Torna la Copenhagen Fashion Week. Tutte le novità nell’intervista
Il modello pionieristico nato a Copenhagen che ha ridefinito il ruolo delle fashion week nel contesto globale, torna a sfilare per la stagione Primavera Estate 2026. Abbiamo intervistato la CEO Cecilie Thorsmark tra sostenibilità, collaborazioni internazionali e ultime novità

Copenhagen Fashion Week – pronta a tornare in passerella con l’edizione Spring/Summer 2026 i primi di agosto – è la prima settimana della moda al mondo ad aver introdotto un insieme di requisiti di sostenibilità, attraverso il Sustainability Action Plan, per i brand partecipanti, con l’obiettivo di promuovere un cambiamento positivo e duraturo nel settore. Un’iniziativa pionieristica e urgente che ha ridefinito il ruolo delle fashion week nel contesto globale e ha contribuito a posizionare l’evento nordico come punto di riferimento per l’intero sistema moda. Attualmente CPHFW collabora con realtà come Oslo Runway, il Norwegian Fashion Hub, la Berlin Fashion Week (organizzata dal Fashion Council Germany), il British Fashion Council e l’Amsterdam Fashion Week, che hanno adottato gli stessi requisiti di sostenibilità all’interno delle proprie piattaforme. La primavera 2024 ha visto anche una nuova collaborazione con il Victoria and Albert Museum, rafforzando una rete internazionale che possa accelerare la transizione sostenibile e culturale dell’industria.

I requisiti di sostenibilità della Copenhagen Fashion Week
L’Action Plan, presentato nel 2020 ed entrato in vigore con l’edizione AW23, regola il processo di candidatura dei brand, che devono dimostrare il proprio impegno attraverso una serie di punti d’azione. Le risposte e la documentazione presentata dai candidati vengono sottoposte alla valutazione di un Comitato di Selezione esterno che le convalida. Un modello che nasce per definire una serie di aspettative da soddisfare all’interno delle proprie attività aziendali, alle azioni e ai programmi che si impegnano a ridurre l’impatto ambientale e promuovere giustizia sociale. Viene richiesto, ad esempio, di descrivere la propria strategia di sostenibilità approvata, di descrivere i propri criteri per garantire la qualità e la longevità dei prodotti, di riportare la propria procedura sull’invenduto e il riciclo delle collezioni precedenti e di descrivere le proprie linee guida che garantiscono pari opportunità, attualmente sono diciannove punti d’azione in tutto. I requisiti sono aggiornati periodicamente per rispondere all’evoluzione del settore, agli sviluppi politici dell’UE e alle esperienze maturate sul campo. La revisione più recente è stata esposta nel 2024 ed è entrata in vigore da quest’anno. Intanto a febbraio, la Copenhagen Fashion Week, insieme a sette brand danesi, è stata oggetto di una denuncia per presunto greenwashing, presentata dal Consiglio danese dei consumatori insieme alla società di consulenza Continual, all’autorità danese per la tutela dei consumatori che non si è ancora pronunciata sulla questione. In questa intervista, la CEO della Fashion Week danese racconta ad Artribune le sfide di leadership affrontate per mantenere alta l’ambizione in un contesto segnato da crisi globali, l’importanza della collaborazione internazionale e l’evoluzione di CPHFW come piattaforma culturale, civica e formativa.

Intervista a Cecilie Thorsmark, CEO della Copenhagen Fashion Week
Guardando al percorso compiuto da CPHFW dall’introduzione dei Requisiti di Sostenibilità nel 2020, qual è stata la sfida di leadership più complessa che ha dovuto affrontare e in che modo è cambiato, da allora, l’approccio dell’industria globale della moda verso la sostenibilità?
La sfida di leadership quando si parla di sostenibilità di per sé non è complessa: si tratta di dare priorità alla sostenibilità in tutta l’organizzazione. Significa che non solo il team CSR – Responsabilità Sociale d’Impresa – lavora verso una visione chiara, ma che tutto il team sia coinvolto condividendo valori e obiettivi. Avere la sostenibilità isolata in un reparto separato non può portare a molti cambiamenti. Solo insieme ai team di acquisto, marketing o design l’impatto può diventare davvero significativo! Oggi, data la situazione politica ed economica, la sfida principale è resistere alla tentazione di ridurre gli sforzi sulla sostenibilità e mantenere una visione lungimirante.
Il Piano d’azione per la sostenibilità rappresenta un impegno fondamentale. Quali impatti concreti avete osservato finora?
Gli impatti sono molteplici: abbiamo lavorato diligentemente per ridurre il nostro impatto climatico e lo spreco di risorse in tutta l’organizzazione e l’evento, abbiamo integrato con successo più di 50 brand nel framework dei requisiti di sostenibilità e naturalmente abbiamo avviato numerose partnership internazionali, sia con il British Fashion Council sia con il Norwegian Fashion Hub e Oslo Runway, mostrando l’adattabilità del nostro framework.
Ci sono anticipazioni che può condividere sul prossimo aggiornamento? Gli anni di impegno etico dimostrato potrebbero un giorno diventare un requisito riconosciuto di per sé?
È troppo presto per parlare nel dettaglio dei prossimi anni – ma possiamo dire che siamo più impegnati che mai verso i nostri Requisiti di Sostenibilità e le loro numerose partnership. Poiché il nostro modello è pensato per essere il più inclusivo e ispirazionale possibile, mettere in mostra anni di impegno potrebbe significare escludere alcuni brand, mentre per noi è più importante avviare le loro azioni anziché “punirli” per non aver avuto una strategia di sostenibilità.

Che tipo di impatto a lungo termine vuole che la Copenhagen Fashion Week abbia non solo nel plasmare il settore, ma anche nell’influenzare il modo in cui la moda si confronta con la società e la crisi climatica?
A lungo termine desideriamo aver aumentato la consapevolezza della responsabilità dell’industria della moda nel ridurre totalmente le emissioni di gas serra e ancora di più tradurre questa consapevolezza in obiettivi o impegni concreti.
Le vostre recenti collaborazioni riaffermano la convinzione che fare rete, una fondata su valori condivisi, sia l’unica strada efficace per un cambiamento sistemico. Ritiene che questo approccio sia la chiave per costruire un futuro resiliente e responsabile per la moda e forse un modello da espandere ulteriormente, anche verso altri Paesi?
Sicuramente! Fin dal primo giorno siamo stati espliciti sull’importanza della collaborazione, perché nessuno di noi può guidare il cambiamento necessario da solo. Siamo così orgogliosi di vedere che questo nostro approccio ci ha portato a lavorare con partner affini e speriamo di ampliare questo lavoro in futuro.
La collaborazione con il Victoria and Albert Museum attraverso Fashion in Motion evidenzia il legame tra moda e arte. In che modo questo dialogo influenza l’identità e l’ambizione della Copenhagen Fashion Week come piattaforma culturale?
Siamo stati entusiasti di collaborare con la V&A sia tramite un programma dedicato di talk sia tramite il tanto amato Fashion In Motion show che porta la passerella nello spazio museale. Entrambe le attività erano aperte al pubblico, il programma di talk ha esplorato argomenti come l’importanza vitale della diversità e dell’inclusione all’interno delle industrie creative e il futuro della formazione per la moda, e il Fashion In Motion ha accolto 2mila persone per tre sfilate in un solo giorno. Il V&A è da tempo un pioniere nella moda, con il suo archivio di fama mondiale e il suo programma annuale, quindi è stato davvero meraviglioso collaborare con un’istituzione così riconosciuta per portare il lavoro di CPHFW a un nuovo pubblico. La cultura è un pilastro chiave di Copenhagen Fashion Week, e la connessione tra moda, arte, design, architettura, musica e oltre sono percorsi che cerchiamo sempre di esplorare e di coltivare per nuove partnership.

Richiedere a tutti i brand partecipanti di firmare la Danish Fashion Ethical Charter, con i suoi impegni per la diversità dei corpi e le pratiche responsabili certificate, è una posizione radicale in un settore spesso esitante a legiferare sui valori. Cosa significa, secondo lei, istituzionalizzare l’etica nella moda? E la vera inclusione può essere regolamentata o deve essere coltivata più profondamente?
Per raggiungere una mentalità o un modo di lavorare veramente inclusivo, avere regole o impegni potrebbe essere un (primo) passo necessario nella transizione, ma sicuramente non è la destinazione finale, ma solo un punto sulla mappa. Ovviamente, una profonda integrazione dei valori etici sarebbe l’ideale, però bisogna essere consapevoli che la moda opera all’interno del capitalismo, che lascia solo un certo margine di manovra.
In che modo il programma NEWTALENT sostiene concretamente i giovani designer e cosa rende efficace questo modello?
Siamo orgogliosi di sostenere talenti eccezionali dai Paesi Nordici – non è mai stato così importante fornire infrastrutture sotto forma del CPHFW NEWTALENT, che supporta i talenti con borse finanziarie, visibilità durante la manifestazione e mentoring da figure globali su vari aspetti del business. CPHFW NEWTALENT compie cinque anni quest’anno e anche se il programma è ancora giovane, l’impatto e il supporto che è riuscito a offrire a numerosi brand è comunque notevole. Ora un grande obiettivo per noi e per il programma è costruire il nostro patron program, che permetta a brand e organizzazioni di investire in CPHFW NEWTALENT tramite le infrastrutture che abbiamo creato per il programma, fornendo così borse di studio vitali ai nostri designer emergenti.
A differenza di molte altre settimane della moda, la Copenhagen Fashion Week si è costruita una reputazione di notevole apertura al pubblico. Questa apertura fa parte di una visione culturale più ampia, che vede la moda non come un circolo chiuso, ma come uno spazio civico che invita alla partecipazione, all’accessibilità e ai valori condivisi?Siamo una piattaforma di settore, ma siamo orgogliosi di avere una visione democratica che incoraggia il maggior numero possibile di rappresentanti della moda e dell’industria creativa a partecipare alla nostra settimana di attività. Inoltre, manteniamo aperto al pubblico il nostro programma ufficiale di conferenze, di cui Vogue Business è media partner, per garantire che il maggior numero possibile di persone interessate alla moda possa sperimentare la nostra gamma di conferenze, che comprende argomenti che esplorano tra gli altri, i percorsi di carriera nel mondo della creatività, le innovazioni nella catena di approvvigionamento, l’impatto duraturo dell’artigianato e l’importanza del adaptive wear.

In che modo le scuole e gli studenti sono coinvolti nella Settimana della moda di Copenhagen e quale valore formativo ritiene che questo impegno porti, sia agli studenti sia al più ampio ecosistema della moda?
Siamo orgogliosi di usare la nostra piattaforma per mettere in luce la prossima generazione di talenti creativi, e i Paesi Nordici sono la patria di tante meravigliose istituzioni educative. Dobbiamo permettere a organizzazioni come la nostra di mostrare lo spettro del design: i leader globali tanto quanto i giovani innovatori. Invitiamo istituzioni di istruzione superiore tanto quanto brand a candidarsi per il calendario ufficiale di sfilate e presentazioni, il che permette un programma che riflette in modo succinto e completo l’impatto del design nordico.
Questa edizione introduce diverse novità, tra cui il debutto del CPHFW Guest Slot, lanciato con Cecilie Bahnsen. Quali sono le evoluzioni più significative di questa stagione? E come questo nuovo format riflette la crescente ambizione della Copenhagen Fashion Week come quinta settimana della moda, posizionata subito dopo le cosiddette Big Four?
Siamo orgogliosi di essere considerati la quinta fashion week, ma vogliamo anche essere riconosciuti come un’organizzazione e una fashion week che fa le cose in modo diverso. Ci stiamo evolvendo e stiamo crescendo costantemente stagione dopo stagione, il che è estremamente entusiasmante, e l’introduzione del Guest Slot è una novità per questa stagione come parte della nostra dedizione a garantire che il nostro programma sia ispirazionale e rappresentativo del meglio del design nordico. Il prossimo anno sarà il nostro ventesimo anniversario, quindi aspettatevi alcune aggiunte davvero eccezionali sia rispetto al calendario quanto alle attivazioni che abbiamo in programma.
A febbraio, la Copenhagen Fashion Week è stata oggetto di una denuncia per presunto greenwashing, presentata all’autorità danese per la tutela dei consumatori. Come si è evoluta la questione, e che tipo di riflessione ha avviato internamente l’organizzazione in risposta a queste criticità?
In questa fase, è stato presentato un reclamo all’Ombudsman danese per i consumatori, il che non è raro; non si è trasformato in un caso o in una sentenza, e non prevediamo ulteriori sviluppi su questo fronte. Sebbene non abbia portato a una rivalutazione del nostro modello, lavoriamo sempre per rafforzarlo. Questo è lo scopo che ci siamo prefissati fin dal lancio del framework: rivederlo e aggiornarlo continuamente in linea con i progressi del settore e le modifiche normative, per continuare a spingere i brand con cui lavoriamo. I requisiti di sostenibilità sono utilizzati come criteri di ingresso, non come certificazione, il che significa che sono utilizzati solo per scopi di screening e non di marketing – tuttavia abbiamo sempre allineato la nostra comunicazione con le linee guida dell’Ombudsman danese dei consumatori.
Margherita Cuccia
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