La stagione delle Fashion week. 27 giorni di sfilate tra New York, Londra, Milano e Parigi

Aldo Premoli ci introduce alle Fashion week in programma questo autunno, con una riflessione rivolta all’impatto che la pandemia ha lasciato sul mondo della moda, dal punto di vista creativo ed economico

Il 7 settembre è partito da New York il consueto ciclo delle Fashion week. Ora tocca alle presentazioni delle collezioni donna primavera-estate 2022 che si concluderanno a Parigi il 5 ottobre. Ventisette giorni di passerelle per un settore attraversato – a partire dal marzo 2020 – dall’uragano della pandemia dove niente sarà più come prima.

I SEGNALI DELLA PANDEMIA SUL SETTORE MODA

I segnali sono per un verso incontrovertibili, per altri contraddittori. Proviamo ad esaminarne alcuni. Incontrovertibile è il fatto che i cali – in percentuali a due cifre – nelle inserzioni sui media tradizionali (con conseguenti licenziamenti a grappolo) non lasciano più spazio a fandonie sullo stato di salute della stampa legata alle inserzioni del settore moda. Si chiude ad esempio l’avventura durata più di mezzo secolo di Condè Nast Italia: le dimissioni del primo direttore di Vogue dell’epoca post-Sozzani sono dello scorso 30 agosto. E tuttavia i fatturati dei super gruppi del lusso (sempre meno folta la loro pattuglia, sempre più alti i loro titoli in borsa) non flettono, anzi. Dopo un cedimento improvviso avvenuto a causa delle dichiarazioni rilasciate lo scorso 17 agosto dal Presidente Xi Jimping circa la volontà del Partito comunista cinese di “regolamentare la crescita dei redditi più elevati”, LVMH, Kering, Prada o Moncler hanno ricominciato a crescere all’unisono: ora è deciso a raggiungere la borsa il Gruppo Zegna, mentre si parla da tempo di un possibile (mai confermato) ingresso del Gruppo Ferrari di John Elkann nella Giorgio Armani. Che la battaglia non fosse più accessibile per taglie piccole o medie era già nell’aria, ma la pandemia ha accelerato il tutto.

LA FASHION WEEK A NEW YORK

La Fashion week di New York intanto è in azione, mentre la variante delta del maledetto virus è di nuovo in circolazione: il lato positivo della situazione creatasi con la pandemia potrebbe essere – a lungo termine – una crescita dell’attenzione verso designer indipendenti meno vincolati dalle idee della vecchia scuola. È stata Hillary Taymour di Collina Strada, marchio che ha fatto sin dall’inizio della sostenibilità dei suoi capi un punto di forza, la prima a presentare; e ha deciso di ambientare il suo show nella fattoria sospesa del Brooklyn Grange, un’oasi di 5,6 acri in cima a un magazzino convertito nel Brooklyn Navy Yard. Brooklyn Grange (https://www.brooklyngrangefarm.com) è di fatto la più grande azienda agricola del mondo collocata su un tetto e produce più di quattro tonnellate di prodotti bio ogni anno. Oltre a promuovere una dieta a base di verdure, costruire più tetti verdi a Manhattan aiuterebbe a purificare l’aria e potrebbe ridurre almeno un poco l’effetto serra della città. A New York sono tornati a sfilare in presenza Proenza Schouler, Rodarte e Thom Browne e Altuzarra, che avevano abbandonato in precedenza la Grande Mela per altre destinazioni: come pure Tom Ford a cui si è aggiunto ora Jeremy Scott (nato negli Usa pure lui) con Moschino.  A Parigi LVMH consegna invece nelle mani di una ex-top come Camille Miceli la direzione artistica di Pucci senza prevedere alcuna sfilata: qui la strategia sembra più orientata all’effetto glamour-celebrity che a quello della collezione-sfilata.

TUTTI A CACCIA DELLA GEN Z

Sfilate in presenza o meno, la preda più ambita è divenuta la Generazione Z. Quest’ultima però come già i Millennial subisce l’autorevolezza di un marchio con la classica relazione top-down. Il “consumatore” in questo caso si sente un esperto e si aspetta dal marchio una partnership piuttosto che un insegnamento. I Gen Z scelgono marchi che sentono complementari alle proprie opinioni su questioni relative a diversità, inclusività, sostenibilità, trasparenza e affidabilità. Certamente più esperti di digitale di tutti i precedenti, non sono per questo restii a fare acquisti nei negozi fisici. Con un approccio però diverso: gli appartenenti alla Gen Z, considerano lo shopping in presenza un’escursione sociale, una sorta di terapia dal mondo digitale, almeno per un po’, alla ricerca di esperienze tattili: è – anche – una reazione alla sopravvenuta recente stanchezza da schermo, sperimentato durante la pandemia. Siamo di fronte a una generazione che è una tra le più sole e isolate (fisicamente) della storia recente: si pensi solo alla drammatica mancata socializzazione cui è stata sottoposta con la didattica a distanza.

IL RITORNO DEL MARKETING ANALOGICO

I più attenti tra i marchi di lusso stanno tornando ad affiancare l’online – dove i recenti cambiamenti della privacy rendono più difficile di un tempo raggiungere i clienti – con il tradizionale marketing analogico: si tratti di posta diretta o di libri di marca. Così Chanel, Dior e Prada, ma pure Nike o Valentino hanno dato alle stampe e pure inviato direttamente oggetti fisici offrendo uno sguardo più intimo delle loro collezioni, qualcosa che è possibile collezionare e conservare, un modo per fornire un’ulteriore estensione della narrazione del marchio. La posta diretta è costosa ma non è un concetto nuovo: Dior invia una rivista cartacea esclusivamente a clienti facoltosi oltre a venderla nelle sue boutique. E dal 2014, Loewe ha prodotto pubblicazioni speciali in tiratura limitata per accompagnare ogni collezione di Jonathan Anderson. Con gli spazi online inondati di contenuti, l’obbiettivo del marketing analogico non è quello arrivare indifferentemente a tutti, ma piuttosto di rinsaldare le relazioni con i clienti: fidelizzare, piuttosto che trasformare un utente in un nuovo cliente.

LO STEALTH MARKETING

Negli Usa da almeno dieci anni Nike si sta allontanando dagli annunci stampa o televisivi ad alto budget e investe in negozi ed eventi “di quartiere” rivolti a un’audience ridotta, ma dotati di servizi a valore aggiunto che le consentono di interagire quasi fisicamente con un pubblico localizzato. In Europa alcuni tra i marchi più noti hanno cominciato a diversificare i loro acquisti pubblicitari collocando i propri annunci su piattaforme inaspettate: ad esempio WeTransfer. Perché WeTrasfer è presto detto: oltre il 70% degli utenti di questa piattaforma lavora nelle industrie creative, quindi per l’inserzionista significa varcare la porta di una comunità premium. Millennial e GenZ silenziosamente ma inesorabilmente hanno reso più complessi gli standard di riferimento con cui fare i conti, e questo in conseguenza di un significativo slittamento nella percezione di cosa sia il “lusso”: che per loro riguarda sempre meno concetti come “esibizione” ed “esclusività”, ma piuttosto è sensibile a quelli di “identità” e “appartenenza”. Se il nuovo consumatore si propone come differente da quello del passato, i designer cercano di raggiungerlo abbandonando le strade battute di sempre, e la loro stessa figura si avvicina sempre di più a quella di un assemblatore di nuove idee piuttosto che a quella tradizionale del “sarto”.  I marchi nel frattempo – disegnati da questo o quell’altro stilista in successione (poco importa) – vanno alla ricerca di mezzi più sottili, silenziosi e ravvicinati per trasmettere il loro messaggio. Le Fashion week restano, la loro efficacia si è affievolita e la partecipazione dei big è sempre più ballerina. Sarà interessante vedere quel che accadrà nei prossimi giorni.

– Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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