Quella con il profilo di Trump non è solo una spilla. È uno strumento di potere
L’ultima novità del merchandising di Donald Trump è una spilla, da applicare al bavero per indicare fede e fedeltà al presidente. Una tradizione che ha lunghe e oscure radici, e che oggi fa preoccupare

Un pin di metallo smaltato da pochi dollari si sta posizionano dove si incontrano storia, cultura del consumo e potere della merce. È una spilletta che negli USA si sta diffondendo rapidamente e non prelude a niente di buono. Dopo il baseball cup con la scritta MAGA sembra ora giunto il momento del profilo di Donald Trump da aggiungere al bavero della giacca, un indicatore di adesione ed entusiasmo per un “sistema di valori”. Che riproduca i colori di una bandiera, un’onorificenza come la Legion d’Onore in Francia, o il poppy pin in ricordo dei caduti in Gran Bretagna, questa insegna discende in linea diretta dalle mostrine con cui i militari esibiscono sul petto il proprio grado. L’Italia di Benito Mussolini ne prevedeva un’ampia varietà. Quelle “del 1919″ distinguevano i membri originari del partito fascista che avevano marciato su Roma da coloro che vi si erano uniti in seguito: celebre quella del profilo del Duce con l’elmetto calato sino agli occhi da solo figurato o più tardi in coppia con il Führer. Particolarmente potenti, coloratissime, diffuse in Cina in miliardi di pezzi furono i pin, utilizzati come testimonianza impegno personale durante la Rivoluzione culturale: riportavano l’effige di Mao Zedong.
Spille e monete come strumenti di potere nella storia americana e non solo
Ora accade che la spilla bipartisan – quella con i colori della bandiera americana, tonda, rettangolare o mossa – tra i funzionari dell’amministrazione americana abbia cominciato a cedere il passo a quella con il profilo del nuovo del Presidente: le dimensioni sono quelle di una moneta da 25 centesimi il colore è quello dell’oro. Un trend in rafforzato dall’emissione contemporanea della Gold Card dove il volto di Trump assicura a chi è disposto a versare 5 milioni di dollari la possibilità di divenire residente nella Confederazione. Altri presidenti come Washington (banconota da un dollaro), Jefferson (due dollari) e Lincoln (cinque dollari) hanno la loro immagine stampa sulla valuta statunitense; nel 1964, l’anno seguente al tragico attentato, un profilo di Kennedy apparve su un mezzo dollaro commemorativo in argento. Ma ciò è sempre avvenuto dopo che ogniuno di loro era scomparso, o perlomeno non ricoprivano più l’incarico. Risale infatti al 1866 la legge approvata dal Congresso che proibisce l’uso del “ritratto o dell’immagine di qualsiasi persona vivente” su una moneta a corso legale. Far sì che un leader mentre è al potere metta il suo volto su uno strumento finanziario è uno strappo che non ha precedenti nella storia americana. Non in assoluto nella storia però. Giulio Cesare nel I secolo a.C. mette il suo volto su una moneta e da quel momento la Repubblica si trasforma in Impero. Prima di lui, sulle monete apparivano simboli religiosi, divinità, o antenati illustri, ma mai persone viventi. Nel 44 a.C. Cesare, poco tempo prima del suo assassinio, fa coniare una moneta dove a fianco del suo profilo coronato d’allora appare la scritta Dict perpetuo (dittatore a vita). Dopo di lui lo faranno tutti gli imperatori romani (Augusto, Tiberio, Nerone, ecc.) utilizzando queste monete come importante strumento di propaganda nell’Impero.












Le spille di Trump come atto di fede
Chiunque attraverso il web può oggi farsi recapitare un pin personalizzato costruito appositamente per celebrare una ricorrenza, un evento o una promessa: quantità minima 10 pezzi, massima all’infinito. È un gadget divertente, non dovrebbe preoccupare. Ma quando sull’oggetto appare il profilo di un leader nel pieno del suo esercizio di potere qualcosa cambia. Chi lo indossa compie un gesto di fede: la persona raffigurata diventa l’incarnazione di una causa, la lealtà che il cittadino un tempo riservava allo Stato diventa lealtà a un politico che si sostituisce allo Stato. Da secoli si indossano medaglie commemorative più facilmente internalizzate tra uno strato di abbigliamento e l’altro (quelle della Madonna di Lourdes o di Sant’ Antonio da Padova ad esempio) mentre solo il culto ultra-pop di Padre Pio ha cominciato a prevedere lo smercio vero e proprio di pin. Le spille con il profilo di Trump sono meno legate al luogo di emissione. Quella placcata in oro, è attualmente disponibile on line nel Trump Store per 19,95 dollari, mentre altre su Amazon si trovano a 6,99 dollari. Un simbolo così prominente, fa temere che le manifestazioni di patriottismo si stiano trasformando in qualcosa di simile a una “religione laica” costruita attorno a una figura carismatica, capace di utilizzare il potere del rituale e dell’iconografia.
Nell’amministrazione Trump il look è politica
È noto come Trump sia sensibile all’aspetto di chi lo circonda: così come è nota la sua avversione per ciò che considera un abbigliamento inappropriato (si veda il suo rimprovero al presidente Volodymyr Zelensky per aver indossato la sua “divisa da lavoro” anziché giacca e cravatta durante la prima celebre riunione nello Studio Ovale). Alla corte di Trump l’abbigliamento diventa un modo per dimostrare di essere un vero credente, un membro della tribù. Non può essere una coincidenza che così tanti funzionari repubblicani, tra cui il vicepresidente J.D. Vance, il Segretario di Stato Marco Rubio e lo Speaker della Camera Mike Johnson, abbiano adottato il un dress code più tipico del presidente: abito blu, camicia bianca e cravatta rossa. L’attenzione all’aspetto pare un tratto distintivo di questa amministrazione: se l’uso dell’eyeliner da parte del vicepresidente Vance è certamente una bufala, Pete Hegseth, il Segretario alla Difesa di fresca nomina, ha fatto modificare uno spazio all’interno del Pentagono per offrire ai leader senior e VIP un luogo in cui prepararsi prima delle apparizioni televisive.

Trump e lo slogan MAGA
In questa fase storica della politica americana sono i cappelli ad essere un altro importate segnale di affinità. Che si tratti dei cappellini rosa in maglia indossati dai supporter di Trump durante il primo mandato, o di fantasie mimetiche come quelle proposte da Harris/Walz durante la loro ultima sfortunata campagna elettorale. il Trump Store ha lanciato lo scorso 17 aprile scorso una variante del celebre cappellino rosso che reca l’acronimo “Make America Great Again“: il testo bianco questa volta recita “Trump 2028“. Un riferimento alla volontà dichiarata da Trump di presentarsi per un terzo mandato sebbene la Costituzione degli Stati Uniti lo escluda. Una variazione del MAGA rosso però già esisteva, il “Dark MAGA” nero su nero indossato spesso da Elon Musk, anche questo reperibile nel Trump store per 55 dollari. Se l’acronimo MAGA resterà indissolubilmente legato alla figura di Trump, va ricordato che lo slogan non è però originale. È stato Ronald Reagan, candidato alla presidenza a idearlo nel 1980, mentre George H.W. Bush lo ha usato per la sua campagna di successo contro Jimmy Carter. Il democratico Bill Clinton ha iniziato la sua campagna del 1992 promettendo “Make America great again” e buon ultimo Donald Trump ha registrato lo slogan per la sua campagna nel 2016. Ma non è finita qui: è già arrivata una nuova versione. Il Buzz Lightyear della Casa Bianca ha recentemente condiviso su X un baseball cup rosso con la scritta “Trump 2032” seguito dalla didascalia “Pensate al futuro!”. Auguri.
Aldo Premoli
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