Dimenticare a memoria. Dal gesto artistico all’Intelligenza Artificiale

Gli enigmatici risultati ottenuti applicando l’Intelligenza Artificiale alla lettura di dati di Risonanze Magnetiche Funzionali possono aprire strade di riflessione su come l’artista e il progettista giungono all’opera. I dettagli nel saggio di Davide Vizzini.

Ho visto di recente le immagini di uno studio del Kamitani Lab della Kyoto University generate analizzando i dati di Risonanze Magnetiche Funzionali effettuate su persone intente a osservare delle immagini: un gufo, un’iguana, un’anatra, un cigno, il ritratto di una donna. L’obiettivo dello studio era quello di ricostruire le immagini mostrate ai soggetti leggendone la mente. Il software ideato dagli scienziati confronta i dati da interpretare con quelli registrati durante l’osservazione di innumerevoli immagini chiave e, utilizzando algoritmi di deep learning, tenta di ricostruire le immagini osservate dai soggetti.
I risultati sono affascinanti, hanno la vaghezza di un pensiero embrionale e nell’osservarli gli riconosciamo la familiarità dei pattern dei nostri processi mentali. Sembrano possedere l’indeterminatezza di un Monet o di un ritratto di Francis Bacon o di Lucian Freud.  Mi sono domandato il perché di questa analogia.

ARTISTI E RICORDI

L’Intelligenza Artificiale, nella sua rudimentale ricostruzione del pensiero osservato, sembra fermarsi un momento prima della sua rappresentazione esatta. Questo avviene perché l’algoritmo non è stato ancora abbastanza perfezionato, probabilmente lo sarà presto, ma l’istantanea che ne risulta e ci viene offerta è uno spaccato prezioso sul modo in cui gli esseri umani raffigurano le immagini mentali, rimestando in una nebbia frammentata di ricordi, visioni ed esperienze.
Gli artisti sono, fra gli uomini, coloro i quali sono più attivamente consapevoli di questi processi; sono in grado di osservare e rappresentare i propri pensieri sul bordo del loro sorgere, di riflettere in essi il modello osservato e di proiettarlo verso gli altri. Questo processo comporta errori e scostamenti, volontari o no. Io credo che proprio in essi sia il fondamento dell’opera. La vibrazione dell’arte è forse proprio annidata e annodata nell’errore di trasposizione della realtà e l’opera risiede nello scostamento della rappresentazione esatta dopo la digestione della memoria.

Davide Vizzini & Massimiliano Lowe, Palette 7

Davide Vizzini & Massimiliano Lowe, Palette 7

TRASPOSIZIONE A MEMORIA

La trasposizione, in armonia musicale ma anche in elettronica, è il processo di spostamento di una sequenza di note sulla scala o di segnali da una frequenza a un’altra mantenendo rapporti e proporzioni fra gli elementi. L’artista e il progettista compiono, nel processo di creazione, questa operazione camminando su una stratificazione mnemonica di rimandi emotivi, ambientali, artistici e, nel fare ciò, si muovono con squilibri e gradi differenti di intenzione. Ciò che chiamiamo arte non è il risultato del processo ma è precisamente la distanza fra la trasposizione e il modello, perché in essa è impresso il calco della struttura di pensiero dell’umano artista. I movimenti dell’artista che compie la trasposizione sono in essenza immersi nelle percezioni e tutt’uno con i ricordi; questa mistura di pensiero e sensi è una nebbia percettiva le cui goccioline bagnano i gesti necessari per la produzione dell’opera. I ghirigori di quella nebbia si diluiscono nell’opera, suscitando in chi la osserva uno stupor sospeso nel sentirsi strattonati dentro il vapore dei sensi altrui. L’opera è nello scostamento dal modello ricordato a memoria.

RICORDARE A MEMORIA LA CITTÀ

Nel tentativo di ricostruire quello che (forse in modo non voluto dagli scienziati del Kamitani Lab) l’Intelligenza Artificiale che legge la mente ci mostra, un’immagine nell’attimo prima di diventare tale, ho provato, con il mio amico Massimiliano Lowe, a campionare l’impressione di una città. Milano, come ogni luogo, ha un’impronta fatta di colori dominanti, umido e asciutto, liscio o scivoloso che, presi insieme, ne costituiscono l’impronta percettiva. Cosa recepiamo quando passeggiamo per le strade di una città? Alcuni elementi si definiscono al di qua della linea della coscienza, altri poggiano per tensione superficiale sul filo dei sensi, altri ancora, la maggior parte, si addensano e diluiscono nella nebbia; quella che imperla l’errore di trasposizione mnemonica. Ci siamo soffermati sul sapore di questa mistura percettiva raccogliendo i campioni delle occhiate, discretizzando in grossi pixel gli algoritmi delle nostre passeggiate, abbassando la risoluzione dei panorami per estrarre la palette di colori dell’impressione di un momento. Proviamo a spiegare con metodo a-metodico (Luigina Mortari, Un metodo a-metodico. La pratica della ricerca in Maria Zambrano, Liguori Editore, 2006) l’intuizione di ciò che avviene nel sentire la nebbia percettiva trasposta a memoria nell’opera con movimenti di pensiero materiale. Il progettista che progetta o il poeta che fa compiono l’operazione del vedere e poi del rivedersi nella nebbia, del guardare e riguardarsi, zuppi di pensiero, del pensare e ripensarsi quante volte si vuole, del fermare in un punto il procedimento per porgerlo con un salto a chi fruisce l’opera. Ciò che è avvenuto è un moto di spostamento, un balzo di discontinuità nell’intimità della nebbia dell’esperienza. Forse è questo il brivido che si cerca nell’andare a osservare un’opera d’arte che affolla i musei e le mostre.

ERRORE O VARIAZIONE

Ho ripetutamente usato il termine errore con diverse accezioni; di variazione più o meno volontaria nella trasposizione della nebbia percettiva e dell’esperienza e di errore vero e proprio, pienamente involontario, nell’ascoltare e riprodurre il modello di partenza.
In verità, nella sincerità dell’opera, questa differenza non è importante. L’artista affina la propria capacità di calpestare le necessità del modello, di tirare dritto e procedere sulla traccia dei propri ricordi, e così gli scostamenti volontari dal pensiero percettivo saranno della stessa natura degli errori: il calco dell’albero rovesciato del sistema nervoso, comprensivo di cerebro, in idrocoltura nel mondo.
Un genere in cui l’intento dello scostamento dal modello è dichiarato è quello della variazione musicale. Ascolto le quattro stagioni di Antonio Vivaldi ricomposte da Max Richter, le Suites per Violoncello di J.S. Bach ricomposte da Peter Gregson o le esecuzioni al pianoforte di Héléne Grimaud. Anche queste composizioni sono trasposizioni che riportano la traccia della memoria degli autori confermandosi motori che imprimono uno spostamento stupito dal sé, dove l’errore dell’artista, nell’accezione fin qui usata, è un atto di lealtà.
Per spiegare il risiedere dell’arte nella trasposizione sbagliata del modello a memoria (parole rudi!), mi servo dell’esempio della variazione musicale perché in essa il modello di partenza è dichiarato, l’apporto del compositore è manifesto e apparentemente misurabile. In ogni creazione artistica e progetto il punto di partenza è la nebbia della percezione, gli esiti dell’opera sono nell’errore di trasposizione.

Photo Ken Heyman. Disegno Saul Steinberg

Photo Ken Heyman. Disegno Saul Steinberg

RAPPRESENTAZIONE ESATTA

Ammesso che possa esistere, è una rappresentazione che non si muove e non muove, che non richiede e non induce moti dell’animo. Le misurazioni del metodo scientifico possono afferire a questa categoria di rappresentazione. Nella presa di coscienza delle difficoltà poste dalle misurazioni errate, troppo cariche di forza motrice, si è convenuto di tenere fede alle rappresentazioni e trasposizioni immobili o poco mobili della scienza ma almeno, vagamente, ripetibili.
La memoria è dunque il luogo in cui il processo artistico deve avere luogo e insieme lo strumento con cui viene messo in atto. Ridisegnare a memoria è il modo per l’artista e per il progettista di ripensarsi in esso. Il ridisegno di trasposizione viene affrontato dal progettista e dall’artista osservando con cura il ricordo, svolgendone ogni foglia. L’affinamento delle capacità del progettista e dell’artista consisterà nell’imparare a rallentare il fascio degli elementi ricordati per studiarne il maggior numero possibile osservando inoltre come, nel guardarli, li si modifica sotto i propri occhi. Proprio come afferma la meccanica quantistica.
Il progetto e l’opera saranno una testimonianza giurata: “Esperimento effettuato d’innanzi a voi tutti esistenti; io ho guardato ed alterato per sempre questo oggetto osservato”.
Queste sono le ragioni per cui assistere alla sequenza di passi di un algoritmo di Intelligenza Artificiale, intento a cercare fra i propri ricordi per dare un senso univoco alla visione, ci offre uno spaccato grezzo del nostro modo di ricordare, i suoi tremuli esiti del nostro modo di fare opere d’arte.

LE OPERE DI TRISHA BAGA

Per mostrare, uno fra i tanti possibili, un errore di rappresentazione nella nebbia della percezione porto ad esempio le opere dell’artista filippino-americana Trisha Baga. In esse, oggetti d’uso quotidiano, una stampante, un proiettore per diapositive, vengono riprodotti nella ceramica e cristallizzati in un’esposizione museale. La loro rappresentazione è tremula come quella del deep learning software descritto sopra. La riproduzione della realtà da parte dell’artista si è fermata un passo prima di quella esatta ma, forse, questa è la rappresentazione, la più leale possibile. Non importa.

PUNTO DI PARTENZA E PROCESSO

Ogni testo è un pensiero disvolto nel tempo, questo articolo non fa eccezione. Per questa ragione, avendo scelto di non scrivere un testo poetico, non mi sono potuto sottrarre dal parlare di processo lineare fatto di punto di partenza, elaborazione, esito. Le cose non stanno così, il movimento di pensiero dell’artista sulle cose non è affatto lineare e nemmeno disvolto nel tempo. Si muove in avanti e all’indietro, dalle cose e dai pensieri e viceversa, anzi, non è affatto nel tempo, non si srotola come un tappeto; sta. Da qualche parte, in qualche temporalità, tutto insieme in ogni momento. L’artista ne raccatta e pesca frammenti da spatolare sul quaderno degli schizzi per, alla fine, dare loro una qualche forma e uncinarli nel tempo. Non è mai possibile parlare di processo e di consequenzialità.

PRESUPPOSTI: FENOMENOLOGIA

Avrei forse dovuto fare una premessa ma era troppa la voglia di buttarmi nel tema. Avrei dovuto dire cosa intendo quando parlo di percezione e di pensiero: li considero quasi sinonimi. “Percepire dipende dalla potenza di pensare”, scrive Merleau-Ponty. Le percezioni sono pensieri materiali e i pensieri sono percezioni pensate. Quando l’artista percepisce il modello, lo pensa, quando opera la trasposizione materiale nell’opera continua a pensarlo.
È in questo continuo che gli errori, gli spostamenti e le trasposizioni a memoria sono sussulti della stessa materia, non c’è traduzione né idealizzazione: c’è solo il percepire, c’è solo il pensare. Ecco un esempio, dopo il segno dei due punti dell’ultima frase, le ultime due proposizioni avrebbero dovuto coesistere nella medesima sequenza di caratteri. Ma non si può, la parola si svolge nel tempo.

ARTISTA O PROGETTISTA

Concludo con un ultimo chiarimento, ho spesso usato il termine “artista” affiancato a “progettista”, riferendomi in particolare al progettista architetto. La disputa se l’architettura sia o meno un’arte è annosa, ancor di più lo è quella riguardo allo status di artista dell’architetto. Non sono minimamente interessato a dirimere questa diatriba qui. Ma chiarisco che, anche nell’architettura, il processo di produzione dell’opera risiede nello scostamento dal modello di riferimento. Per l’architetto, acquisire una coscienza del come questo scostamento avvenga nell’alveo dei pensieri materiali significa prendere in mano il proprio strumento di lavoro.

Davide Vizzini

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Davide Vizzini

Davide Vizzini

Davide Vizzini si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano, ha fondato DVDV Studio Architetti nel 2010. È assistente del corso Architectural Design Studio del Politecnico di Milano; speaker a seminari e festival d’architettura (Architects Meet in Selinunte, Pecha…

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