Il social network invisibile che studia le comunicazioni tra dispositivi tecnologici

Si chiama Invisible Network il dispositivo mobile realizzato dall’artista Evan Kelly per quantificare e visualizzare i dati che smartphone, tablet e PC si scambiano tra loro senza che ce ne accorgiamo.

Tutti i nostri dispositivi dialogano costantemente tra loro. È una comunicazione senza sosta, invisibile. Il controllo dell’utente viene meno: le macchine sembrano rivendicare la propria autonomia d’azione. Il Wi-Fi è la porta d’accesso all’intangibile, è una possibilità. Ogni giorno veniamo a contatto con migliaia di reti senza neanche rendercene conto. Negozi, bar, ristoranti, musei, biblioteche tracciano il silenzioso passaggio della nostra quotidianità. Spesso incrociamo lo sguardo con un’altra persona. A volte ci ritroviamo seduti l’uno accanto all’altro. Gli occhi tradiscono interesse, curiosità, attrazione, fastidio. Sarà per indole, per abitudine, ma il desiderio si arresta, non va oltre le poche, scarne battute. Gli smartphone, invece, così come i PC o i tablet, stanno già parlando da diversi minuti, con inimmaginabile disinvoltura.

COME FUNZIONA INVISIBLE NETWORK

Invisible Network è il dispositivo mobile ideato da Evan Kelly per concretizzare la comunicazione tra macchine. È un intermediario: ci aiuta a percepire la quantità di dati e di informazioni che questi apparecchi si scambiano, senza il bisogno del nostro intervento. L’intento dell’opera è di rendere più consapevole l’utente. Queste interazioni, infatti, ci riguardano, ne siamo indirettamente coinvolti. È un modo per comprendere un ecosistema digitale, per affrontare la convivenza tra uomo e macchina nell’era dei social network, delle videochat, dell’e-commerce e dell’apprendimento online.
Il progetto consiste di tre supporti differenti: un dispositivo fisico, una piattaforma web e un’edizione cartacea. L’elemento centrale è il Wibot ‒ l’apparecchio realizzato dall’artista. È un piccolo oggetto portatile, dotato di uno schermo e-paper – tecnologia che imita l’aspetto dell’inchiostro su carta. Il dispositivo riporta le interazioni con le reti circostanti. Il Wibot fornisce informazioni che solitamente non sono accessibili. Il lessico è semplice e colloquiale. Conferisce al dialogo un tono familiare, umano. Le modalità comunicative fanno eco ai nostri gesti. Il primo incontro tra due dispositivi è rappresentato dalla stretta di mano. In base alla possibilità di fare nuove conoscenze, il dispositivo può annoiarsi o essere più loquace.
Il Wibot è completamente autonomo. L’aspetto datato ricorda quello di un cercapersone.  Consuma pochissima energia ma, al contrario di un qualsiasi smartphone, non può essere né spento né acceso. Come mostrato dal video pubblicato da Kelly su Vimeo, chiunque può riprodurlo. Invisible Network è infatti un progetto Open Source. È la metafora, l’automazione della socialità contemporanea.

“Invisible Network è il dispositivo mobile ideato da Evan Kelly per concretizzare la comunicazione tra macchine”.

I contatti del dispositivo sono riversati sulla piattaforma web realizzata per il progetto. Sono i follower del Wibot. Il numero di interazioni con ogni singola rete classifica il tipo di relazione. Possono essere “conoscenti”, “amici”, “cari amici” o “migliori amici”. La stratificazione sociale del network passa dal traffico di dati. Ogni rete ha un aspetto differente: la geolocalizzazione, il nome e l’intensità del segnale generano un grafico che rappresenta l’immagine, la foto profilo di ciascun utente. Una mappa interattiva ci consente di visualizzare, in tempo reale, tutti i nostri incontri, mentre la timeline della piattaforma mostra l’intensità delle comunicazioni. L’edizione cartacea dell’opera riporta la quantità di dati registrati dal Wibot. Invisible Network ha recentemente ottenuto una menzione speciale agli Award annuali dell’ECAL – École Cantonale d’Art de Lausanne.

‒ Jacopo de Blasio

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Jacopo De Blasio

Jacopo De Blasio

Jacopo De Blasio è uno storico dell'arte romano. Attualmente assistente bibliotecario presso il MAXXI, collabora con Antinomie e Juliet Magazine. Curatore indipendente, si occupa prevalentemente di socially engaged art.

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