Il termine catasta, dal greco κατάστασις, collocazione, è entrato nella lingua italiana per definire un mucchio di elementi ammassati, designando in particolare una massa di legna da ardere, con i singoli pezzi disposti ordinatamente gli uni sopra gli altri. Oggi, in informatica, la catasta descrive il particolare registro di memorizzazione in cui sono provvisoriamente stivati i dati intermedî di un’elaborazione proprio nell’ordine in cui vengono elaborati, in modo che il primo dato a essere richiamato è quello introdotto per ultimo.
Così come in una catasta di oggetti, nella quale il primo che può essere prelevato è l’ultimo che vi è stato posto, Michele De Lucchi (Ferrara, 1951) ordina la sua ultima personale presso la galleria Antonia Jannone, posizionando su alti plinti azzurri alcuni modellini e disegni preparatori di cataste, perché, come lui stesso afferma, “qualche volta le cataste sono vere e proprie costruzioni, piccole casette o vere cattedrali con grandi tetti che le coprono, tenendo insieme i tozzetti e riparando dalla pioggia e dalla neve”.
‒ Ginevra Bria