Un viaggio lungo cent’anni raccontato attraverso 40 abiti, molti dei quali esposti per la prima volta. È il nuovo allestimento del Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti, a Firenze, che apre ben nove sale interamente dedicate alla moda del Novecento, confrontando pezzi unici nel loro genere con l’arte.

Il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti
Dalle frange del Charleston Anni Venti alle paillettes irriverenti di Enrico Coveri negli anni Ottanta, il percorso espositivo intreccia alta sartoria e arti visive, con capi firmati da maestri come Elsa Schiaparelli, Yves Saint Laurent, Pierre Cardin e Roberto Capucci, in dialogo con opere di artisti del calibro di Galileo Chini, Felice Casorati e Alberto Burri. Il progetto segna un nuovo corso per il museo, che a un anno dalla riapertura totale della Galleria introduce una rotazione annuale dei pezzi esposti. L’obiettivo è valorizzare un patrimonio di oltre 15.000 abiti e accessori storici, portando alla luce creazioni mai viste prima, accuratamente restaurate. Restano invece stabili le sezioni dedicate alla moda del Sette e Ottocento e agli abiti medicei.
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La nuova mostra al Museo della Moda e del Costume
Il primo spazio della nuova esposizione, dedicato alla “Moda Charleston”, accoglie il visitatore in un’atmosfera teatrale con il Trittico di Galileo Chini e l’abito indossato alla prima di Turandot del 1926, esempio perfetto di quella commistione tra esotismo e libertà femminile che definì l’epoca. Il percorso si snoda poi attraverso la moda tra le due guerre, il dopoguerra e le rivoluzioni stilistiche degli Anni Sessanta e Settanta, fino al glamour degli Anni Ottanta.

Gli abiti rari in mostra a Palazzo Pitti
Tra i pezzi più rari, un abito giovanile di Yves Saint Laurent, tre creazioni appartenute a Ingrid Bergman, i capolavori geometrici di Capucci e lo stile spaziale di Cardin e Courrèges. La mostra si chiude con l’ironia luminosa di Coveri, simbolo di una moda libera, colorata e irriverente. “La moda del Novecento”, commenta il direttore Simone Verde, “è un linguaggio visivo che riflette la trasformazione del femminile e dialoga con le arti, diventando parte integrante della nostra memoria culturale”.
Giulio Solfrizzi
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