Un progetto per portare il design anche dentro le carceri. L’esperienza a Milano
Al carcere di Milano-Bollate, otto detenute hanno partecipato a un corso certificato dallo IED. Il risultato? Otto borse, realizzate da zero, in grado di trasformare il tempo sospeso della detenzione in un simbolo di immaginazione, riscatto e autentico design
Elena, Fortunata, Lucia, Patrizia, Tatiana, Veronica, Vilma, Fanny. Sono le donne detenute al carcere femminile di Bollate che hanno partecipato ad un corso intensivo di design dell’accessorio, ma sono anche i nomi delle borse da loro stesse pensate e progettate.
Un lavoro corale, di rete, di condivisione, di fronte comune quello messo in piedi dalla Fondazione Francesco Morelli, Ethicarei, Fondazione Severino e Istituto Europeo di Design e accolto (come sempre) dal Direttore Leggeri del Carcere di Bollate.

L’iniziativa “Unlimited Edition: The Bag” al Carcere di Bollate
Considerato un modello in Italia, il Carcere di Bollate ha un tasso di recidiva medio dei detenuti che si attesta intorno al 7%, notevolmente inferiore rispetto al 60-70% di altri istituti penitenziari, dovuto senz’altro a tutte le attività che, come questa, promuovono riscatto e nuove opportunità. Martedì 2 dicembre si è tenuta all’interno del Carcere, nel Teatro della Casa di Reclusione di Milano–Bollate, la cerimonia di presentazione di Unlimited Edition: The Bag, la prima edizione del progetto di formazione che porta all’interno del carcere la possibilità di attendere un corso certificato da IED in Fashion Design, che questa volta non riguarda la manualità ma il pensiero. Lo sviluppo di un progetto, l’apprendimento di una metodologia e di tutte quelle competenze necessarie per entrare in contatto con la propria creatività, con la propria immaginazione. Quella stessa immaginazione che se e quando stimolata può permettere di sviluppare una trasformazione di sé e di immaginare nuovi orizzonti.

Il corso intensivo in Fashion Design di IED
Il corso intensivo di trentatré ore è stato diviso in tre moduli. La prima fase, come in ogni progetto di design, ha coinvolto il pensiero, la ricerca visiva, l’immaginazione interiore per poter sviluppare il moodboard e trovare concetti e immagini di riferimento. Il brief proposto riguardava l’analisi del concetto di tempo e l’utilizzo di materiali naturali. “Il tempo per le carcerate è attesa. Attesa di un colloquio, di una telefonata, di una udienza. Tempo appeso, cristallizzato, sembra un tempo fermo, dilatato. Un tempo e uno spazio che non si sa come riempire”. Queste alcune delle parole riportateci dalla Fondazione Severino delle stesse donne in carcere. “Abbiamo riempito di senso questo tempo” commenta Eleonora Di Benedetto, consigliere della Fondazione Severino. Il secondo modulo si focalizzava sulla parte tecnica, su come realizzare una borsa. “Tutto è stato progettato in maniera analogica, è stato come tornare indietro nel tempo” ha commentato una delle docenti di IED che in seguito a questa esperienza dichiara di voler rivedere all’esterno il proprio insegnamento in maniera più analogica. Il terzo modulo si focalizzava sulla realizzazione dei prototipi in tela e quindi lo studio del cartamodello. Sì, perché le detenute non hanno cucito e realizzato loro stesse gli accessori, come ogni designer che si rispetti hanno progettato l’idea.
La produzione della collezione di borse presso la Cooperativa Alice
Tutti questi dati sono poi stati recepiti dalla Cooperativa Alice, capofila della filiera etica di Ethicarei, che ha realizzato all’esterno del carcere le borse, dovendo, come succede in azienda, interpretare e cogliere tutte le volontà delle designer. Elena si è ispirata al fiore di loto come simbolo di rinascita, Fanny ha rappresentato un giardino fiorito dove dimora l’attesa, Lucia ha rappresentato l’infinito attraverso il bozzolo di una farfalla, Patrizia ha pensato alla forma di una busta da lettere che racchiude ogni segreto, Fortunata ha rappresentato la borsa a forma di libro con all’interno i propri pensieri stampati. Non ve n’è una uguale all’altra. In comune però hanno un effetto di contrasto tra interno ed esterno della borsa. L’esterno rappresenta il tempo attuale, privo di libertà e l’interno il tempo futuro, ricco di speranze.
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Il gruppo di lavoro
La Fondazione Francesco Morelli ha promosso il progetto. “Un’azione di responsabilità sociale che interpreta l’eredità di Francesco Morelli, fondatore di IED, che ha sempre visto nel design uno strumento di crescita, dignità e rinascita” commenta la vicepresidente Maria Teresa Coradduzza. “Gli errori che possono essere fatti durante il processo creativo, la possibilità di risolverli e tornare indietro è una metafora di vita, che porta a prendersi la responsabilità delle scelte che facciamo, è un modo di andare verso noi stessi. La nostra fantasia è un grande valore che con lo strumento potente della progettualità può portare lontano”.
Il percorso formativo con i docenti di IED è stato realizzato con il supporto produttivo di Ethicarei che promuove il lavoro non solo come profitto. Ethicarei è la prima filiera etica italiana del Made in Italy, certificata WFTO, che integra imprese sociali, scuole di
formazione e brand di moda in un modello produttivo trasparente. “Non ci rendiamo conto” dice Caterina Micolano Presidente di Ethicarei, “di quanto sia importante dare forma al pensiero e per farlo c’è bisogno di tempo, tempo per fermarsi e questo è quello che è accaduto con il pensiero dietro a questa produzione di borse”.
La supervisione di tutte le attività è stata di Fondazione Severino che ha accompagnato le donne carcerate lungo tutto il percorso. La Fondazione Severino è un ente del Terzo Settore costituito per dare supporto a persone detenute, ex detenute e sottoposte a misure alternative, per promuovere il loro reinserimento sociale e lavorativo. A questo gruppo di lavoro si aggiungono gli scatti del servizio fotografico dell’artista portoghese Rita Lino e il documentario che attraversa questo viaggio realizzato da Oxymoro Creative Studio.
IED e il carcere come luogo di rieducazione
Durante la cerimonia le donne carcerate, hanno ricevuto l’attestato di IED e hanno visto per la prima volta la loro borsa finita che ora appartiene ad ognuna. La cosa più affascinante di Unlimited Edition: The Bag è che, come accade ai progetti più virtuosi, ha smosso tutte e tutti, dalle donne recluse in carcere, alla polizia penitenziaria, al gruppo di lavoro. Prendersi cura di persone in difficoltà, private della libertà, equivale a prendersi cura di noi stessi. “Il luccichio negli sguardi era lo stesso”, dice Caterina Micolano, “quello delle donne detenute e quello dei lavoratori coinvolti nel progetto, aveva la stessa potenza”. E come sostiene anche Paola Matossi L’Orsa, membro del comitato culturale della Fondazione Francesco Morelli: “Il carcere è un posto che va illuminato e poi ci si sente illuminati nell’averlo fatto, illuminati dalle competenze e dal talento delle persone”.
Margherita Cuccia
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