Musei e digitale. Intervista a Patricia Buffa della Fondation Louis Vuitton

Secondo appuntamento con la rubrica “Museum [digital] matter”, nata dall’esigenza di confronto e analisi su esperienze concrete in merito a musei e digitale. Un breviario di idee, che consenta la circolazione di letture critiche in un campo ben lungi dal costituire un sapere consolidato. Stavolta abbiamo dato la parola a Patricia Buffa, Head of Digital Communications presso la Fondation Louis Vuitton di Parigi.

Ci racconti un poco del tuo lavoro, del tuo team e dei tuoi obiettivi?
Alla Fondation Louis Vuitton lavorano in tutto 35 persone, assunte e a tempo indeterminato, includendo tutti i dipartimenti, dall’accoglienza all’editoria al marketing alla produzione delle mostre e dei concerti e alla mediazione culturale. Io in particolare lavoro nel dipartimento di Comunicazione e sono responsabile della Comunicazione Digitale. Nel mio team ci sono anche un social media manager e un web editor. L’obiettivo principale del nostro lavoro è sviluppare la presenza della Fondation Louis Vuitton online, non solo in termini di immagine, ma anche e soprattutto nel fornire risorse utili e interessanti a tutti i pubblici che ci seguono, suscitare il loro interesse, ascoltarli, dialogare con loro, stimolare la loro curiosità e intercettarne di nuovi, che magari non conoscono ancora la Fondazione e la sua programmazione.

Come vi muovete, concretamente?
Ogni giorno cerchiamo di individuare i migliori canali e media per far sì che i nostri contenuti raggiungano nella maniera più semplice ed efficace il pubblico al quale sono destinati, nell’intento di trasformare un visitatore virtuale in visitatore reale.  Non si tratta di una comunicazione unilaterale, ma biunivoca, in cui prendono campo sempre più spesso anche i contenuti creati dagli utilizzatori. A mio avviso la Fondazione non è semplicemente composta dalle 35 persone assunte a tempo indeterminato (e da tutte le agenzie e i fornitori che ci accompagnano in questa avventura), ma anche da tutti coloro che vengono alle nostre mostre e ai nostri concerti. Condividendo sui social media la loro esperienza, partecipano di fatto allo sviluppo della nostra immagine. La Fondazione è anche loro. La motivazione che mi accompagna al lavoro ogni mattina è quella di rendere la loro esperienza online e sul posto sempre più interessante, ricca e, perché no, divertente.

Quando contano (o dovrebbero contare) la comunicazione digitale e lo sviluppo sul digitale in un museo, secondo te?
I digital media sono un modo per essere accessibili a tutti i pubblici e in particolare al pubblico che non si trova sul posto. Nella vita di tutti i giorni alterniamo in continuazione, e ormai senza neanche più rendercene conto, comunicazioni digitali, analogiche e di persona. È questa stessa naturalezza che si deve cecare di riprodurre anche quando a comunicare non è una persona fisica, ma un’istituzione culturale o un’impresa. Fare distinzione tra comunicazione digitale e “non digitale” è un po’ come aggiungere una barriera artificiale, dato che nella vita queste due dimensioni sono fortemente interconnesse. Un visitatore può ad esempio venire a un evento organizzato alla Fondazione perché lo ha visto sulla nostra pagina Facebook, oppure perché sono i suoi amici che lo hanno condiviso. Cliccando sul link dell’evento potrà comprare il biglietto online, cosa che gli permetterà di evitare la fila in biglietteria e di avere accesso preferenziale alla Fondazione. Una volta sul posto, vivrà l’esperienza “reale”, magari porrà delle domande agli educatori che sono a disposizione del pubblico nelle gallerie oppure scaricherà l’app Fondation Louis Vuitton (la nostra audioguida digitale, messa a disposizione gratuitamente). Probabilmente farà delle foto con il suo cellulare e le posterà in seguito sui social media usando gli hashtag e geolocalizzandosi alla Fondazione.

Icône de l’art moderne. La collection Chtchoukine. Exhibition view at Fondation Louis Vuitton, Parigi 2016. Photo Martin Argyroglo

Icône de l’art moderne. La collection Chtchoukine. Exhibition view at Fondation Louis Vuitton, Parigi 2016. Photo Martin Argyroglo

Quali sono i vostri obiettivi?
Il nostro scopo è accompagnare il visitatore nella maniera migliore possibile prima, durante e dopo la visita, fornirgli degli strumenti in modo non invasivo per permettergli di vivere a proprio modo la sua esperienza alla Fondazione e instaurare così un circolo virtuoso tra contenuti ed esperienze online e alla Fondazione.
Una mostra come Icons of Modern Art. The Shchukin Collection, che è stata visitata da oltre 1,2 milioni di persone (un record assoluto in Francia), ha indubbiamente contribuito all’aumento del traffico online verso il sito e i social media della Fondazione. Non a caso durante i quattro mesi in cui questa mostra era aperta, la pagina del nostro sito a essa dedicata ha avuto oltre quattro milioni di visite e la nostra fan page su Facebook ha registrato la migliore progressione di tutti le istituzioni culturali francesi dall’inizio dell’anno. In questo caso potremmo dunque dire che i contenuti online hanno beneficiato del successo dei contenuti proposti dalla Fondazione e hanno fatto loro eco arricchendo ulteriormente l’esperienza online grazie alle visite a 360 gradi che abbiamo proposto su Facebook e YouTube, oppure alla riproduzione dell’allestimento della mostra sul nostro profilo Instagram. In altre circostanze, il circolo virtuoso nasce online e si sviluppa dopo offline, come nel caso di eventi più di nicchia che mediatizziamo sui social media per toccare un pubblico più ampio.

Quanto la digitalizzazione delle risorse e dei processi influisce sulla possibile efficacia della comunicazione web e social?
Noi siamo un’istituzione molto giovane; siamo nati digitali [l’apertura al pubblico risale al 27 ottobre 2014, N. d. R.] e io e il mio team siamo anagraficamente “nativi digitali”. Sono una persona molto consapevole della necessità dell’esistenza delle corrette infrastrutture informative in azienda.
Al mio arrivo mi fu posto l’obiettivo di creare la newsletter della Fondazione. Mi fu chiara da subito la necessità di avere innanzitutto un buon sistema di Customer Relationship Management alimentato da tutti i reparti per far sì che la gestione dei contatti potesse essere organizzata su un data base unico e dinamico, al fine di avere dati precisi sulla nostra audience.

Per un’istituzione come la FLV cosa significa svolgere un’attività “relevant”?
Significa essere al passo con i tempi, essere innovativi, stupire e meravigliare il pubblico, anche tramite tutte le nostre piattaforme digitali; non si tratta solo di essere al passo con i tempi ma anche, in alcuni casi, di sperimentare.
Ad esempio l’app Lucky Vibes, che è stata lanciata in francese e inglese ad aprile, è rivolta a un pubblico giovane (teenager +). Si tratta di un gioco musicale che permette di acquisire informazioni e conoscere aneddoti sulla Fondazione in modo divertente, con contenuti bonus che diventano disponibili quando si passa al livello successivo. Di tanto in tanto lanciamo dei contest su Lucky Vibes che permettono ai giocatori che realizzano il punteggio migliore di vincere dei biglietti per le mostre e gli eventi organizzati dalla Fondazione. Attraverso l’entertainment, questa app ci permette di divulgare contenuti sull’architettura e sulla programmazione della Fondazione tenendosi lontani dai toni accademici, perché essere “relevant” significa anche essere in grado di parlare con ogni pubblico utilizzando il suo proprio linguaggio.

La app della Fondation Louis Vuitton

La app della Fondation Louis Vuitton

Che tipo di conoscenza avete dei vostri visitatori? E della loro fruizione dei vostri strumenti?
Il pubblico online non corrisponde esattamente a quello che viene sul posto. La sfida consiste appunto nel trasformare un visitatore “virtuale” in “reale”. Su Facebook, Twitter e Instagram siamo seguiti per la maggior parte da un pubblico femminile, francese della fascia fra i 24 e i 35 anni; su YouTube da profili maschili, basati negli Stati Uniti, sempre tra i 24 e i 35 anni. Il pubblico che visita la Fondazione fisicamente, invece, è più maturo, con una media intorno ai 45 anni. Stiamo attualmente conducendo una ricerca sul nostro sito per capire meglio i bisogni e la soddisfazione del pubblico rispetto alla visita online. L’analisi di questi risultati ci permetterà di pianificare al meglio gli sviluppi futuri del sito in termini di navigazione e contenuti.

Che competenze deve avere chi si occupa di comunicazione digitale in un museo o in un’istituzione culturale?
È un mestiere che è nato sul campo, sperimentando e osservando cosa fanno le altre istituzioni a livello internazionale, adattando pratiche sviluppate altrove alla propria realtà.
Non esiste una letteratura solida e univoca in questa materia, anche se ci sono moltissimi case study da tenere sott’occhio. A livello di istituzione, dopo aver fatto test e sperimentazioni, è importante definire una strategia chiara e la sua declinazione in termini grafici, funzionali ed editoriali, in modo da restituire online, nel modo più fedele possibile, l’immagine che l’istituzione vuole comunicare. È un’immagine che ovviamente deve potere evolvere assieme all’istituzione, ma che non deve cambiare a seconda della persona che ricopre il ruolo di Social Media Manager.

E quali caratteristiche personali (soft skill) deve possedere? Deve avere un profilo con competenze di tipo “tecnico” (coding, grafica…)?
Tra i “soft skill” considero importante la capacità di gestire efficacemente progetti che coinvolgono profili molto diversi tra loro: dai curatori ai grafici ai programmatori ai cosiddetti “influencer”. Conoscere e saper gestire l’expertise che ciascuno di questi profili può apportare costituisce davvero la differenza nella gestione dei progetti digitali, assieme alla capacità di mantenere una visione di insieme. Una certa familiarità con software come Photoshop, Final Cut, ecc. sono importanti per poter adattare agilmente i contenuti a disposizione a tutte le piattaforme disponibili. È meno necessaria quando si passa da profili operativi a profili più senior.

La app della Fondation Louis Vuitton

La app della Fondation Louis Vuitton

On line/ off line sono due mondi o uno solo? Ha senso cercarne il confine? Mi ha colpito molto sul vostro sito leggere questa dichiarazione: “The collection can be explored through events at the Foundation and elsewhere. Online, the collection is presented in the same way”. Sai che i critici del contatto digitale con le opere sono ancora parecchi? E sostengono che questo sostituisca, danneggiandolo perché copia povera, il contatto fisico con l’opera. Che cosa ne pensi?
Innanzitutto penso che l’esperienza fisica non abbia paragoni; non verrà mai sostituita da un contatto digitale. Il digitale è un modo per interessare il pubblico, per informarlo. Si offre, in ogni caso, a chi non potrà essere fisicamente presente perché impossibilitato per una serie di motivi. La frase citata fa riferimento al modulo “The Collection” che abbiamo appena lanciato sul nostro sito. L’approccio che seguiamo è quello di pubblicare la collezione online allo stesso ritmo secondo il quale la collezione è presentata tramite le mostre alla Fondazione e in altri spazi espositivi. Grazie ai contenuti video e al materiale fotografico prodotto per ogni esposizione, possiamo proporre online un’esperienza immersive, vicina a quella che si ha visitando le gallerie della Fondazione. La navigazione proposta segue fedelmente il percorso espositivo e, man mano che si scende in basso sulla pagina, si ha accesso a contenuti sempre più approfonditi, come le interviste con gli artisti e una selezione bibliografica per ogni artista (e presto per ogni opera).
È una soluzione in fieri, sempre aggiornata, che si modifica con gli allestimenti e ne tiene traccia.

Quando i processi di integrazione delle figure potranno dirsi conclusi, avrà senso avere ancora il suffisso “digital” davanti ai nomi dei ruoli?
Non sarà più necessario, ma forse oggi esiste ancora il bisogno di avere il prefisso “digital’ per poter dare voce al meglio a certi valori che il web incarna, come la condivisione di contenuti, risorse e archivi e l’approccio bottom-up invece che top-down.

Come possiamo valutare le attività sui social media? Voi, come valutate l’andamento delle comunicazioni online alla FLV? Lo mettete in relazione diretta con l’afflusso fisico dei pubblici?
Facciamo valutazioni quantitative sulla performance e la crescita del seguito ogni tre mesi. Un fattore sempre più rilevante nel valutare la performance di un post è l’engagement rate.  Il numero di condivisioni di un post è fattore di grande rilevanza.
Nel 2016 i nostri canali social sono cresciuti molto: 62% Instagram, 42% Twitter, 40% Facebook; abbiamo anche WeChat, per la Cina, ma dovremmo parlarne a lungo.

I vostri canali social sono curatissimi anche sotto l’aspetto grafico: secondo te, la recenziorità di una istituzione e la firma di un archistar sull’edificio che peso hanno sull’idea di bellezza e la cura della comunicazione in ogni suo versante?
Lo schizzo che Frank Gehry ha realizzato per il progetto della Fondazione è senza dubbio diventato un’icona ed è stato declinato e ripreso su molti supporti diversi. Per quanto riguarda l’identità della Fondazione online, nel primo anno sono stati fatti vari tentativi ed esperimenti. A due anni e mezzo dall’apertura è venuto il momento di creare dei codici che possano essere un punto di riferimento. Per ogni social media sviluppiamo non solo un linguaggio, ma anche un approccio grafico diverso: su Instagram sviluppiamo la nostra immagine mentre su Facebook diamo un’attenzione particolare alla divulgazione dei contenuti testuali, con un approccio più educativo.

Il logo della app Lucky Vibes

Il logo della app Lucky Vibes

Come sei arrivata a Parigi?  Qual è la tua storia di formazione e professionale?
Mi sono laureata in Bocconi, a Milano, e ho approfondito il tema del management dei media e della cultura a Sciences Po a Parigi. Ho lavorato a Napoli per Mondadori-Electa, a Roma per l’apertura del museo MAXXI e poi sei anni negli USA per il Sole24 Ore e il MoMA.

Come vedi lo stato di sviluppo delle istituzioni italiane sul “digitale”?
Non seguo da vicino le vicende nazionali, ma vedo che ci sono profili pieni di vitalità e di energia. E so che il pubblico è molto attivo. Sia al MoMA che alla Fondazione Louis Vuitton gli italiani figurano sempre ai primi posti quando si guarda alla provenienza geografica degli abbonati. È una cosa che mi ha sempre stupito positivamente. Nonostante in entrambi i casi menzionati non ci sia alcun contenuto messo a disposizione in italiano, gli italiani leggono i post, li condividono e li commentano più di altre nazionalità. Non saprei dire in generale se le istituzioni culturali italiane sono attive e innovative dal punto di vista della presenza digitale, ma mi sembra che gli italiani siano “connessi’, ricettivi ai contenuti digitali, il che significa che c’è senza dubbio del potenziale.

Su che arco di tempo sarebbe sensato pianificare le attività e la strategia? Voi come vi muovete?
Un anno per uno sguardo a esempi e pratiche di altri e pianificazione; un mese prima del lancio il piano editoriale è confezionato (pronto anche a essere cambiato on going).

Un libro da consigliare ai colleghi italiani. Quello che trovi più geniale e ispirante di tutti.
In questo periodo sto leggendo The Culture Map: Decoding How People Think, Lead, and Get Things Done Across Cultures di Erin Meyer, un libro che mi ha consigliato la Chief Digital Officer del Museum of Natural History di New ork. Lo trovo molto interessante perché parla delle differenza nella maniera di comunicare sul lavoro tra persone che provengono da culture diverse e di come evitare di essere mal interpretati quando si lavora con persone che vengono da un Paese differente, un altro “soft skill” molto importate in un mondo globalizzato.

Maria Elena Colombo

www.fondationlouisvuitton.fr

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