Remixare all’infinito
Lanciato nel gennaio del 2011, Canvas è il nuovo progetto di Christopher Poole, già noto per aver fondato 4chan, una piattaforma per la condivisione di immagini diventata famosa per aver generato la maggior parte dei fenomeni virali più popolari degli ultimi anni, e per essere stato il luogo in cui ha preso il via il fenomeno Anonymous.
Nelle intenzioni di Christopher Poole, Canvas è un vero e proprio incubatore di contenuti virali. Per quanto consapevole dell’impossibilità di definire una ricetta precisa per la nascita di un “meme”, Poole ha cercato di offrire ai propri utenti tutti gli strumenti necessari a questo scopo. Il sito si presenta come una piattaforma online dall’interfaccia pulita e user-friendly, che consente di uploadare, condividere e remixare immagini attraverso uno strumento di editing semplice e intuitivo, utilizzabile direttamente nel browser. A differenza di 4chan, dove i contenuti non vengono archiviati, su Canvas si può seguire la genesi di ogni immagine, remix dopo remix. L’attenzione non si concentra quindi sul prodotto finale, ma sul processo: una pratica collaborativa aperta e potenzialmente infinita, che cerca di mettere a frutto la creatività collettiva della rete.
Poole ha cercato di prendere ciò che di ottimo ha 4chan (il processo collettivo di creazione creativa), epurando invece le tendenze più oscure e controverse (la pedopornografia, il razzismo e la violenza verbale). Paradossalmente, però, quella piattaforma deve molta della sua forza alla scelta di offrire spazio anche ai contenuti più controversi, dando vita a un ambiente quasi completamente privo di regole e quindi estremamente fertile per quanto riguarda la nascita di “meme”, fenomeni che per definizione sfuggono a ogni possibilità di controllo. Se 4chan è un informe buco nero che attira su di sé un’enorme quantità di massa e energia, Canvas è invece un sistema ordinato e ben regolamentato, che deve però ancora dimostrare di saper sprigionare altrettanta potenza creativa.
Matteo Cremonesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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