Pensare e agire oltre le discipline: il metodo dell’indisciplinarietà
In un mondo pieno di incertezza, complessità e ambiguità, gli scambi tra le discipline sono fondamentali per attivare approcci relazionali alle sfide ambientali, politiche, sociali, economiche e tecnologiche

La crescente complessità del nostro mondo e delle sfide che dobbiamo affrontare non può più essere affrontata attraverso un approccio strettamente disciplinare e riduzionista, in cui possiamo, per esempio, dividere un problema in parti, per poi affrontarle in discipline separate e infine ricomporle in una soluzione. Un pensiero di questo tipo oggi presenta lacune sempre più evidenti. Nella sua raccolta di saggi On Complexity (2008), il filosofo e sociologo francese Edgar Morin sostiene che “in primo luogo, con la crescente specializzazione, le grandi domande non vengono più poste e affrontate; in secondo luogo, l’azione nel mondo non può essere confinata alle conoscenze tratte da una sola disciplina” (p. 27). La compartimentazione della conoscenza e la sua frammentazione ci impedisce di abbracciare un paradigma della complessità che, per sua natura, non può essere ridotto a un pensiero disincarnato e astratto. È invece un paradigma che include emozioni, intuizioni, contesto sociale e storicità.
Questo non significa che dovremmo sbarazzarci delle discipline, ma piuttosto rendere i loro confini più permeabili. In un mondo pieno di incertezza, complessità e ambiguità, gli scambi tra le discipline sono fondamentali per attivare approcci relazionali alle sfide ambientali, politiche, sociali, economiche e tecnologiche.
Indisciplina: un gesto intellettuale e politico
Jacques Rancière ha definito le discipline come “raggruppamenti provvisori di domande e oggetti” (Baronian & Rosello, 2008), suggerendo la loro natura arbitraria e storicamente contingente. È stato proprio lui a introdurre l’idea di indisciplinarità, che si configura come un dispositivo emancipativo: rifiuta la separazione tra chi è “titolato” a pensare e chi non lo è, e si oppone alla gerarchia del sapere.
L’indisciplina, in questo senso, non è solo un approccio metodologico, ma una presa di posizione filosofica e politica. Elude lo specialismo disciplinare e le strutture gerarchiche che riflettono divisioni istituzionali e sociali. Per Rancière, essa rappresenta un metodo per ripensare la democrazia, fondata sull’uguaglianza delle intelligenze. In una società costruita su divisioni e disuguaglianze, l’indisciplinarità apre invece “uno spazio senza confini che è anche uno spazio di uguaglianza” (Rancière, 2006), in cui le possibilità sono redistribuite e nessuno è escluso dal pensiero.

Dalla teoria alla pratica: il caso di Baltan Laboratories
I sistemi educativi tradizionali offrono poche occasioni per esplorare le interconnessioni tra le questioni del mondo. Se da un lato esistono progetti interdisciplinari, dall’altro sono rare le esperienze in cui persone provenienti da campi diversi imparano insieme su un piano di parità.
In molti casi, le collaborazioni interdisciplinari si rivelano fallimentari proprio per la riproduzione di gerarchie implicite: l’arte è chiamata ad “abbellire” la scienza, oppure la scienza è posta su un piedistallo di oggettività. Un approccio indisciplinato cerca invece di sovvertire questi ruoli. Nessuno insegna, tutti apprendono insieme. Nessuno è più importante dell’altro.
È in questa direzione che si muove Baltan Laboratories, laboratorio culturale indisciplinare con sede a Eindhoven. Baltan crea spazi per immaginare modi di vivere alternativi, mettendo in relazione arte, scienza, design e società. Con programmi educativi, residenze e coaching, l’obiettivo è trasformare idee e teorie in pratiche esperienziali che attivino una reale trasformazione. Applicando un’attitudine indisciplinare si concentra sulle problematiche sociali attraverso un approccio relazionale. In questo senso, la realtà dell’istituzione culturale viene intesa come luogo di dibattito, apprendimento e organizzazione.
MEYA: un laboratorio di indisciplina economica
Uno degli esempi più significativi di questo approccio è Make Economy Yours Again (MEYA), una comunità di apprendimento online della durata di otto settimane. Il suo obiettivo era quello di creare nuove basi di conoscenza per sviluppare narrazioni economiche alternative. I partecipanti, eterogenei per provenienza, età e formazione, erano accomunati da un interesse per l’attivismo economico.
Durante due edizioni, Baltan ha sperimentato dispositivi pedagogici e strategie di de-disciplinarizzazione che hanno trasformato l’aula virtuale in uno spazio relazionale. MEYA non era solo un luogo per pensare il cambiamento, ma per provarlo concretamente, attraverso esercizi corporei, discussioni orizzontali e attività creative. L’economia non veniva studiata solo come oggetto, ma come pratica incarnata, affettiva e trasformativa.
In un contesto globale segnato da crisi sistemiche, MEYA ha rappresentato una palestra settimanale di tre ore per esercitare nuovi modi di essere nell’economia. Domande come “possiamo andare oltre il capitalismo?” o “può il corpo diventare strumento di agency economica?” non trovavano risposte teoriche, ma attivavano percorsi esperienziali e condivisi.
Un invito a partecipare: Graphic Days a Torino
Questi stessi temi e approcci saranno al centro del workshop “The Economy is Fake, but the Words are Real”, curato da Baltan Laboratories e ospitato dai Graphic Days Torino il 18 maggio 2025. Il laboratorio sarà un’estensione concreta delle riflessioni emerse con MEYA, invitando i partecipanti a costruire collettivamente narrazioni economiche alternative attraverso esercizi di scrittura creativa e speculativa.
Non si tratterà solo di parlare di economia, ma di abitarla: attraversarla con linguaggio, affetti, intuizioni e corpo. Il workshop sarà uno spazio di prova condiviso, in cui i partecipanti – senza gerarchie – potranno esplorare possibilità immaginative, disobbedienti e trasformative.
All’interno della medesima cornice – quella torinese dei Graphic Days – andrà in scena anche un Talk che evidenzierà come il design possa essere inteso come un linguaggio: un insieme di segni, forme, colori e narrazioni in grado di creare connessioni tra mondi differenti, dare senso alla realtà e interpretare il presente. Ma cosa accade quando questo linguaggio si lascia attraversare da contaminazioni, oltrepassa i confini disciplinari e si rinnova attraverso sguardi inediti?
Se da una parte il mondo ci abitua a credere che tutto sia già stato deciso, dall’altra in realtà abbiamo a disposizione un margine infinito per disegnare nuove esperienze per riscrivere il reale. Ma per farlo, dobbiamo prima osare smettere di pensare nei confini delle discipline.
Dario Bombelli
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