
Maison Rapito non è nato in un ufficio marketing né da una strategia calcolata. È un brand italiano nato in una cameretta di Milano, durante gli anni dell’università, mentre il suo fondatore, Tito Rapetti, lavorava per altri. “Ho sempre avuto una fissa per le storie – di qualsiasi tipo – e mi affascinava l’idea di raccontarsi con uno slogan stampato su una maglietta”, racconta. L’ispirazione arriva dai thrift stores americani, dove le magliette con scritte iconiche degli Anni ‘70 e ‘80 diventavano oggetti unici, carichi di vissuto. In Italia quel tipo di estetica mancava, e così ha deciso di crearsela da sé.
Il fenomeno Maison Rapito
La prima produzione è stata minimale, ma l’interesse è esploso rapidamente grazie a TikTok, dove il marchio è diventato virale raggiungendo, tramite video, migliaia di persone. Oggi, a distanza di due anni, Maison Rapito ha spedito più di 12.000 ordini in oltre 70 paesi. Una crescita che ha seguito il flusso spontaneo dell’idea iniziale: niente narrazioni complesse o concept rigidi, solo istinto, ironia e uno sguardo sincero sul presente. “Non c’è una sceneggiatura dietro, piuttosto un’accozzaglia spontanea di tutto quello che mi gira per la testa in un determinato momento”, spiega. Una frase vista su un meme, un colore che torna ossessivamente nella quotidianità, una suggestione estetica improvvisa: tutto può diventare una t-shirt. Ma la forza di Maison Rapito non sta solo nelle grafiche, quanto nella filosofia. “In fondo, c’è sempre un pò di ‘vaffanculo’ in quello che facciamo”, confessa. Il brand invita a prendersi meno sul serio, a dire qualcosa di forte anche solo per un istante, attraverso il mezzo più democratico che ci sia: una maglietta. E se quel messaggio riesce a far sorridere o riflettere, anche solo per un secondo, ha già raggiunto il suo scopo.
La non-strategia di Maison Rapito
Emergere non è stato difficile perché, in un certo senso, non c’è stato il tentativo di inserirsi nel sistema. “Non credo nemmeno che siamo davvero emersi nel mondo della moda. Più che altro, ci siamo ritagliati un posto nel cuore dei ragazzi della nostra generazione”. I social hanno giocato un ruolo fondamentale, ma sempre in modo organico: niente testimonial, niente influencer. “Vic De Angelis dei Måneskin è stata una delle prime a indossare i nostri pezzi, semplicemente perchè si ritrovava nel brand. Nessuna strategia dietro”. Però, il successo nasconde anche ostacoli e fatiche, soprattutto per chi non nasce imprenditore. La parte creativa è venuta naturale, ma la sfida è conciliarla con tutto il resto: logistica, contabilità, gestione. “Oggi la mia vita è molto meno ‘solo creatività’ e molto più ‘come faccio a far girare tutto senza impazzire’. La fortuna è stata quella di incontrare fin da subito realtà produttive che credono nel progetto e nel Made in Italy fatto bene”.Autenticità, semplicità e accessibilità sono le parole chiave del brand. “Non abbiamo mai voluto fare moda elitaria o fingerci più fighi di quello che siamo. I prezzi bassi non sono una strategia, sono una scelta”. Maison Rapito non promette rivoluzioni, ma propone un linguaggio familiare, diretto, capace di costruire un senso di appartenenza. Il risultato? Una community che non solo acquista, ma partecipa attivamente all’identità del marchio.
La fotografia come ispirazione di Maison Rapito
In questo processo, la fotografia gioca un ruolo essenziale. Dalle prime campagne ispirate alle locandine porno degli anni ‘70 a un’estetica più editoriale, il racconto per immagini è sempre stato al centro della visione. “Un punto di riferimento costante è stato Terry Richardson e tutto il suo lavoro per i brand nei primi anni 2000: sporco e diretto”, racconta. Ma anche le riviste francesi come Lui e gli italiani Playmen, “in particolare quelli tra il ‘68 e il ‘75. C’era una libertà lì dentro, un erotismo elegante e mai banale, che oggi si è perso”. Tra le campagne più riuscite, spicca quella dell’estate scorsa: un video corale che ruotava attorno a un’idea semplice ma potentissima – togliti la maglietta quando serve, la gioventù vola. “Una serie di gesti piccoli, ma carichi di energia e libertà”, come spogliarsi all’alba sulla spiaggia, durante un concerto, o in cima a una parete. Il video ha coinvolto più di 60 persone, tutti amici, parte della crew: “Abbiamo girato giorno e notte per tre giorni, a orari assurdi, facendo cose che sembravano impossibili: tipo costruire un bazooka artigianale con petardi e un cono stradale”.
Il futuro di Maison Rapito
Nonostante il successo, Maison Rapito continua a mantenere una distanza sana dalle logiche del fashion system. “Oggi un ragazzo non può permettersi nemmeno un portafogli di certi marchi. È normale rifugiarsi nel fast fashion. Ma credo che stia crescendo la voglia di trovare alternative vere”. Alternative che non rinunciano all’identità, ma che parlano una lingua comprensibile. Guardando al futuro, il sogno è quello di ampliare la proposta, crescere insieme al pubblico, offrendo prodotti che possano accompagnarlo lungo il suo percorso di vita. “Giovane, sexy, irriverente”: sono queste le tre parole con cui il brand si definisce. Ma se dovesse scegliere un’immagine per rappresentare il suo sogno più grande, sarebbe questa: “Atterrare un giorno a Istanbul – o in qualsiasi altra città del mondo – e trovare le bancarelle del falso piene di articoli di Maison Rapito. Quando la gente ti vuole a tal punto da volerti anche in versione tarocca… allora sì, vuol dire che ce l’hai fatta”.
Erika del Prete
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