Dalla moda ai mestieri d’arte. I Narènte raccontano la Sardegna con un cortometraggio speciale

Un viaggio tra corpi e materiali, luoghi e simboli: il corto “Corpo Erede” del duo visivo rilegge l’artigianato con un linguaggio visivo che sfida il documentario. Ce lo spiegano in esclusiva per Artribune

Dimenticare il documentario. Oltrepassare l’estetica dell’artigianato. Narènte, il duo visivo nato nella fotografia di moda e composto da Franco Erre e Lucio Aru, firma Corpo Erede, un micro-film di cinque minuti realizzato per Craft – Sardegna Ricerche che trasforma il patrimonio materiale dell’isola in narrazione archetipica e ritratto corale. Nessuna voce didascalica, nessuna sequenza illustrativa: il racconto si sviluppa attraverso corpi simbolici, luoghi totemici e una partitura visiva che rifugge ogni descrizione lineare. Il risultato è un’opera che restituisce al fare artigiano la sua funzione primaria: incarnare, evocare, trasformare. Un invito a leggere la tradizione come forma vivente e plurale, in anteprima editoriale su Artribune.

Narènte: “Corpo Erede” e il nuovo linguaggio dell’identità artigianale sarda

“Corpo Erede” è un’opera audiovisiva stratificata che unisce artigianato e narrazione. Qual è stato il punto di partenza creativo e quale urgenza ha generato il progetto?
Siamo partiti dalla materia. Abbiamo scelto di entrarci dentro, saltando a piè pari la concezione documentaristica della creazione artigiana e concentrandoci su ciò che invece ispira l’inizio di tutto. Dunque, le materie prime, e tutti i sensi che esse coinvolgono. Con le parole dei voice over abbiamo cercato di immaginare una narrazione astratta che potesse suggerire il processo creativo. Poi ci siamo dedicati ai luoghi, punti chiave del nostro operare. Dalle quinte ai set naturali “abitati” con i protagonisti del video.

La struttura in quattro atti e le voci narranti che si sovrappongono nell’epilogo suggeriscono un’intenzione quasi teatrale. Che tipo di scrittura visiva è stata selezionata per costruire questa “messa in scena”?
Messa in scena è la formula più adatta: abbiamo ideato dei personaggi/archetipi che vivessero quei luoghi, quelle atmosfere, e scritto ogni scena costruendola come un set cinematografico. Il gioco si è focalizzato sulla doppia funzione del “corpo”: un corpo come tramite, veicolo e, al contempo, il corpo fisico del manufatto.

Le rappresentazioni dell’artigianato sardo nel cortometraggio “Corpo Erede”

Avete attraversato ambiti diversi della tradizione manifatturiera sarda restituendone una visione unitaria. Cosa vi ha guidato nella scelta delle maestranze e nella loro rappresentazione?
Ci ha supportati Craft, Sardegna Ricerche, che è stato un valido aiuto nell’individuazione delle eccellenze artigiane facendo attenzione a non focalizzarci troppo sul singolo riconoscibile, quanto più sulla funzione di simbolo ed esempio delle categorie delle arti prese in oggetto. Il risultato è stato un insieme di incontri che ci hanno ispirato e cambiato.

Il vostro linguaggio è immediatamente riconoscibile, anche quando cambia forma. In che modo avete adattato questa cifra stilistica all’universo del documentario artigiano senza snaturarne l’identità?
Attraverso una doppia operazione: far entrare questo mondo (quello delle eccellenze artigiane e della narrazione documentaristica) nel nostro universo visivo, e viceversa. Il progetto, in questo modo, ha acquisito il filtro del nostro linguaggio, della nostra cifra stilistica ormai consolidata.

Un atlante della Sardegna contemporanea nel lavoro di Narènte

Dalla fotografia alla moda, dal film al design: i vostri lavori costruiscono un atlante della Sardegna contemporanea. In che direzione si sta muovendo oggi?
Il concetto di atlante della Sardegna contemporanea ci piace molto, ed è proprio ciò che stiamo cercando di fare. Con i fili diretti e indiretti che costruiamo, ci piace l’idea di collegare l’isola con i confini di altri luoghi e, viceversa, contaminarla con esperienze e realtà esterne. Crediamo che sia un luogo unico e, al contempo, uno spazio ricco di potenzialità dal quale comunicare il nostro universo. Lo facciamo con i volti che selezioniamo, con i luoghi che diventano tutti un po’ parte del discorso narrativo, attraverso commissioni e progetti personali. In questo momento siamo molto concentrati sulla possibilità di reinterpretazione, amplificazione ed internazionalizzazione e, allo stesso tempo, sulla creazione di un nuovo immaginario.

In un momento storico in cui l’artigianato rischia di diventare pura estetica, qual è secondo voi la responsabilità di chi traduce in immagine questi patrimoni materiali e immateriali?
La nostra responsabilità, in quanto traduttori, è quella di non dimenticare cosa abbiamo appreso, ma anche di non fossilizzarci e non lasciare che la tradizione diventi mai statica e immobile, perché questo determinerebbe la sua fine. Parole e concetti come identità e patrimonio sono potenti se intese come fluide, capaci di trasformazione attraverso la conoscenza. Di sé, e dell’altro da sé. Perché proprio come ci suggerisce la voce narrante di Corpo Erede verso la fine, solo “conoscendoci, possiamo cambiare”.

Alessia Caliendo

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Alessia Caliendo

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Alessia Caliendo è giornalista, producer e style e visual curator. Formatasi allo IED di Roma, si è poi trasferita a Londra per specializzarsi in Fashion Styling, Art Direction e Fashion Journalism alla Central Saint Martins. Ha al suo attivo numerose…

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