ferroviaria per lo sviluppo di un territorio, che può incrementare oltre agli scambi commerciali, il turismo, lo sviluppo del mercato immobiliare, ecc.

Il concetto di monopolio naturale applicato alle piattaforme streaming

Nel caso delle piattaforme, per quanto sia vero che Netflix non è un monopolio naturale in senso stretto, è chiaro che i contenuti che promuove saranno più seguiti. Un link nella home-page è in questo senso paragonabile ad un collegamento ferroviario veloce. 
Tenendo a mente questo parallelismo, le parole del Papa acquistano un valore concreto: “Una cultura senza verità diventa strumento dei potenti: anziché liberare le coscienze, le confonde, le distrae secondo gli interessi del mercato, della moda o del successo mondano”. Come si evince da queste parole, è chiaro che il Papa è portatore di un determinato tipo di visione del mondo. Tuttavia, al netto di ogni influenza religiosa e vaticana, questa considerazione riflette una dimensione importantissima della nostra società.
Netflix è solo un esempio. Come Netflix c’è Prime, Spotify, i contenuti di Instagram, le notizie che l’intelligenza artificiale analizza per dare le risposte agli utenti o per fare i riassuntini su Google.

Una riflessione sulla proporzione tra produzione e fruizione nel settore culturale

Si pensi che il settore delle industrie culturali e creative, soltanto in Italia nel 2023 ha registrato un enorme volume d’affari. Si pensi, ora, a quanti prodotti, servizi e attività vengono di fatto elaborati all’interno di questo comparto a fronte della ridotta di prodotti e servizi che concretamente raggiunge una soglia minima di attenzione da parte degli utenti.

Paladine podcast su Spotify
Paladine podcast su Spotify

L’esempio pratico della musica su Spotify

Tanto per dare un’idea: nel 2023 sono state pubblicate circa 120.000 canzoni al giorno sulle piattaforme di streaming. Per un totale di 360.000 minuti di ascolto, immaginando una durata media di 3 minuti a brano. Il che significa, conticini alla mano, che ogni giorno sono stati pubblicate circa 6.000 ore di musica. Ovvero, ogni giorno sono stati caricati circa 250 giorni di materiale audio. Sulla sola piattaforma Spotify sono presenti 82 milioni di brani, di cui la maggior parte non genera ascolti da parte degli utenti, parallelamente è ancora minore la quota di autori che riceve una ancor meno autori che ottiene una remunerazione congrua dagli ascolti Spotify. La grandezza di tali cifre può indurre a creare che si tratti di un fenomeno troppo radicato per essere modificato, ma non è del tutto vero.

Valorizzare l’eterogeneità per contrastare il monopolio culturale

Di certo non si potrà mai assistere ad una condizione in cui chiunque carichi i propri brani su Spotify raggiunga automaticamente milioni di ascolti al giorno. Condizione neanche realmente desiderabile. Mentre, sarebbe auspicabile che in ambito culturale e creativo sia valorizzata una sostanziale eterogeneità dei gusti e delle sensibilità. Attualmente, la configurazione del mercato prevede sostanzialmente una conformazione basata sul concetto delle super-star: pochi prodotti detengono un successo assoluto a livello globale, lasciando il resto alle nicchie di mercato e generi minoritari.
Configurazione che, attraverso le piattaforme, tende ad alimentarsi e ad acuirsi sempre più, riducendo in modo vertiginoso la possibilità di fruire prodotti culturali inusuali rispetto alla propria cronologia.

Promuovere le novità senza imposizioni 

Funzionamento che, è importante ricordarlo, non è da considerarsi aprioristicamente sbagliato. Se a una persona interessa un determinato argomento, sarà ben felice di ricevere nella propria home-page dei suggerimenti coerenti. Perché è questo il lavoro che deve svolgere quel servizio. Filtrare l’enorme mole di dati presenti online per trasformarla in un’offerta appetibile. Ciò che andrebbe modificato non è quindi il funzionamento delle attuali piattaforme, ma la propensione alla ricerca da parte degli utenti.

Educare il pubblico alla gestione della “quantità”

La chiave sarebbe, dunque, di educare le persone a gestire l’enorme quantità di proposte. Troppe canzoni. Troppi video. Troppi film. Troppe serie tv. Troppi libri. Ritornando alle parole del Papa, premesso che ci saranno sempre dei brani di maggior successo, anche per ragioni non del tutto evidenti, ciò che sarebbe davvero importante è sviluppare un senso critico più acuto negli utenti, anche incentivando altre forme di promozione e creando delle alternative nella distribuzione.

Capacità critica per mantenere libero il pensiero e arginare il monopolio culturale

La libertà di pensiero è da rintracciare nella capacità di maturare uno spirito critico. E lo spirito critico cresce anche attraverso il confronto. Riducendo i confronti ad una manciata di serie all’anno o di canzoni al mese, non si ha una reale diversificazione dei gusti e dei consumi culturali. Si ha una tendenziale omogeneità, che non favorisce in alcun modo la crescita degli individui, né la capacità di definire degli elementi identitari basati su specificità di consumo.
Se non teniamo presenti queste basi, dimentichiamo il valore identitario della cultura e riduciamo al minimo la distanza che sussiste tra cultura ed entertainment.
D’altro canto, però, dobbiamo anche considerare che tale condizione può esser certo stimolata, ma non imposta. E con questo prendere atto che, per quanto gli esseri umani non abbiano mai avuto accesso a così tanta conoscenza nell’arco della storia, per anni il contenuto più cercato su YouTube sono stati i gattini. E che, in qualche modo, anche quella è una forma di libera scelta.

Stefano Monti 

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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