Stop all’ecocidio in Libano: l’appello arriva dalla Biennale di Architettura
Il Padiglione Libano alla Biennale Architettura 2025 lancia un appello alla protezione dell’ambiente dello stato mediorientale. Una presa di posizione per riparare i danni morali e materiali di mezzo secolo di conflitto che ogni visitatore può supportare
Curato da CAL – Collective for Architecture Lebanon (un’organizzazione no-profit co-fondata nel 2019 da Shereen Doummar, Edouard Souhaid, Elias Tamer e Lynn Chamoun), The Land Remembers è il progetto con cui il Libano partecipa alla Biennale Architettura 2025, in corso a Venezia fino al 23 novembre. Un padiglione che chiama in causa gli architetti esortandoli a dare priorità alla rigenerazione del territorio libanese, prima di progettare nuove costruzioni o di avviare le ricostruzioni. Alla base della riflessione si collocano la guerra, l’urbanizzazione incontrollata e l’instabilità politica che da mezzo secolo stanno martoriando il Libano, distruggendo la sua stessa essenza culturale e ambientale. “Il degrado ambientale ha raggiunto livelli catastrofici, accelerato dai conflitti e dalla distruzione deliberata della natura. Terreni che per millenni hanno sostenuto la vita sono ora avvelenati: il suolo e l’acqua contaminati da metalli pesanti, armi incendiarie, detriti e la distruzione mirata di campi agricoli e frutteti. Questi atti di ecocidio hanno cancellato intere comunità, trasformando paesaggi un tempo rigogliosi in terre desolate e inabitabili” scrivono i curatori nel manifesto di The Land Remembers. In questa intervista corale, sono proprio loro a spiegare il messaggio che intendono lanciare dalla kermesse lagunare.

Biennale Architettura 2025: intervista ai curatori del Padiglione Libano
Che tipo di ricerca avete svolto per il progetto The Land Remembers?
Abbiamo iniziato il nostro lavoro sul padiglione indagando il tema dell’ecocidio. Il nostro vero punto di partenza, tuttavia, è stato individuare le persone attivamente impegnate sul tema e cercare di comprenderne la portata complessiva. Abbiamo esteso la nostra rete interdisciplinare, per ottenere una panoramica completa dell’ecocidio e di coloro che lavorano per affrontarlo.
Come avete concepito il progetto del Padiglione Libano?
Progettare il padiglione è stato, di per sé, un atto di attivismo. Il collettivo ha sollecitato il Ministero della Cultura e l’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti a partecipare alla Biennale di quest’anno. Questo sforzo si è svolto nel contesto di una guerra in corso, che ha imposto vincoli significativi, non solo in termini logistici, ma anche nell’affrontare la delicatezza del tema: il padiglione affronta direttamente i temi legati al conflitto. Di conseguenza, lo sviluppo di The Land Remembers è un “diretto prodotto” dell’attuale realtà politica del Libano. Le attuali difficili condizioni hanno favorito un profondo coinvolgimento, non solo tra gli architetti in mostra, ma anche tra tutti coloro che hanno partecipato alla produzione, trasformando il progetto in un atto collettivo di resistenza e impegno.
Qual è, a vostro avviso, il punto di forza del progetto, in termini di formazione di un’altra sensibilità sulla necessità di un “nuovo” Libano?
Quella a Venezia non è solo una mostra: il nostro obiettivo è concepire il padiglione come uno spazio di azione e attivismo. Attraverso la cornice del ministero fittizio (i curatori immaginano per il Padiglione l’esistenza del cosiddetto “Ministero dell’Intelligenza della Terra”, dedicato alla guarigione del territorio dall’ecocidio e alla costruzione di un archivio dinamico di questa distruzione intenzionale, n.d.r.), sottolineiamo la necessità che gli architetti si impegnino più profondamente nelle questioni territoriali, così come nella sfera politica. Ciò significava che il padiglione doveva andare oltre il tradizionale formato espositivo e fungere da invito all’azione per i suoi visitatori.
Ovvero?
Uno degli aspetti più forti del padiglione è che mette in primo piano una questione altamente politica e attuale. Siamo in un momento di crisi e il padiglione riporta l’architetto alla questione fondamentale del territorio. Ci sfida a riconsiderarne il ruolo: non solo l’architetto come colui che costruisce per i bisogni umani, ma come colui che deve comprendere il nostro rapporto simbiotico con la natura. Questa consapevolezza dovrebbe diventare il nuovo punto di partenza per la nostra professione.

Guerre, urbanizzazione incontrollata, instabilità politica: tutta la fragilità del Libano a Venezia
Come vengono coinvolti i visitatori del Padiglione Libano?
L’idea di padiglione come spazio di azione e attivismo si concretizza in una petizione che invita i visitatori, al termine della visita, a sostenere il divieto dell’uso del fosforo bianco nelle munizioni. La petizione fa parte di un dossier più ampio che stiamo sviluppando in collaborazione con Green Southerners: l’obiettivo è presentarla alla Convenzione di Ginevra come passo in avanti verso la sua integrazione nella politica internazionale.
Cosa prevede la partecipazione attiva?
La petizione è accessibile ai visitatori tramite un codice QR esposto all’interno del padiglione ed è ospitata su Change.org, consentendo a chi vuole di impegnarsi direttamente nella causa. Firmando, i visitatori non solo vengono informati sul problema dell’ecocidio, ma hanno anche un modo concreto per prendere posizione contro di esso. Questo atto di partecipazione trasforma lo spazio espositivo in una piattaforma per l’impegno civico, rafforzando il ruolo del padiglione come luogo di attivismo piuttosto che di osservazione passiva.
Come valutate l’impegno a favore dell’ambiente in Libano?
Molti libanesi, comprensibilmente, danno priorità alla stabilità finanziaria immediata rispetto alle preoccupazioni ambientali, soprattutto in un contesto di difficoltà economiche. Tuttavia, la realtà è che la prosperità a lungo termine non è possibile senza integrare crescita economica e tutela ambientale. Per progredire, il Libano deve abbracciare una visione di sviluppo inclusiva, sostenibile e innovativa. In questo modo, può non solo migliorare le condizioni interne, ma anche rafforzare la sua posizione globale. Come sosteneva l’economista John Maynard Keynes, la prosperità dipende dall’equilibrio tra crescita economica, giustizia sociale e liberalismo politico, un “triangolo magico”. Oggi, la sostenibilità ambientale deve essere aggiunta come quarto pilastro essenziale. Questi principi dovrebbero guidare la ricostruzione del Libano e ispirare una nuova coscienza ambientale che rispetti sia le persone che il territorio in cui vivono.

Gli architetti per il futuro del martoriato Libano e del suo ambiente
Per iniziare a migliorare questa complessa situazione, cosa pensate che potrebbero fare i libanesi?
La crisi ambientale in Libano si estende ben oltre la questione immediata dell’ecocidio. Nell’ultimo secolo, il nostro rapporto con l’ambiente è stato gravemente danneggiato, plasmato dalla monocoltura, dall’urbanizzazione incontrollata, dalla modernizzazione e da una persistente priorità del profitto finanziario e capitalistico rispetto al benessere ecologico. Questo momento rappresenta l’apice di questa crisi e richiede la radicale rivalutazione del nostro legame con la terra e con la natura. Al centro di questa rivalutazione c’è l’urgente necessità di ripristinare un senso di rispetto e comprensione per il nostro rapporto simbiotico con l’ambiente.
Da che parte cominciare?
Questo cambiamento deve iniziare con piccoli passi individuali nella nostra vita quotidiana, ma richiede anche un coinvolgimento più ampio: all’interno delle nostre comunità, a livello municipale e, idealmente, nazionale. Storicamente, gli sforzi ambientali in Libano sono stati guidati dalle amministrazioni locali piuttosto che da un programma nazionale coerente. Tuttavia, con l’aggravarsi degli impatti del riscaldamento globale nella regione, questo approccio frammentato non è più sufficiente.
E dunque quale modo immaginate un modo per concretizzare questo progetto, magari con il supporto del governo libanese?
The Land Remembers non è solo un progetto di ricerca e archiviazione, ma propone anche metodi alternativi per la riqualificazione del territorio. Alcuni espositori stanno proseguendo questo lavoro anche oltre la mostra, mappando attivamente gli attacchi ambientali e testando i livelli di contaminazione in vari siti. I loro sforzi si concentrano sullo sviluppo di strategie per decontaminare appezzamenti di terreno selezionati nel Libano meridionale. Parallelamente, il collettivo sta collaborando con un’altra organizzazione e con l’American University of Beirut per ampliare la ricerca sulla materialità dei mattoni di terra. Insieme, stanno lavorando a una proposta per una strategia implementabile nei paesaggi danneggiati per supportare la riabilitazione ecologica. Questo approccio riflette l’impegno del padiglione nel collegare la documentazione con un’azione ambientale concreta e sul campo.
Niccolò Lucarelli
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