Quali scenari per il mondo della moda. Il punto all’estate 2025 a margine delle sfilate tra Milano e Parigi
La crisi del tessile-abbigliamento è conclamata. Abbigliamento maschile, femminile, accessori nessuno è esentato da una flessione che non si arresta da almeno 24 mesi. Gli scenari

Nuovo ciclo di presentazioni. In corso quelle dedicate all’abbigliamento maschile che si concluderanno il 29 giugno a Parigi. Poi arriva la Couture (Parigi 7-10 luglio) e quindi la donna (a Milano e Parigi 20 settembre – 7 ottobre). 50 giorni, più o meno come al solito, ma in una situazione che si presenta assai diversa rispetto al passato. La crisi del tessile-abbigliamento è conclamata. Abbigliamento maschile, femminile, accessori nessuno è esentato da una flessione che non si arresta da almeno 24 mesi. Pare brutto da dire? Ma le cose stanno così. Guerra e relative sanzioni che non finiscono al confine con l’Europa; Stati Uniti in preda a un’amministrazione assertiva quanto inaffidabile circa le reali intenzioni; mercato cinese bloccato mentre la produzione ora è pronta a intercettare con il suo temibile ultra-fast fashion i consumi occidentali, il contrario di quanto avvenuto sino all’altro ieri; paesi petrolieri mediorientali sorvolati giornalmente da cacciabombardieri israeliani e missili iraniani.
Dazi, guerre: come reagisce il mondo della moda?
Di fronte a tutto questo i gruppi produttori reagiscono come possono e sanno e sino ad ora con poco successo. Non sanno che fare i Ceo, pure loro di recente sottoposti a cambi di sedia come mai accaduto in passato: è clamoroso il caso di abbandono di François-Henri Pinault dalla massima carica di Kering sostituito da Luca de Meo, manager di altissimo profilo proveniente a sorpresa dall’automotive. Non lo sanno i designer, un tempo ritenuti onnipotenti e oggi ridimensionati a ruoli operativi che non ammettono più facili isterie. Il settore prova comunque a reagire. Prova, ad esempio, ad estendere il suo modello di pensiero a un “sistema di valori” che non lo escluda dal modo in cui si vivrà l’abbigliamento nel prossimo futuro. In particolare, si sta concentrando sui “paradigmi” che gli vengono imposti dagli accadimenti in corso. Tre in particolare: prestigio culturale, sport e sostenibilità.
Moda e prestigio culturale
Per catturare l’immaginario globale i brand più evoluti perseguono in azioni che trascendono il prodotto e la performance in senso stretto. A partire dal nuovo millennio la ricerca di capitale culturale si è andata intensificando e non dà segni di cedimento. Non accontentandosi più di “sostenere” sporadicamente iniziative culturali i brand hanno cominciato a produrle direttamente esposizioni d’arte, cinema, musica, letteratura e più di recente persino scienza. L’identità culturale di un brand si costruisce in questo modo e viene utilizzata per connettersi al profilo del consumatore che non si ritiene più generico. A ben vedere “la moda” questo lo ha sempre fatto, ma attualmente questo aspetto è diventato più rilevante della descrizione dell’ultima tenuta da grand bal o dell’ennesima nuova borsa griffata da mettere in vetrina. L’artista, l’architetto, lo scrittore con cui interloquire determinano la personalità del brand che li chiama accanto a sé. Oltre ogni logica di sponsorizzazione si tratta di una vera e propria contaminazione di contenuti. Che nemmeno avviene a senso unico: i maggiori i musei del mondo a loro volta stanno “negoziando” la loro presenza in questo nuovo ecosistema con mostre su maison storiche che nell’impianto scientifico superano quello la maison stessa sarebbe capace di fare autonomamente.






Il paradigma sportivo
Non è un’invenzione degli ultimi mesi: l’attenzione per l’abbigliamento e le attrezzature sportive si è innescata in maniera da non poter più essere ignorata nel post-Covid e pare ora sempre più impetuosa. 5 milioni di italiani incollati allo schermo di una domenica pomeriggio: per 6 ore. Niente finale di Champions. Finale sì ma del Roland Garros con i due più grandi campioni del momento: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. Sinner percorre il tunnel walk con la riconoscibile sacca di Gucci. Nike il più potente brand di abbigliamento al mondo con il suo svoosh è presente su top, sneaker, calzoncini e cup dell’uno e dell’altro. Rolex il più potente brand di orologeria fa da sponsor cronometrico. Lacoste Il più antico e celebre marchio di abbigliamento legato al tennis presente ovunque sui bordi della terra rossa. Il celebrity spotting annoverava sta come Dustin Hoffman, Spike lee, il premio oscar Eddie Redmayne, Cooper Koch (di Monster), Natalie Portman, Pharrell William, Bernard Arnault con famiglia al seguito. Immancabili i campioni di questo come di altri sport: Andre Agassi (vincitore Roland Garros 1999), George Russell, pilota F1 della Mercedes, Antoine Dupont, campione di rugby e oro olimpico 2024. Il potere dello sport nel plasmare lo stile è sempre stato evidente nella strada. Collaborando con atleti, squadre e campionati in tutto il mondo, i brand moda attingendo a fandom potenti altrimenti irraggiungibili. Le scorse Olimpiadi di Parigi hanno dato la possibilità al gruppo LVMH (main sponsor dell’evento) di posizionare i suoi brand ovunque. Sempre Lvmh dal 2025 è divenuto partner globale della Formula 1: la collaborazione coinvolge in particolare Louis Vuitton, Moët Hennessy e TAG Heuer.
La moda, il basket e il calcio
Ancora Louis Vuitton veste le stelle del calcio e del basket del Real Madrid, il club più titolato della storia per cui realizza abiti formali e accessori da viaggio. Ferrari ha del resto una sua linea di abbigliamento che presenta durante la fashion week milanese mentre lo scorso lunedì 16 gennaio la Federazione internazionale che governa il calcio ha presentato FIFA 1904, una linea di abbigliamento per uomo e donna. Niente t-shirt o felpe con cappuccio, ma cappotti in cashmere, abiti a tubino, e blazer sartoriali.

Sostenibilità ed economia circolare
Mentre i confini tra cultura e commercio si assottigliano (ma sono mai esistiti?) valori condivisi e pensiero a lungo termine emergono come valute per cui diviene necessaria la fiducia reciproca tra chi produce e chi consuma. Per questo appare delicatissima la comunicazione intorno al gigantesco problema della sostenibilità. Il fatto che nessuno sappia come risolverlo, determina uno stato ansiogeno generalizzato non sempre riconosciuto come tale, che lavora però silenzioso ma implacabile nella mente di ogni individuo. Non riguarda solo la sostenibilità dell’oggetto di “lusso” a cui è possibile rinunciare facilmente. Riguarda pure la t-shirt o l’ultimo modello di sneaker da outdoor. Quanti multipli di questi oggetti già affollano i nostri armadi? Come e dove saranno smaltiti? Quando – prima che sia troppo tardi – per il pianeta che abitiamo? Chanel ha dato vita nel novembre scorso a Nevold, un’azienda indipendente che si occuperà della gestione di rifiuti e di riciclaggio, nonché della loro conversione in materiali green da includere nelle nuove collezioni della maison: investimento presunto tra i 50 e gli 80 milioni di euro. Il nome della nuova impresa sta per never old (“mai vecchio”). L’idea è quella che nulla debba andare scartato: che tessuti inutilizzati o prodotti invenduti debbano invece essere convertiti. Si tratta di un tentativo su piccola scala (ma serio) di porre rimedio a una situazione per cui rimane poco tempo (secondo alcuni scienziati nemmeno più quello). Un gesto di speranza insomma. La non-sostenibilità di tanti prodotti messi in circolazione, la folle accelerazione del fast fashion si presenta (lo è realmente) come un altro terribile scenario di guerra.
Aldo Premoli
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